In apertura Stefano Mei insieme alla squadra di staffetta 4x100 maschile. Da sinistra: Roberto Rigali, Filippo Tortu, Lorenzo Patta e Marcell Jacobs © Francesca Grana

Ha portato cambiamenti importanti nel mondo della corsa, investendo sui tecnici e sugli atleti, sulla manutenzione e la realizzazione di impianti di atletica che per lui sono «i nuovi oratori, luoghi di aggregazione sana e di condivisione di passioni, dove le società che allenano i ragazzi e le ragazze hanno un ruolo simile a quello del prete». Stefano Mei, che ha vinto il titolo europeo di atletica leggera nei diecimila metri piani a Stoccarda nel 1986 e, dal 2021, è presidente della Federazione italiana di atletica leggera (Fidal), affronta le responsabilità del suo ruolo con la determinazione del mezzofondista: un passo dietro l’altro, guardando diritto all’obiettivo, con la serenità di chi sa di potercela fare. E i risultati, infatti, sono arrivati: successi sportivi, medaglie, crescita della competitività italiana nel settore.

 

La tua gestione ha portato risultati notevoli in tempi brevi. Qual è il segreto?

 

Essere stato un atleta di vertice mi ha indubbiamente aiutato e poi mi è servito l’esempio di Primo Nebiolo, che nella gestione manageriale dello sport ha avuto pochi eguali. Terminata la carriera agonistica volevo restare nell’ambiente in cui mi trovo dall’età di 13 anni e ho scelto la strada dirigenziale. Sono stato prima consigliere federale e poi nazionale del Coni, oltreché presidente dell’Associazione nazionale atleti Olimpici e azzurri d'Italia. Nel 2016 mi sono candidato alla presidenza della Fidal, senza però ottenere l'incarico. Ma una sconfitta insegna molto più di una vittoria: ne fai l’analisi per capire dove hai sbagliato e riprovare. Perciò, nel 2021, ho tentato di nuovo l’impresa e sono diventato presidente. In quel momento, nel mondo dell’atletica non c’erano risultati, solo spese. Con i miei consiglieri e il segretario generale ho attuato una spending review, tagliando costi inutili e ottimizzando le risorse a disposizione. Il mio approccio si basa sul profondo rispetto per l’operato dei tecnici e sulla comprensione totale del lavoro degli atleti. Io so bene cosa pensa uno sportivo prima, durante e dopo una gara.

Steno Mei

Da sinistra: Salvatore Antibo, Stefano Mei e Alberto Cova a Stoccarda 1986

Il tuo mandato si contraddistingue anche per la grande attenzione alle realtà sparse sul territorio.

 

Certamente, è la nostra base. Nell’indirizzare le mie azioni prendo esempio dalle 2.870 società sportive che quotidianamente, tra mille difficoltà, vanno sui campi di atletica e portano avanti i loro obiettivi e i loro valori. Se le piccole società riescono a crescere bene i nostri ragazzi, a maggior ragione deve farlo la federazione nazionale. Abbiamo spostato sul settore tecnico ingenti risorse, 2,8 milioni in più rispetto alla precedente gestione, per le attività di alto livello ma non solo. Speravo di generare un circolo virtuoso che desse risultati e medaglie. Così è avvenuto, portando entusiasmo sul territorio. I risultati dell’altista Gianmarco Tamberi, del velocista Marcell Jacobs, dei marciatori Massimo Stano e Antonella Palmisano, ma anche le vittorie nella staffetta e nei lanci hanno dato forza alle società per attrarre giovani che amano l’atletica. Quando una federazione vince il contesto sportivo e sociale cresce.

 

Non a caso sono più di 300mila i tesserati Fidal che ogni giorno si impegnano per un risultato. Cosa provi?

 

Una sensazione straordinaria che voglio condividere con i presidenti delle società sportive. Parlare con loro mi permette di venire a conoscenza delle tante bellissime storie che danno l’esatta dimensione di quello che è il volontariato in Italia. Una piccola società di atletica non è un business, una pista di atletica non genera reddito, ma è un presidio sociale, di legalità e di salute. La squadra femminile campione d’Italia di corsa su strada viene da Caivano, vicino a Napoli, e sono tante le ragazze e i ragazzi che ne seguono l’esempio. Se costruissimo più piste di atletica sicuramente le persone che si allenano sarebbero di più rispetto a oggi.

 

Cosa ti ha lasciato il tuo trascorso di campione?

 

Il senso di lealtà. Come dico spesso ai ragazzi, il lavoro di atleta dura poco, ma è il momento più bello della nostra vita. Non parliamo di sacrificio, quello che si compie per fare qualcosa che non piace. Qui, se sei bravo, le soddisfazioni sono altissime.

 

Dove sei cresciuto?

