Annetta, voce narrante, e sua madre Sofia – protagoniste del romanzo d’esordio di Carmen Verde – sono figure complesse, articolate, indecifrabili, mentre i pochi personaggi maschili sono appena abbozzati. Il padre della piccola Annetta è quasi sempre assente o ritratto nel buio del suo negozio. Solo in un episodio, alla luce del sole, la bambina riuscirà a vederlo in tutta la sua statura e imponenza fisica, mentre nel resto del racconto sarà una figura quasi invisibile e accondiscendente. Gli amanti di Sofia Vivier sono solo delle ombre di passaggio nei lunghi giorni di questa donna tanto bella quanto irrequieta e incapace di colmare il vuoto che la tristezza le scava dentro, impedendole di prestare attenzione a chi la circonda. Annetta osserva, senza giudicare, questa madre splendida che ama in modo disfunzionale e di cui vorrebbe meritare lo sguardo che da sempre le è negato.
La bambina, infatti, non cresce in altezza e non riesce mai a distaccarsi dall’imponente seppur fragile figura materna e da quella della nonna. Il romanzo si svolge per gran parte in casa, nei rituali di una famiglia fuori da qualsiasi logica, che nel loro ripetersi insensato sono l’unico rifugio di Annetta. Sarà la domestica Clara Bigi, altra protagonista femminile, a invadere quello strano equilibrio, con la sua ostinata volontà di piegare la bambina alle sue regole e di offuscare il carisma della madre, impossessandosi in qual[1]che modo delle loro vite.
Tutti i personaggi sono impregnati di questa infelicità, che non ha una provenienza precisa ma è lì in ogni istante, nello spazio circostante, e viene invocata quando sembra mancare. Non ci sono mai eccessi, sbavature, nella scrittura dell’autrice, sapiente e misurata, e allo stesso tempo trascinante e ipnotica, nel suo esercizio di togliere e suscita[1]re emozioni intense nello spazio di poche parole. L’autrice riesce nel miracolo di trascinarci nel mondo di Annetta, sempre più piccolo e ristretto come le stanze della sua casa, chiuse e disabitate una a una, rendendoci testimoni in prima per[1]sona di questa spirale di lievi dolori, che a forza di ripetersi scavano un solco nelle nostre anime.
Una scrittura sobria, minimale, elegante, fatta anche di silenzi e non detti, che alterna ricordi a vecchie foto sbiadite, costruendo un mondo miniaturizzato e complesso, da cui è impossibile distogliere lo sguardo. Un romanzo maturo, una penna sicura che non ha bisogno di aggiungere, ma dosa anzi ogni parola con minuziosa precisione, per dare ancora più forza a una storia unica e densa di piccoli gioielli nascosti, destinati a restare impressi nella mente di ogni lettore.
Articolo tratto da La Freccia.
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