In cover, il Bosco verticale a Milano © Boeri Studio/Giovanni Nardi

Una delle espressioni che meglio possono definire lo spirito dell’architettura concepita da Stefano Boeri è guardare oltre, al di là dei concetti, dei paradigmi e delle consuetudini. L’architetto milanese ha sviluppato visioni urbanistiche originali e precorritrici dei tempi, ha portato nello sviluppo in altezza delle città il concetto di vegetale: il suo pluripremiato Bosco verticale è un segno distintivo del nostro tempo. Concetto esportato con successo anche all’estero, dall’Europa alla Cina, con spazi verdi concettualmente evoluti e di perfetta fruibilità. Boeri ha poi iniziato a tracciare la via della rivalutazione dei borghi, dei piccoli agglomerati urbani troppo spesso dimenticati e abbandonati, individuando in quella dimensione a misura d’uomo uno dei modi di vivere la comunità del prossimo futuro. Paradossalmente, la situazione causata dalla pandemia ha solo accelerato e concretizzato la sua (pre)visione.

 

Quali cambiamenti prevedi nelle città e cosa servirebbe per vivere di nuovo bene in ambito urbano?

Abbiamo capito che esiste una differenza tra il concetto di comunità e prossimità e quello di congestione e folla, due realtà molto diverse. Dovremmo andare sempre più verso la dimensione della prossimità, la vita che ci aspetta nelle città dovrà essere in grado di valorizzare la dimensione del quartiere, del vicinato, del borgo, dove le relazioni interpersonali sono fattibili con spostamenti in dieci, 15 minuti a piedi o in bicicletta. E dove poter usufruire di servizi commerciali, formativi, sanitari e culturali in prossimità. Rinunceremo sempre più all’area urbana con grandi attrattori di folla. Quella, insomma, che ha fatto la storia delle città europee con le fabbriche, i mercati generali, gli stadi e i centri commerciali. Quella modalità di fare comunità dove c’è congestione sarà per forza di cose, almeno per un certo periodo, molto più debole. Si perde qualcosa, ma si guadagna molto con la riscoperta di una dimensione di quartiere come quella che abbiamo vissuto negli ultimi mesi.

 

Cambierà il nostro stile di vita?

Penso che questa pandemia non abbia rivoluzionato nulla, bensì accelerato evoluzioni già in corso per giungere a quella che definisco una metropoli arcipelago. Pensiamo al remote working e all’home working: non sono certo nati nel febbraio 2020. La torre dell’Allianz a Milano, progettata dall’architetto Arata Isozaki, già due anni fa ospitava una scrivania ogni due dipendenti, seguendo l’attitudine al lavoro che si sposta insieme alla persona invece di essere localizzato in un preciso luogo fisico. Questo concetto è stato compreso, metabolizzato e inserito nella vita quotidiana di milioni di persone di qualsiasi età e origine. Così come è cresciuta in maniera incredibile l’alfabetizzazione digitale: ci sarebbero voluti anni affinché la popolazione si impadronisse in questo modo degli strumenti tecnologici.

L’architetto Stefano Boeri © Chiara Cadeddu

L’architetto Stefano Boeri © Chiara Cadeddu

Anche nelle abitazioni si avrà una trasformazione degli spazi e del loro utilizzo?

Farà parte della grande transizione della città, anche rispetto alla divisione del tempo in macrocategorie quali il lavoro, la residenza e il tempo libero. Categorie che tenderanno a sparire, perché lavorando da casa si va in ufficio per condividere momenti di socializzazione creativa. Una modalità effettivamente più fluida, ma anche qui siamo di fronte a una velocizzazione più che a una novità.

 

Tu sei sempre stato un precursore nella nuova concezione delle aree urbane.

Non so se ho anticipato qualcosa, certo quello che riconosco, ed è un po’ la mia ossessione, è aver avviato il confronto tra l’architettura e la sfera vegetale. Il mondo della natura vivente, concetto che si è tradotto in Expo Milano 2015, nel Bosco verticale o Metrobosco, già 14 anni fa anticipava la forestazione urbana che poi siamo riusciti a realizzare. Ecco, avevamo capito che questo sarebbe stato un campo d’azione fondamentale.

