In cover Michelangelo Pistoletto © Pierluigi Di Pietro
Anche per Michelangelo Pistoletto, artista di rilievo internazionale che non ha bisogno di ulteriori presentazioni, il 2020 è stato l'anno del Covid-19, vissuto in prima persona, sulla propria pelle. Vittima del contagio a marzo scorso, ha reagito bene alle cure nell'ospedale di Ponderano, vicino Biella, sconfiggendo il virus a 86 anni.
Ne è seguito un lungo periodo di degenza, fatto di solitudine, ma anche di riflessione. Quando lo raggiungo telefonicamente è nel suo quartier generale Cittadellarte, la Fondazione da lui istituita a Biella, più attivo che mai, con un'agenda già fitta di progetti per il 2021. Lo immagino con la barba canuta che riflette nel suo tipico outfit total black, seduto sulla sua poltrona di cuoio.
Michelangelo, come stai vivendo questo momento?
Come un’esperienza reale, dal vivo. Non è più, infatti, una congettura. Da tempo ero consapevole, come tanti di noi, che la natura prima o poi si sarebbe ribellata nei confronti dell'uomo. Ma ora con la pandemia siamo passati da una possibilità a una realtà, drammatica.
Ti stai dedicando da quasi un ventennio al rapporto che l'uomo deve rifondare con la natura sulla base di nuovi presupposti…
Sì, dal 2003 almeno, quando ho scritto il manifesto del Terzo Paradiso e ne ho disegnato il simbolo, costituito da una riconfigurazione del segno matematico d'infinito. Il Terzo Paradiso è la fusione fra il primo e il secondo Paradiso. Il primo è quello in cui gli esseri umani erano totalmente integrati nella natura, il secondo è artificiale sviluppato grazie alla nostra intelligenza, fino alle dimensioni globali raggiunte oggi con la scienza e la tecnologia. Si è formato un vero e proprio mondo artificiale che, con progressione esponenziale, ingenera, parallelamente agli effetti benefici, processi irreversibili di degrado e consunzione del mondo naturale. Il Terzo Paradiso è la terza fase dell'umanità, che si realizza nella connessione equilibrata tra l'artificio e la natura.
Cittadellarte - Fondazione Pistoletto (Biella), veduta del cortile interno
A cosa stai lavorando ora?
Sto continuando a occuparmi di progetti per riformare e rigenerare i principi, i comportamenti, i rapporti tra tutti gli elementi che compongono la società, dalla politica all'architettura, dalle strategie energetiche all'istruzione. Ognuno deve assumere la propria responsabilità in questa nuova prospettiva globale da costruire, in questa nuova creatività in equilibrio con la natura. Qui noi artisti possiamo dare un contributo determinante. Tra i miei progetti più recenti c'è Let Eat Bi, con lo scopo di favorire la produzione e il consumo agroalimentare a chilometro zero, per ripensare i nostri centri abitati, in questo caso Bi sta per Biella, come città arcipelago nel verde. Let Eat Bi ha come obiettivo principale Terre AbbanDonate, una piattaforma web per promuovere l'incontro tra proprietari che non possono o non vogliono più prendersi cura dei loro terreni e quei cittadini che invece vorrebbero coltivarne uno ma non lo hanno. Il sito consente di incrociare la domanda (attraverso l'anagrafe solidale) con l'offerta (iscrivendosi al catasto solidale), uno strumento valido per stimolare la nascita di buone pratiche territoriali.
Questo 2020 così difficile volge al termine, siamo a dicembre. Qual è il tuo più bel ricordo di un Natale passato?
Risale al 1944. C'era la guerra, con la mia famiglia eravamo sfollati da Torino a Gravere, in Val di Susa, dai miei nonni. Soffrivamo la fame, somigliavamo a scheletrini che camminavano. Ricordo ancora bene, come fosse ieri, l'invito di alcuni amici contadini a fare il pranzo del 25 dicembre insieme. Ci accolsero nella loro stalla. Appena entrai, fui travolto dall'odore acre del letame e delle mucche riparate all'interno. Eppure fu il più bel Natale, avvolti dal tepore della stalla, mentre mangiavamo degli agnolotti fatti in casa. Per qualche ora ci sembrò di essere usciti dalla guerra e dal suo incubo.
Qual è il viaggio, interiore o fisico che ti auguri di compiere in questo Natale?
Sarebbe bello andare a sciare a San Sicario, nell'alta Val Susa, se le stazioni sciistiche dovessero rimanere aperte.
Sperando che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensi sarà il 2021?
Un anno di cambiamento necessario. Necessario perché, oltretutto, non possiamo essere certi che la natura non continui a ribellarsi ancora. Anzi, già lo sta facendo. Basti pensare agli effetti periodici delle variazioni climatiche e del dissesto idrogeologico. Per fare un esempio che mi tocca da vicino, un'alluvione ha colpito Cittadellarte la notte tra il 2 e il 3 ottobre scorso, provocando il crollo di 1.300 m² di spazi espositivi, ricreativi e didattici. Abbiamo perso Hydro, le Terme Culturali e alcune aule dell'Accademia Unidee. Il 2021 sarà, quindi, anche l'anno della ricostruzione di Cittadellarte.
Articolo tratto da La Freccia
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