A La Spezia. I primi ricordi sono quelli dell’oratorio salesiano, ci andavo di corsa per giocare a pallone e c’era anche il cinema. Penso che, indipendentemente dalla propria religione, avere un luogo di aggregazione sia importante.

 

Poi è arrivata l’atletica. In famiglia come l’hanno presa?

Mi hanno consegnato al mio allenatore Federico Leporati: aveva nove anni più di me, qualcosa in meno di un papà, qualcosa in più di un fratello. Ho avuto per 20 anni la stessa guida.

 

Il momento più bello della tua carriera?

 

Dovrei dire la vittoria agli Europei, che è stata effettivamente bellissima, ma dico il terzo posto ai Mondiali juniores di corsa campestre a Roma. Ero l’unico italiano in mezzo a quattro atleti etiopi arrivati rispettivamente primo, secondo, quarto e quinto. Inoltre, il primo europeo in classifica finale, Francesco Panetta, fece 25 secondi in più di me. In quel momento ho pensato che sarei potuto diventare uno

dei più forti al mondo. 

Stefano Mei

Stefano Mei e Andrea Radic

Quando senti l’inno nazionale pensi più alla bandiera o al podio?

 

Alla bandiera, sempre.

 

Sei stato anche in Polizia.

 

Correvo per le Fiamme oro e dopo il 1995 sono rimasto nell’amministrazione, prima al centro nautico di La Spezia, poi in Emilia-Romagna, a Forlì. Dal 2004 al 2010 ho lavorato nel reparto operativo, sulle volanti. Un’attività che mi ha dato la possibilità di far qualcosa per gli altri di immediatamente riscontrabile.

 

Qual è il profumo della tua infanzia?

 

Non è esattamente un odore ma una sensazione: l’impatto dell’aria fresca, soprattutto d’inverno, quando uscivo dicasa. Facevo i compiti alla scrivania davanti alla finestra. Volevo sempre uscire, star fuori.

 

A giugno ci saranno gli Europei a Roma. Cosa dobbiamo aspettarci?

 

Un gruppo compatto formato da Fidal, Coni, l’azienda pubblica Sport e salute, il dipartimento per lo Sport, il Comune e la Regione sta lavorando al percorso che ci porterà fin lì. Il 6 giugno si terrà il prologo con la qualificazione per il getto del peso di fronte al Colosseo. Dal punto di vista organizzativo siamo in linea con i tempi e, come dico sempre alle riunioni della European Athletic Association, noi italiani siamo bravissimi a lavorare sotto pressione, all’ultimo minuto. I Campionati europei, inoltre, rappresentano per gli atleti una sorta di prova generale delle Olimpiadi in programma tra luglio e agosto a Parigi.

 

Nelle persone cosa apprezzi di più e cosa invece detesti?

 

Mi piace la franchezza. Se qualcuno non è d’accordo con me, mi sta benissimo. Mi dà fastidio, invece, chi dice di essere d’accordo e poi dimostra il contrario. Io sono una persona trasparente, mi aspetto che anche gli altri lo siano.

Stefano Mei

L’amministratore delegato di Trenitalia Luigi Corradi con Stefano Mei © Giuseppe Fama

Che sensazioni provi quando viaggi in treno?

 

Mi riporta all’infanzia, quando da ragazzino prendevo i treni che all’epoca venivano chiamati locali. La tratta era La Spezia-Monterosso, un tragitto che ancora porto nel cuore. Oggi mi muovo molto spesso con le Frecce, le trovo di una comodità assoluta e l’ambiente è molto rilassante. A bordo posso incontrare diverse persone, a me piace molto conoscere gli altri e scambiare opinioni. A volte, quando cerco tranquillità, scelgo l’area silenzio e se non devo lavorare guardo fuori e mi godo i diversi paesaggi che mi scorrono davanti: mare, collina e montagna nel medesimo viaggio. Apprezzo il lavoro che Ferrovie dello Stato Italiane insieme al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sta portando avanti sulla rete. Servono quote maggiori di trasporto su rotaia e meno si va in giro in auto e meglio è. In treno viaggiano anche le nostre società sportive verso i diversi eventi. Quando quest’anno abbiamo siglato la partnership con Trenitalia e affiancato l’immagine del Frecciarossa a quella dell’Atletica è stata una grande soddisfazione. E con il logo sulla maglia i ragazzi hanno vinto la Coppa Europa. Una serie di congiunture favorevoli.

 

Il tuo obiettivo per il 2024?

 

Se fossi un atleta quest’anno impazzirei dalla voglia di cominciare: Mondiali Indoor a Glasgow, nel Regno Unito, Europei in Italia, Olimpiadi a Parigi. Ho fatto le mie stime

e nella capitale francese faremo meglio che a Tokyo nel 2020. Voglio avere 16 o 17 italiani finalisti per conquistare dalle sei alle otto medaglie. Poi staremo a vedere: nella vita non si vince sempre, l’importante è metterci tutto quello che si può dare.