Decisa, netta, organizzata. E preceduta dal suo curriculum vitae, un lungo crescendo di studi e incarichi. Antonella Polimeni, classe ’62, accademica, medico e professore ordinario di Malattie odontostomatologiche è la nuova rettrice della Sapienza, l’università più grande d’Europa e tra le più antiche del mondo. Ribatte a ogni domanda con determinazione, nessun fronzolo dialettico, ma non chiedetele come si sente a essere la prima donna a condurre l’ateneo romano – «per carità non è certo questa la notizia» – perché lei vuol parlare di merito e metodo.

 

Professoressa Polimeni, quali passi hanno segnato la sua elezione?

Un’esperienza lunga 25 anni all’interno dell’ateneo, quindi un percorso di conduzione e gestione di alcuni tra i suoi organi più importanti, tra cui il Consiglio di amministrazione. Ho ricoperto anche numerosi incarichi, fino alla presidenza della facoltà di Medicina dal 2018. Ma anche la mia esperienza professionale e accademica e il mio programma, frutto del lavoro di condivisione con i colleghi di tutte le facoltà, sono alla base del buon risultato. Ho saputo mettere insieme un grande team di competenze, puntando molto sulla partecipazione a obiettivi comuni. Una caratteristica tipica della leadership femminile: le donne sono più adatte al lavoro di squadra e meglio interpretano la guida come adesione a un metodo che porta a raggiungere insieme il risultato. Tutto questo mi ha consentito di essere eletta al primo turno (con il 60,7% dei voti, ndr): un caso unico per Sapienza. Ecco la vera notizia, non il fatto che io sia di genere femminile.

 

Resta però un fatto che, attualmente, solo sette donne in Italia ricoprono questo incarico, contro 77 uomini.

Capisco che l’impatto mediatico sia stato grande, si tratta di 717 anni di direzione maschile della Sapienza, ma almeno il tetto di cristallo è stato incrinato. Credo si debba lavorare molto sulla consapevolezza e sull’empowerment di genere. Il messaggio che deve passare, soprattutto alle più giovani, è che tutto si può fare ma occorre diventare autorevoli. Un tema che si porta dietro la capacità di valorizzare le competenze e la promozione dei migliori, uomini o donne che siano. Il mio motto da sempre è: «Pari opportunità per pari capacità». Il grande problema per le donne è che ci sono ostacoli reali nella professione, derivanti soprattutto dal difficile equilibrio tra la vita personale e quella lavorativa. Sulle politiche di conciliazione lavoro-famiglia serve un impegno urgente. Non si può essere costrette a scegliere tra l’uno e l’altro. Oltretutto, questo macrotema si interseca con quello della denatalità, correlata a tali difficoltà.

 

I primi provvedimenti del suo programma?

Tra i punti cardine c’è quello di rendere l’ateneo sempre più inclusivo per i nostri studenti e studentesse. Una delle prime iniziative da intraprendere, specie in questa fase di didattica a distanza, sarà quella di mettere a disposizione alcuni spazi per dare la possibilità, soprattutto ai fuori sede, di studiare in luoghi adeguati, sicuri e connessi con WiFi.

 

In questo momento difficile, che ruolo può avere l’università per la ripresa del Paese?

Direi strategico. Ricerca e formazione sono leve fondamentali per il Paese e investire su questo aiuterebbe anche la crescita del Pil. Aggiungo che, avendo in Sapienza due policlinici di formazione in cui studia il 10% della classe sanitaria nazionale tra medici, odontoiatri e altre professioni ospedaliere, è necessaria anche una riflessione sulla sanità pubblica, che in questo periodo ha dimostrato un ruolo centrale.

 

Perché mancano medici in questa fase di emergenza?

L’accesso ai corsi di medicina è legato alla capacità delle strutture che formano alla professione, ovvero gli ospedali. L’imbuto si ha per le specializzazioni, cioè i laureati in medicina sono più dei posti disponibili nelle scuole di qualificazione. Il momento pandemico ha acceso un faro su questo trend. Dobbiamo continuare a migliorare e reindirizzare in maniera equilibrata una corretta programmazione.

L'aula magna dell'Università Sapienza

L'aula magna dell'Università Sapienza

Lei è esperta di medicina e scienza, ma la sua università ha anche una tradizione umanistica consolidata. Sono due eccellenze separate?

No, anzi, il claim del mio programma è: «Insieme attraversiamo i confini e permeiamo il futuro». La ricerca più strategica è quella che io definisco transdisciplinare. La contaminazione tra i saperi è la chiave di volta per una progettualità didattica, utile anche per accedere a un mondo professionale che privilegia sempre di più figure multitasking.

 

Sapienza raggiunge spesso un’ottima posizione nelle classifiche internazionali. Una conferma anche quest’anno?

Secondo la classifica World Reputation Ranking 2020 stilata dall’agenzia Times Higher Education è la prima università italiana. Una posizione eccellente, perché è l’unico ateneo nazionale nella fascia top a livello mondiale. E conferma una leadership in crescita. Per quanto riguarda le aree di studio, la classifica QS by Subject ci colloca al secondo posto nel mondo in Arts and Humanities. Secondo l’Academic Ranking of World Universities by subject di Shanghai, l’ateneo nel 2019 si è piazzato tra i primi 50 a livello mondiale, nelle materie Aerospace Engineering, Automation &Control, Physics.

 

Una buona reputazione che va avanti da sette secoli.

L’università vanta premi Nobel come Guglielmo Marconi, Carlo Rubbia, Franco Modigliani e Luigi Pirandello. Nel tempo sono saliti in cattedra Niccolò Copernico, Giuseppe Ungaretti, Aldo Moro e Massimo D’Antona. E nelle aule hanno studiato Maria Montessori, Ettore Maiorana, Carlo Verdone e Alberto Angela, come anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Insomma, un vero parterre de rois. Oggi l’ateneo conta 120mila studenti (il 57,26 % sono donne), 3.300 docenti, 287 corsi di laurea, 177 master, 85 corsi di dottorato di ricerca, 84 di specializzazione.

 

Che consiglio darebbe a chi vuole intraprendere e portare a termine un percorso universitario?

La chiave del successo è una scelta consapevole. Occorre rafforzare le attività di orientamento, a cominciare dalle scuole, fin dalle medie. Sono necessarie delle figure di mentorship, anche per evitare la disparità di genere. Come detto, le studentesse in Sapienza sono la maggioranza, ma nell’ambito della docenza, solo il 27% dei professori ordinari è costituito da donne. È il fenomeno della segregazione verticale che vede i numeri diminuire man mano che si sale di livello nella carriera accademica.

 

Professoressa, lei è stata la prima ma non sarà l’ultima, per citare Kamala Harris, vicepresidente degli Stati Uniti. È d’accordo?

Sì, perché sono un’inguaribile ottimista. So anche che posso contare su una comunità “biodiversa”, perché nella mia università, oltre alle competenze, ci sono le sensibilità e le differenze che io considero delle risorse.

 

Quando e come inizia la sua giornata?

Prestissimo, da sempre. Comincia tra le sette e le sette e mezzo, orario in cui mi concentro meglio e metto a punto la mappa di una lunga giornata di responsabilità.

 

Quali novità apporterà alla Sapienza?

Sarà più aperta e inclusiva, internazionale ed eccellente. Sempre con il più davanti, perché chi mi ha preceduto ha fatto un gran lavoro.

Tratto da La Freccia di gennaio