Dalla Romagna al capoluogo toscano su un treno che attraversa paesi, lambisce colline dorate, si inoltra in boschi tinti d’autunno, addentrandosi nella pancia di montagne appenniniche. Da Faenza (RA) a Firenze, un viaggio diretto di nemmeno due ore, su un Regionale che durante la settimana è pieno di studenti e pendolari e nel weekend brulica di adolescenti in libera uscita, diretti sui Lungarni per il sabato del villaggio.
Un pezzo di Toscana, più vicina all’Adriatico che al Tirreno, poco battuta dal turismo dei grandi numeri e capace ancora di trattenere la lentezza dei piccoli centri di montagna o l’atmosfera incontaminata di cittadine ricche di storia, natura ancora indomita, crinali silvestri, torrenti che scivolano sornioni e piatti dai gusti schietti della terra e del sottobosco. È il paesaggio incontrato sulla centenaria ferrovia Faentina che collega Firenze con la città delle ceramiche, scavallando l’Appennino tosco-romagnolo, via Borgo San Lorenzo. Una delle tratte segnalate nella Guida che Giunti ha pubblicato per Trenitalia, I Regionali da vivere. Toscana in treno.
IN BILICO TRA DUE REGIONI
Partendo a ritroso dalla Romagna, il sole in faccia a riverberare filari di frutteti e vigne in pieno fermento, si incontra quasi subito Brisighella (RA), riconoscendo in alto, appollaiato sulla roccia, il fortilizio turrito con l’orologio. Poi è un susseguirsi di frazioncine, orti e trattori che corrono paralleli ai binari. I campi coltivati, vestiti coi toni di stagione, lasciano il posto alla boscaglia, sempre più fitta via via che la Toscana si avvicina.
L’andatura del viaggio è ovattata, quasi sonnacchiosa. I vagoni in questo tratto paiono arrampicarsi in salita, scivolare verso l’alto, stabilizzarsi sul crinale, procedono fuori e dentro a castagneti, faggeti e querceti, in una tavolozza di verdi, gialli e rossi d’autunno. Tra una galleria e l’altra scompaiono e ricompaiono dal finestrino rilievi sassosi, casali e fattorie incastonati nei panorami, mentre qualche campanile in pietra si fa spazio tra ulivi, vigne o alti prati.
MISCELA DI SAPORI E TRADIZIONI
In Toscana si incontra Marradi, il più distante tra i paesi fiorentini, oltre il passo della Colla, bagnato dalle acque del fiume Lamone e in bilico sull’Appennino tra due regioni. Di entrambe miscela piatti e sapori, tra cappelletti chiusi ancora a mano e salumi da tagliare, ravioli di ricotta e tagliatelle al fungo porcino e, in questa stagione, tutto ciò che è possibile cucinare a base di marrone (prodotto per eccellenza della zona). Inaspettate, per un paese dell’Alto Mugello, le residenze signorili che si stagliano intorno alla porticata piazza Scalelle, ricordando i palazzi nobili delle vie di Firenze. Vi abitarono i casati dei Fabroni da Pistoia e dei Torriani da Milano, quassù esiliati nel Rinascimento.
Ottobre è il mese ideale per trascorrere qualche ora nel paese toscano che ha dato i natali al poeta Dino Campana, autore dei Canti orfici, e mischiare poesia a tradizioni. Nelle domeniche 10, 17, 24 e 31, la rinomata Sagra delle castagne anima il centro storico con il marrone di Marradi a insaporire ogni torta e declinazione di dolcetto: tortelli zuccherati, castagnaccio, marmellate, marron glacé e caldarroste bruciate in strada.
Da Faenza, Rimini, Forlì e Cesena ripartono, in occasione di questa festa popolare, gli storici treni a vapore messi a disposizione da Fondazione FS per raggiungere Marradi. La passeggiata culturale, invece, prevede la visita al Teatro degli Animosi, tra i più piccoli d’Italia, una sosta nella chiesa di San Lorenzo davanti alle tavole policrome del maestro di Marradi, e una tappa al Centro studi Campaniani dove sono custodite le copie autografe del poeta maledetto e alcuni suoi documenti biografici.
DALLA MONTAGNA ALLA COLLINA
Dopo Marradi la tratta ferroviaria continua a salire, lasciando in basso case, frazioni e mostrando i tetti rossi di Biforco e Crespino del Lamone. Il treno decolla e sembra correre su una rotaia sospesa nel vuoto, guadando letteralmente in mezzo alla radura in un susseguirsi di tunnel e sprazzi di vedute godute dall’alto: passerelle sui torrenti, chiesette in pietra, scene fugaci di vita quotidiana, vallate profonde.
Da Ronta il Mugello si ammorbidisce e l’orizzonte si apre a campi coltivati e pianeggianti, spuntano cipressi e fattorie e i binari riscendono avvicinandosi alle case, con la strada che corre accanto. Dalla montagna si passa alla collina fino ad arrivare al principale centro abitato mugellano, Borgo San Lorenzo, allungato su un territorio vario, che dal fondovalle del fiume Sieve si alza oltre i mille metri. Nel centro storico molte sono le tracce e i monumenti che indicano un passato di stratificazioni e passaggi: fondamenta romane, mura medievali, edifici del Granducato.
PORTE ANTICHE E CERAMICHE
La pieve di San Lorenzo, imponente e vestita di laterizio, sfoggia un campanile esagonale e ospita all’interno una presunta Madonna giottesca, una di Agnolo Gaddi e un’abside affrescata, il secolo scorso, da Galileo Chini, tra i massimi esponenti del Liberty italiano. Attraverso la Torre dell’orologio in piazza Cavour o Porta Fiorentina in via Mazzini, i due unici accessi trecenteschi che hanno resistito all’usura del tempo e alle scosse di terremoto, ci si addentra nei vicoletti incastrati tra le case e pieni di negozi
In queste zone è d’obbligo assaggiare, in ogni stagione, i tortelli di patate, conditi riccamente con ragù di carne – di selvaggina per palati audaci – abbinati a un calice di rosso robusto. Ceramiche colorate, vetrate e mosaici di Chini sono invece raccolte ed esposte a Villa Pecori Giraldi, in un percorso museale tra arredi deco e suppellettili d’antiquariato. Il viaggio prosegue in pianura verso Firenze, con fermate a San Piero a Sieve, Vaglia e Caldine dove, ordinate e tempestate di ville e cipressi, appaiono le colline di Fiesole, assaggio di una delle più rassicuranti vedute godibili dalla Città del Giglio.
Articolo tratto da La Freccia
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04 ottobre 2021