I percorsi umani e lavorativi di Lorenzo Urciullo, alias Colapesce, e Antonio Dimartino, amici e cantautori, viaggiano su binari paralleli. Siciliani entrambi, hanno iniziato a fare musica dieci anni fa, sono autori per altri cantanti, hanno scritto due libri ciascuno e l’anno scorso hanno celebrato il primo decennio di carriera con l’album in tandem I mortali. Tra le canzoni spicca la summer hit Luna araba, che vede la partecipazione di Carmen Consoli. Il duo si presenta, sempre in coppia, al 71esimo Festival di Sanremo, previsto dal 2 al 6 marzo.

 

Portate il brano Musica leggerissima. Lo è davvero?

[D] Non è pesante né leggera, in realtà. È una terza via, il motivo che salva quando si cade in un baratro.

[C] Il baratro è metaforico: sono le debolezze e i tabù dell’uomo, che in questa canzone vogliamo affrontare in maniera schietta.

 

Perché avete deciso di partecipare alla kermesse?

[D] Ci sembrava il prolungamento di un percorso. Era giusto che ci andassimo insieme, visto che abbiamo iniziato a fare dischi dieci anni fa. È un passaggio importante per la nostra carriera.

[C] Una festa simbolica tutta nostra a chiusura di un ciclo. E poi abbiamo anche il mutuo da pagare (ride, ndr).

 

In questi dieci anni cosa siete diventati?

[C] Sono cambiate tantissime cose. Il nostro esordio è avvenuto nella crisi più nera: non c’era lo streaming, non si vendevano più dischi e il vinile non era tornato di moda. Abbiamo contribuito a creare una scena e il fatto di essere ancora qui mi fa pensare che il nostro impegno coerente abbia pagato rispetto a tanti progetti che sono solo la fotografia di un momento. Tendiamo a essere songwriter, scrittori di canzoni.

Spaziate in diversi ambiti, dalla letteratura al teatro. Qual è la vostra concezione di artista?

[D] Per non incancrenirsi, deve portare avanti un percorso pieno di tante cose. La creatività deve spaziare, andare in altri posti. La condivisione è alla base del successo di un’opera. Il graphic novel La distanza, con i testi di Lorenzo e i fumetti di Alessandro Baronciani, e il libro Un mondo raro, sulla cantante messicana Chavela Vargas, che ho scritto insieme al cantautore Fabrizio Cammarata, sono testimonianza di questo: cambiare strada all’improvviso dà linfa vitale a quello che si sta facendo.

[C] Sono d’accordo. Perché la chiusura, alla lunga, può essere tossica e controproducente.

 

Siete anche autori per altri cantanti. Come cambia, in questo caso, la scrittura?

[C] Quando lavoriamo per altri costruiamo i brani sulle loro caratteristiche. Si modifica l’immaginario, il vocabolario, la struttura armonica, la tonalità. È sempre un viaggio diverso. Come il lavoro di un sociologo che cerca di capire, di volta in volta, cosa fare.

 

I luoghi che vi ispirano?

[D] Le isole piccole, dove tutto sembra più chiaro. Mi fanno sentire più protetto, anche se attaccabile da ogni lato. Come Levanzo, un luogo in cui non è possibile andarsene quando si vuole ma che, proprio per questo, mi aiuta a stare in pace con me stesso. Sulla terraferma penso continuamente a cambiare posto.

[C] Amo moltissimo muovermi in treno, soprattutto quando costeggia il mare. Ho ricordi bellissimi di viaggi dal nord al sud Italia, quando i binari passano di fianco al litorale.

 

Siete entrambi siciliani, cosa rappresenta questa regione per voi?

[C] Quasi sempre è nei nostri lavori, non per campanilismo, ma perché il luogo in cui si cresce va comunque a finire nella costruzione di un modo di dire, si insinua nel linguaggio anche senza volerlo. E poi la Sicilia ha diversi scenari cui attingere: è una terra che ha una quantità infinita di input.

[D] È il posto dove tornare. Anche se, paradossalmente, riesco a pensarne bene solo quando sono lontano. Mi basta nominarla e mi vengono in mente i profumi della mia terra e i racconti degli anziani, che sono fonti di ispirazione. È generatrice di impressioni e sfumature che mi aiutano molto a scrivere.

Articolo tratto da La Freccia