In cover, il Vesuvio dall'alto (NA) © jul14ka/AdobeStock

Uno scienziato capace di applicare con chiarezza alla vita reale i principi studiati in laboratorio, diminuendo drasticamente la distanza tra teoria e pratica. Da giovane era una promessa del basket, ma al canestro ha preferito la fisica. E oggi dirige il laboratorio di Sismologia del dipartimento di Fisica all’Università Federico II di Napoli. Ma lo sport resta attaccato all’anima, così le partite di basket amatoriali insieme ai compagni di allora non mancano mai nell’agenda del professor Aldo Zollo, che vive nella zona vulcanica dei Campi Flegrei, quasi casa e bottega.

Perché hai scelto la scienza e attraverso quale percorso formativo?

Fin dal liceo mi interessava il pianeta, con i suoi processi interni ed esterni. Un carissimo amico, professore di geologia, mi suggerì la laurea in Fisica, per acquisire, diceva, le necessarie capacità di analisi. Ma anche quel rigore scientifico che oggi mi consente di guardare alla Terra con capacità di predizione e di mettere a punto strumentazioni sperimentali nel settore.

 

Quando ti è caduta in testa la mela della scienza?

Nel corso della tesi di laurea: era il 1980, anno del terremoto in Irpinia, che mi coinvolse emotivamente. Da ragazzo di queste terre, cominciai a lavorare sulle ragioni dell’evento sismico, analizzando i dati per capire i motivi di tanta devastazione, dolore e morte. Fu in quel momento che mi accorsi di poter diventare un ricercatore, parte di un ingranaggio utile perla società. Scattò la passione per il laboratorio, poi il dottorato a Parigi e, al rientro in Italia, l’inizio della carriera.

Riesci a mantenere un distacco scientifico nel tuo lavoro o il coinvolgimento emotivo è comunque presente?

Difficile sdoppiare i due aspetti, i ricercatori sono persone che vivono anche emotivamente le emergenze. Durante campagne di studio e analisi sul Vesuvio e ai Campi Flegrei per capire dove si trovasse il magma, sono stato per diversi giorni a contatto con la popolazione. In quei momenti mi sono accorto dell’importanza del mio lavoro e della necessità di comunicare informazioni corrette, mi sono sentito coinvolto nell’impegno verso il progresso scientifico. Dobbiamo porre grande attenzione a ogni piccolo segno di pericolo, perché il Vesuvio causerebbe un’eruzione di tipo esplosivo, a differenza di quella recente e spettacolare dell’Etna, di tipo effusivo.

 

Tu abiteresti mai alle pendici del Vesuvio?

Sì, laddove consentito dalle regolamentazioni e con la consapevolezza di essere in una situazione a rischio, quindi pronto a dovermi trasferire o evacuare. D’altronde vivo ai Campi Flegrei, il vulcano della parte occidentale di Napoli.

Il professor Aldo Zollo in laboratorio

Esistono lacune nel monitoraggio dei vulcani?

No. Dal punto di vista del controllo, in Italia viviamo una situazione felice rispetto ad altri Paesi. Possediamo tecnologie e capacità osservative molto avanzate, paragonabili a quelle di Stati Uniti e Giappone, siamo in grado di intercettare i seppur minimi segnali tellurici, geochimici o di deformazione del suolo.

 

La scienza oggi ha il controllo della Terra o molto è ancora ignoto?

Molto è ancora da scoprire. Nell’esplorazione dell’atmosfera possediamo mezzi per essere al centro dei fenomeni naturali. Nel caso della Terra, invece, la capacità di penetrazione con sonde dirette nelle regioni dove hanno origine i terremoti è limitata. Sono fenomeni che si formano a 20-30 chilometri di profondità e il pozzo più profondo mai realizzato dall’uomo non è andato oltre i 12. Quindi usiamo l’osservazione indiretta, come un’ecografia al corpo del pianeta.

Il Viaggio al centro della terra raccontato da Jules Verne nel 1864 resta un romanzo di fantasia?

