A 21 anni di distanza da Arie Sacre, il tenore Andrea Bocelli torna con Believe, un altro album di musica sacra con cui mira a bissare il successo del primo che, forte di cinque milioni di copie vendute all over the world, risulta il disco di classica realizzato da un solista più venduto di tutti i tempi. In attesa che apra la sede fiorentina della sua associazione benefica Andrea Bocelli Foundation, l’interprete e cantautore ci racconta il nuovo progetto musicale.

 

Believe significa “credere”. Quanto è importante, oggi, questa parola?

Credere è una sfida che vale la pena d’essere giocata. «Se vincete, vincete tutto, se perdete, non perdete nulla», diceva il filosofo Blaise Pascal. Pensare che sia il caso a ì sovrintendere la vita è poco conveniente e logico. Una considerazione che va oltre le dottrine e consente di imboccare la strada giusta al primo, fondamentale bivio: avere o non avere fede. Il concept dell’album ruota intorno a tre concetti fondamentali: fede, speranza e carità. Virtù teologali fondamenti dell’agire cristiano.

 

Qual è l’obiettivo di questo lavoro?

L’idea nasce in pieno lockdown, dalla volontà di proporre un progetto diverso: ho voluto fare un disco che parlasse essenzialmente allo spirito. E proponesse un percorso in grado di incentivare l’ascoltatore a incontrare la propria dimensione interiore, a carpirne le ragioni.

 

Cosa vuole regalare a chi ascolta i brani?

Un cielo terso, un po’ di serenità. Mai come oggi c’è bisogno di ricominciare a dialogare con la nostra anima. Believe è il mio contributo, un momento di sollievo e

ottimismo, che è un atteggiamento vincente: la paura – ha detto qualcuno – è probabilmente la sola cosa di cui si debba avere timore. Non bisogna perdere la serenità, sprecando energie e difese immunitarie dietro al panico e allo stress.

 

Nel disco spicca un inedito di Ennio Morricone. Cosa ha significato interpretarlo?

Una grande emozione e responsabilità. Inno sussurrato è un piccolo gioiello, tra gli ultimi atti creativi del grande Maestro. Mi commuove e riempie di gioia cantare questa preghiera composta un mese prima della sua scomparsa. Emerge la cifra poetica di Morricone: una parte sussurrata che poi cresce e diventa voce e preghiera corale universale.

 

Come ha scelto la tracklist?

L’album ha una dimensione quasi sperimentale, è un florilegio eterogeneo capace di parlare al cuore. Accanto a capolavori classici ho affiancato canzoni non legate alla religione, ma intrise di religiosità, tra cui Hallelujah di Leonard Cohen. Oltre a brani di una spiritualità schietta e popolare come Mira il tuo popolo, propongo due preghiere che ho musicato io stesso: un Padre nostro che realizzai anni fa e un’Ave Maria sgorgata dall’anima, in pieno lockdown.

Duetta anche con la cantante lirica Cecilia Bartoli e con Alison Krauss, vincitrice di 27 Grammy Award. Com’è stato lavorare con loro?

Due artiste eccezionali. Cecilia è un’amica, oltre a essere il miglior mezzosoprano in attività. Con lei interpreto due brani, uno dei quali è Pianissimo, inedito di Mauro Malavasi sul dialogo tra due innamorati che percepiscono lo sguardo di Dio benedire la loro unione. Alison è un’icona della musica americana e sono felice di aver cantato con lei in Amazing Grace, famosissimo inno di ringraziamento.

 

Come trascorrerà il Natale?

In famiglia. Quest’anno sarà un momento importante per pregare, porci in ascolto, festeggiare il compleanno del mondo e di Colui che ci ha donato il miracolo della vita. Un’occasione per rinsaldare la fiducia e ricordarsi che, anche dopo la notte più buia, sorge sempre il sole.

 

Sperando che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensa sarà il 2021?

Sono ottimista. Credo che, attraverso questo virus, il mondo ci abbia dato un avvertimento. Spero sapremo imparare la lezione, per cambiare il nostro atteggiamento verso la Terra, di cui siamo chiassosi inquilini. Potremo uscirne migliori partendo dall’altruismo, medicina che ci distoglie dal mettere al centro dell’universo

difficoltà e angosce. Essere caritatevoli è – come ha detto qualcuno – un modo per restituire alla vita quel senso che l’individualismo non potrà mai dargli.