In cover, Daniel Craig in un’immagine del film No Time To Die © 2020 Danjaq, Llc and Mgm. All rights reserved
Da moltissimo tempo i film di James Bond hanno uno stretto legame con l’Italia, destinazione abituale da quando l’attore britannico Daniel Craig veste i panni dell’agente 007. In Casino Royale, Quantum of Solace e Spectre si sono viste, infatti, scene girate nel nostro Paese. E anche per il 25esimo episodio della saga, No Time To Die, arrivato nelle sale il 30 settembre dopo molti rinvii a causa della pandemia, la produzione non ha esitato a sceglierlo di nuovo.
«Era l’ambientazione perfetta», commenta il regista e co-sceneggiatore Cary Fukunaga, «perché Bond e Madeleine (interpretata da Léa Seydoux, ndr), alla fine di Spectre, scivolano in auto verso il tramonto. E quale Paese ha luoghi più romantici dell’Italia? La città antica di Matera e i suoi paesaggi sono incredibili, dovevamo assolutamente girare lì».
Le riprese di No Time To Die nella stazione di Sapri (SA) © Nicola Dove
Dopo il ciak nella cornice lucana, con tanto di inseguimento automobilistico, i due protagonisti sono al centro di una scena importante in una stazione ferroviaria che è stata girata a Sapri, nel Salernitano, dove la collaborazione con Trenitalia e il Gruppo FS ha permesso alla troupe di portare a termine la sequenza.
«Fare un film in una stazione è sempre difficile, ovunque ci si trovi nel mondo», commenta il location manager di No Time To Die Charlie Hayes, «ma Trenitalia si è rivelata sempre di grande supporto e non ha mai perso l’entusiasmo». E cosa ne pensa il protagonista delle nuove avventure di Bond? Lo abbiamo chiesto direttamente a lui, l'attore Daniel Craig, che veste ancora i panni dell’agente segreto.
Léa Seydoux e Daniel Craig in una sequenza di No Time To Die girata nella stazione di Sapri (SA) © Nicola Dove
Dopo le scene italiane troviamo Bond in pausa dal servizio, che si gode in tutta tranquillità la Giamaica…
Sì, è tornato nella sua casa spirituale e non è in servizio. Ma Bond non è un tipo che sta con le mani in mano: si è tenuto occupato, allenato, sempre in guardia. Si verificano una serie di coincidenze, che sono sempre un buon modo per far partire un film. Poi l’azione si muove velocemente. Quando il suo vecchio amico Felix Leiter gli chiede di fare un lavoretto lui accetta, anche se non lavora ufficialmente per la CIA. Così parte per Cuba.
Il film riflette ciò che sta succedendo nel mondo?
Quello che accade influenza sempre le pellicole di James Bond, ma non penso fosse nostra intenzione farlo esplicitamente. Sono dell’idea che si parte col piede sbagliato se si cerca di calare a tutti i costi una pellicola nell’attualità, esagerando con i riferimenti. Le avventure di 007 parlano di paure differenti, di quello che vogliono i cattivi: distruggere il mondo? Dominarlo? Spartirselo tra di loro? Sono tutte domande che solleviamo e che, inevitabilmente, si mettono in relazione con ciò che sta accadendo nel nostro pianeta. Quando i produttori lavoravano a Golden Eye la gente chiedeva se avrebbero trattato la Guerra Fredda appena terminata. Si sbagliavano. Il mondo è sempre più complicato, ma noi dobbiamo chiederci cosa vogliono i cattivi. Dopotutto, è sempre un film per famiglie.
Daniel Craig in un’immagine del film No Time To Die © 2020 Danjaq, Llc and Mgm. All rights reserved
Cosa ha portato di nuovo alla saga il regista Cary Fukunaga?
È un visionario, ha uno stile molto netto. E c’è bisogno di qualcuno particolarmente deciso per fare un film su James Bond, che non è cosa da poco. È importantissimo che ci sia un regista con un linguaggio cinematografico così forte e una profonda conoscenza di come si realizza una pellicola: la coerenza è fondamentale, non solamente nel racconto ma in ciò che trasmette. Così che gli spettatori non dicano: «Aspetta, cosa sta succedendo?». Fukunaga è anche giovane e ha una grande capacità di resistenza. Elemento di vitale importanza, visto che le riprese sono durate ben sette mesi.
La scelta dell'antagonista, Safin, è ricaduta su Rami Malek. Come è andata con lui?
È un attore fantastico e siamo stati fortunati ad averlo, visto che era impegnatissimo. Il suo nome è iniziato a circolare molto presto, non eravamo sicuri che avrebbe accettato perché la parte non era ancora ben definita. Per quanto fosse una bella idea, bisognava almeno poter dire: «Non abbiamo ancora tutte le battute, ma questo è il personaggio». E invece all’epoca non eravamo nemmeno in queste condizioni, tutto era approssimativo. Con uno come Rami non si può promettere qualcosa e poi non rispettarlo. È stato un rischio, ma è andata bene.
Rami Malek in un’immagine di No Time To Die © 2020 Danjaq, Llc and Mgm. All rights reserved
Come si è evoluto il tuo James Bond nel corso dei cinque film?
Ci abbiamo pensato fin dall’inizio, con Casino Royale. Volevo che Bond assomigliasse e si comportasse da killer, perché è quello che è: un assassino, come descritto nei libri. Ma era mia intenzione dargli anche un’interpretazione moderna. Per questo le pellicole hanno parlato molto delle sue relazioni, di come queste lo influenzino cambiando e indirizzando la sua vita. Non importa se con un villain o con le persone con cui lavora.
Quali sono i temi principali di No Time To Die?
La famiglia e l’amore. Sono campi che non hanno limiti, non si può puntare più in alto di così. D’altronde, siamo in un film di James Bond ed è il contesto giusto per usare l’espressione: «Fai le cose in grande o non farle affatto».
Ma il pubblico da 007 si aspetta anche azioni spettacolari e, soprattutto, gadget fantastici…
Questo aspetto della promozione mi appassiona molto. Anche se il film Austin Powers, la parodia delle prime pellicole incentrate sulla figura di 007, non ha fatto un grande favore a Bond, demolendone il mito proprio quando io ho iniziato a vestire i panni dell’agente segreto. Così abbiamo dovuto reinventare i gadget e riscoprirli. Li stiamo reinserendo ora.
È la tua quinta interpretazione di Bond. È un uomo facile da capire per un attore?
Quando ho iniziato a interpretarlo mi ci volevano circa tre mesi per prepararmi ai film. Ora mi serve un anno: nella mia testa inizio il processo già prima che arrivi il copione, perché comincio a mettermi in forma e prepararmi alle scene più pericolose. La nostra bravissima costumista, Suttirat Anne Larlarb, è venuta a New York per discutere di abiti molto prima che iniziassimo a girare. Diciamo che, per ogni cosa, il processo è lunghissimo.
Come ti senti a ripensare al tuo periodo nei panni di James Bond?
È davvero un’emozione, sono quasi 15 anni della mia vita. E con l’episodio numero 25 mi è sembrato ci fosse una storia da chiudere e tante questioni aperte da risolvere. Penso che lo abbiamo fatto, ne sono enormemente orgoglioso e sono incredibilmente fiero dell’enorme sforzo collettivo che serve a realizzare un film del genere. Esserne stato una piccola parte è per me un grande onore.
Articolo tratto da La Freccia