Direi di sì, anche se il progresso scientifico delle ultime due decadi ha compiuto passi inimmaginabili. Quindi non poniamo limiti alla strada della conoscenza. I fenomeni che studiamo sono molto vicini alla teoria del caos e accadono per variazioni minime rispetto a un trend. Il magma, per esempio, non risale dalle profondità in silenzio geofisico e l’obiettivo dei ricercatori è percepire in anticipo ogni segnale. È necessario, inoltre, accorciare la distanza tra le scoperte scientifiche e la vivibilità e sostenibilità dei territori: questo è un compito della politica, che dovrebbe aiutare la popolazione a conoscere e comprendere ciò che viene fatto per il bene comune. Servono cultura del territorio e addestramento all’applicazione dei protocolli di sicurezza.

 

Conoscere per proteggere, quindi.

Il mio gruppo di ricerca in Sismologia all’Università di Napoli sta lavorando con il settore ponti e infrastrutture di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) sulla possibilità di utilizzare sistemi capaci di individuare in anticipo onde sismiche che potrebbero avere impatto sulla rete ferroviaria, così da adottare tutte le misure di sicurezza necessarie. Un progetto di altissima innovazione, unico a livello europeo. Dopo due anni di lavoro siamo giunti alla fase sperimentale, abbiamo lasciato la piramide di cristallo del laboratorio e siamo usciti sul campo con un obiettivo importante e delicato: proteggere la vita di migliaia di viaggiatori.

 

Ti piace viaggiare in treno?

Moltissimo, perché mi infonde un senso di serenità e tranquillità che con altri mezzi di trasporto non provo. Sulla mia tratta più frequente, Napoli-Roma, mi dedico a ciò che ho lasciato indietro, sfruttando quel tempo guadagnato che il treno mi regala.

Il giornalista Andrea Radic con Aldo Zollo alla stazione di Napoli Centrale

Abbiamo sufficiente rispetto della Terra?

Le attività umane impattano sulla natura, è nostra responsabilità comprenderne rischi e benefici. Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse porterà problemi in futuro. Trovo che la cultura ambientale sia troppo poco diffusa: la classe politica dovrebbe avere maggior visione e volontà di investire in azioni di mitigazione ambientale a lungo termine. Forse sono investimenti poco “elettorali”, ma vedo segnali positivi da parte della popolazione riguardo al risparmio energetico e alla raccolta differenziata dei rifiuti.

 

Percepisci nei tuoi studenti un interesse che va oltre la moda di essere green?

Sì, nei giovani vedo una profondità che invece manca alle persone più adulte. Come l’estrema attenzione alla vita sana, che dimostrano anche i miei due figli ventenni.

 

Com’è fare lo scienziato a Napoli?

Il lavoro è più piacevole perché prima di tutto siamo un gruppo di persone che condividono qualcosa e poi colleghi. Innanzitutto, possediamo il misterioso sodalizio del calcio: il Napoli ci accomuna a tutti i livelli, senza distinzione alcuna. Poi mi piace il cibo, il mare e soprattutto il modo in cui si pone la gente di questa città. Oltre alla nostra grande apertura nei confronti di tutti.

Ripensando a quando eri bambino, qual è il profumo della tua infanzia?

Quello della campagna nel beneventano, con i miei nonni e i miei zii agricoltori, apicultori e vignaioli, durante i momenti gioiosi della vendemmia e della pigiatura. I profumi della terra sono quelli che ho portato con me.

 

Anche tuo fratello Massimo Zollo è uno scienziato, professore all’Università Federico II, uno dei massimi esperti nella ricerca sulle malattie genetiche. Dna di famiglia?

Ci accomuna la caparbietà, necessaria a supportare il talento, affrontare le sfide più difficili e accettare le sconfitte per arrivare ai massimi obiettivi. Anche perché sono carriere che pretendono grandi sacrifici, non si smette mai di studiare, approfondire, aggiornarsi.

 

E i tuoi figli?

Margaux si è da poco laureata in Ingegneria chimica, Simon gioca a basket a livello professionistico.

 

Come si dice, hanno seguito le orme del padre.

Passioni di famiglia.

Articolo tratto da La Freccia