 

Ambiente e sostenibilità sono ancora punti fondanti dello sviluppo futuro?

Certamente, ma la parola sostenibilità è diventata vaga, io la tradurrei in autosufficienza energetica, con edifici che funzionano da produttori e catalizzatori di energia pulita. Serve una qualità della vita finalmente accettabile nelle nostre città. Quindi benessere e salute, chiudendo alla mobilità privata che utilizza carburanti fossili e dando impulso alla riforma dei sistemi di riscaldamento di immobili residenziali e uffici, oggi elemento inquinante tra i peggiori. E poi forestazione, verde ovunque per ridurre il calore assorbendo polveri sottili e Co2, un grande progetto di benessere collettivo e democratico non più rinviabile.

 

Alcuni progetti si concretizzeranno tra alcuni anni, come vivi questa sensazione rispetto all’incertezza del momento?

In questa fase tutti sentiamo una forte fragilità, ma è anche un momento di grandi opportunità, tutti i fenomeni che abbiamo osservato negli ultimi anni si presentano nella forma più intensa. Il tema della prossima Triennale di Milano sarà Lo sconosciuto. Ci siamo accorti che conosciamo veramente poco non solo l’universo, gli oceani o la tecnologia ma anche il nostro corpo, basta un piccolo elemento virale per mettere a repentaglio un’intera specie. La dimensione dello sconosciuto inteso come ciò che “non sappiamo di non sapere” è cresciuta e riguarda anche la capacità di previsione. Però questa consapevole incertezza può generare una fase fertile che ci porta a cambiare prospettiva sulle cose, con scelte abbastanza straordinarie anche in campo creativo.

L’Italia rinasce con un fiore, padiglione per la campagna di vaccinazione anti Covid-19 © Stefano Boeri Architetti

L’Italia rinasce con un fiore, padiglione per la campagna di vaccinazione anti Covid-19 © Stefano Boeri Architetti

La cultura sarà un elemento importante per la ripresa?

La cultura, linfa transnazionale e fondamentale, ci consente, meglio dei codici della politica o dei programmi scolastici, di discutere su questo presente che pare non avere futuro e di affrontarlo con coraggio e, spesso, in modo anticipatorio. Tutti i maggiori protagonisti della cultura sono esploratori, come il regista e scenografo Romeo Castellucci che abbiamo invitato per quattro anni a lavorare con noi in Triennale. Ecco, lui non si è mai fermato: ha prodotto immaginari e questioni, anche in modo perturbante, facendoci riflettere su ciò che siamo e che potremo essere.

 

Ti manca viaggiare?

Tantissimo, anche se non muoversi ha dei vantaggi, hai tempo per approfondire e credo di non aver mai lavorato tanto in studio come in questi mesi.

 

Senza la tangibilità del tuo lavoro…

Non siamo mai stati impegnati su tanti cantieri come in questo periodo, senza poterli seguire sul posto. Lavoriamo a distanza sulle fotografie, i video, la realtà aumentata, ma indubbiamente è un’altra cosa, purtroppo.

 

I padiglioni per la campagna di vaccinazione anti Covid-19 sono un tuo progetto. Hai fiducia nella scienza?

Le due grandi forze di questo periodo terribile sono state la generosità sociale verso i più deboli e la ricerca che, in pochi mesi, ha prodotto diversi vaccini. È stata una grande, grandissima risposta alla tempesta che ha travolto il genere umano, come l’ha definita il Papa. Abbiamo scelto un fiore, la primula, come simbolo capace di parlare a tutti indipendentemente dall’età, la cultura, l’origine, la fede e la geografia. La vaccinazione è un fatto importante perché schiude un futuro migliore e genera rinascita nei rapporti sociali. Un segno popolare, sono felice della scelta e la rivendico: siamo stati il primo Paese occidentale a subire il Covid-19, ora mettiamo in campo la bellezza come strumento per uscirne.

Articolo tratto da La Freccia