Sport e vita all’aria aperta, viaggi e gioia di vivere. Maggio è la primavera con la sua raggiunta pienezza e vitalità che si preparano a esplodere nel trionfo dell’estate, è il grano che inizia a imbiondire e i papaveri a tempestare di rosso prati e fossi.

Maggio è così, e La Freccia lo racconta con una serie di reportage e articoli pieni di luce e passione, mossi dalle pedalate dei campioni del ciclismo lungo la penisola, intrisi di curiosità e prelibatezze còlte nelle terre e nei borghi attraversati dal Giro d’Italia, o sui sentieri che intersecano quelle strade e ripercorrono i passi che furono di viandanti medievali, pellegrini e santi, come San Francesco, tra eremi e scorci di incantevole purezza. Se per La Freccia maggio è questo, vorremmo lo fosse anche per i suoi lettori, in viaggio per lavoro o piacere, e un po’ per tutti. Ma sappiamo che no, non potrà esserlo.

Negli ultimi due editoriali ci siamo sentiti moralmente in dovere di aprire la rivista parlando di guerra, quella in Ucraina. Ci è vicina, si combatte a pochi chilometri da noi, l’attenzione e la visibilità mediatica sono altissime. Dolore e morte la accompagnano, non c’è primavera che tenga.

Ora il rischio, lo ha indicato Papa Francesco, è che se anche non viene ignorata o dimenticata, come sta accadendo per tanti altri conflitti, le nostre menti e coscienze finiscano con l’assuefarsi. E diventi normalità. Certo, la speranza è che ce ne manchi il tempo, le armi tacciano prima. Ma se così non fosse? No, non abbiamo risposte risolutive. Senz’altro quel che dovremmo fare è non smettere mai di pensare all’assurdità e alla folle brutalità della guerra. Ripudiarla con fermezza, pur sapendo che non ci sono ricette universalmente condivise per fermarla o evitarne altre.

Cover La Freccia maggio 2022

Contano tanto, tuttavia, anche l’attenzione e la riflessione su quanto ci accade intorno. Consiglio, a tal riguardo, la recensione di Camilla Baresani de L’amore al tempo dell’odio, dello scrittore tedesco Florian Illies. Un libro da leggere per accorgersi di come – anche durante il decennio precedente, prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale – «a ogni brutale svolta della storia si verifichi una sorta di cecità collettiva che rende l’umanità impreparata, colta di sorpresa».

In ogni caso, davanti alla guerra, la nostra sensibilità deve restare sempre ipertrofica. Comunque ciascuno di noi la pensi, potremmo almeno convenire che ogni vita ha la sua unicità, inviolabilità e sacralità. E partire proprio da qui. Fabrizio De André, in una ballata molto famosa negli anni ‘60, cantava di un soldato che, seppure per niente convinto del suo ufficio e della sua missione, non si fermò, continuò a marciare, finché un giorno vide un uomo «in fondo alla valle» che aveva il suo «stesso identico umore ma la divisa di un altro colore». Il soldato si chiamava Piero. Non se la sentì di sparagli per primo e «vedere gli occhi di un uomo che muore». L’altro non gli ricambiò la cortesia.

Era maggio, il mese peggiore, ammesso ce ne possa essere uno migliore, per morire. L’ultimo pensiero alla sua donna: «Ninetta mia, a crepare di maggio, ci vuole tanto, troppo coraggio». No, non può recare consolazione che, in quella ballata, a vegliare il suo corpo sepolto in un campo di grano fossero mille papaveri rossi. Sì, sono gli stessi che scorgeremo a maggio sui nostri prati e fossi, ma vorremmo portassero soltanto gioia, e vita.

Articolo tratto da La Freccia