In cover, Beatrice Rana © Simon Fowler
Nasce in una famiglia di musicisti, immersa nelle note. Suona con la sorella e il compagno, mentre i genitori collaborano anche all’organizzazione del festival da lei voluto, Classiche Forme, dal 18 al 24 luglio a Lecce. Una vita senza musica Beatrice Rana, che a 28 anni è già una pianista conosciuta in tutto il mondo, non riesce a immaginarla. E, soprattutto, non può fare a meno di suonare i suoi autori preferiti con altri colleghi e direttori d’orchestra, lasciando al pubblico solo il compito di ascoltare, senza filtri.
Ha imparato quasi prima a suonare che a parlare. Che rapporto ha avuto con la musica fin da piccola?
Ha fatto sempre parte della mia vita. Il pianoforte, in particolare, è stata una presenza costante, perché è lo strumento professionale dei miei genitori. Ricordo che, quando frequentavo le elementari, andai da una mia amica per fare i compiti. Entrando a casa sua per me fu uno shock non trovare un pianoforte: ero convinta che fosse presente in ogni casa.
Quindi per lei l’arte dovrebbe essere promossa in ambito familiare?
Ai piccoli spesso non è data la possibilità di conoscere la musica, soprattutto quella classica, avvolta in una patina di distacco che la rende poco comprensibile. Il timore nasce dall’ignoranza. Se fossi ministro della Cultura inserirei questa materia già dalle scuole elementari.
A 18 anni è arrivata prima al Concorso internazionale di Montreal del 2011, vincendo anche tutti i premi speciali. Si considerava un’eccezione rispetto ai suoi coetanei o sentiva di avere molte cose in comune con loro?
La mia è stata un’adolescenza normale. I miei compagni sono sempre stati affascinati dal mio impegno e mi hanno supportata molto. Il periodo difficile è arrivato dopo la maturità, quando i miei coetanei frequentavano l’università e vivevano la loro giovinezza, mentre io ero spesso in tournée e piena di impegni. Quando poi anche loro hanno iniziato a lavorare, qualcosa è cambiato. La mia professione non è di routine, ma oggi riesco comunque a frequentare i miei amici. E a portare avanti altre passioni, come leggere, camminare per Roma, la città dove vivo, e visitare i luoghi dove eseguo i concerti.
Tra i suoi prossimi impegni di lavoro ci sono gli appuntamenti di Stravinsky’s Love, dedicati al compositore nel 50esimo anno dalla morte. Quale messaggio vuole veicolare con la sua musica?
Igor Stravinsky è un compositore di estrema modernità, anche dopo 100 anni e più dalla creazione delle sue opere. Un esempio è La sagra della primavera, del 1913, che ho scelto di suonare in queste occasioni. Quando l’autore l’ha presentata per la prima volta non ha avuto paura delle opinioni del mondo accademico. Sebbene sia stata un fiasco solenne, che suscitò anche scandalo, la storia poi gli ha dato ragione e il successo è arrivato.
Un’altra sua passione è Fryderyk Chopin, che omaggia nel disco in uscita per Warner Classics il 24 settembre. Quali sono le sue caratteristiche e qualche luogo comune da sfatare?
È definito il poeta del pianoforte: interpretarlo è il sogno di qualunque pianista e sono molto contenta che sia arrivato il mio momento. Per le incisioni dell’album Études Op. 25 - 4 scherzi ho scelto composizioni caratterizzate da grandi estremi e contrasti, tra poesia e follia visionaria. Di solito lo si ritiene un compositore zuccheroso e commovente, ma Chopin sa esprimere anche drammaticità. È un romantico, nel vero senso della parola, capace di provocare effetti tempestosi.
Classiche Forme 2020 © Daniele Coricciati
Nel 2017 ha fondato il festival di musica da camera Classiche Forme, in programma a Lecce. Qual è l’idea di fondo dell’evento e come si svolge?
È un modo per restituire al mio Salento, dove sono nata, tutto quello che ho ricevuto. Porto qui la bellezza che vedo nel mondo, riprendendo la modalità della residenza artistica. Per l’occasione arrivano in Puglia molti amici musicisti, che vogliono trascorrere del tempo insieme ed esibirsi. Il palcoscenico delle performance è un Salento non convenzionale. Oltre al mare bellissimo, c’è l’entroterra con masserie, uliveti e chiostri barocchi di solito non accessibili. Si crea un legame forte tra noi, il territorio e gli spettatori, in un’atmosfera molto diversa da quella di una sala.
Portare le esibizioni nelle masserie e nelle aziende agricole è stata una sua idea?
Ho creato una formula che definisco “in campo aperto”. Prevede concerti tra uliveti e vigneti, e un programma a sorpresa. È un modo per liberarsi da tanti rituali distorti legati alla musica classica. A contatto con la natura, senza filtri, senza palchi né platee, perché il pubblico si deve sentire parte dell’evento. Voglio che chiunque si goda il momento, soprattutto i giovani. Non importa se non si sa quando applaudire, anzi invito anche chi è più abituato all’ascolto a farlo in modo spontaneo.
Dal 2020 è anche direttrice artistica dell’Orchestra Filarmonica di Benevento, un altro impegno importante per lei.
Abbiamo presentato da poco la stagione. La programmazione, nonostante il Covid-19, è una bella avventura. È una realtà diversa da quella pugliese, sebbene siano entrambe al Sud. L’orchestra beneventana è fuori da ogni tradizione italiana perché molto innovativa e ha un direttivo formato da sei giovani professionisti.
Queste esperienze di organizzazione e direzione cosa le insegnano?
Di sicuro ho conosciuto il mio mondo dal lato della creatività del processo. E ho imparato che è importante lavorare in una bella squadra, perché da soli non è possibile fare tutto. Ora osservo e apprezzo anche i piccoli dettagli, come la presenza di una bottiglietta d’acqua in camerino, che qualcuno evidentemente si è preoccupato di portare.
A proposito di squadra, lei si è esibita con molti artisti e rinomati direttori d’orchestra. Che tipo di legame vi unisce?
Ho la fortuna di lavorare con tantissimi musicisti. Se è vero che il pianista può fare il suo lavoro da solo, sul palcoscenico, suonare con maestri d’eccezione non può che essere motivo di arricchimento.
In Italia viaggia spesso in treno?
Non lo dico per piaggeria, ma è il mio mezzo di trasporto preferito. In treno riesco a ritagliarmi una dimensione solo per me, passando il tempo a leggere. Ho ricordi di momenti indimenticabili vissuti immersa nella lettura e osservando paesaggi e scenari che altrimenti non avrei mai visto.
Articolo tratto da La Freccia