In cover Chiara Francini © Maria La Torre
Novelle fatte di vita, che ci parlano di quello che siamo, piene di speranza e ironia. «Non ci poteva essere periodo migliore per l’uscita di questo libro. Spero di regalare accoglienza, abbracci, calore, cose di cui ora abbiamo davvero bisogno, che per adesso solo Rollone il Vichingo, il mio gatto, riesce a darmi». Parte sicura di sé e genuina Chiara Francini, parlando del suo Il cielo stellato fa le fusa, in libreria dal 1° dicembre. Tra i ringraziamenti a fine libro si legge: «Al Natale e ai miei due alberi, che sì, tengo fissi in casa e accesi da 15 anni. Perché mi danno felicità, che è l’unica ragione per cui si deve stare al mondo». Un ottimo spunto per ripartire.
Il cielo stellato fa le fusa è ambientato nella tua Firenze. In una villa «avvolta da ampio e odoroso parco che se ne sta a Fiesole, la nobildonna più alta e ambita della città tutta», scrivi nelle prime pagine. Per te cos’è Fiesole?
È casa, sono cresciuta a Campi Bisenzio e ho studiato a Firenze, sono quella che sono anche per il fatto di essere fiorentina, ma soprattutto una ragazza di paese. E poi i toscani sono sanguigni, caustici, taglienti e meravigliosamente amari, come ci insegnano Dante Alighieri, Boccaccio, Mario Monicelli.
I protagonisti della tua storia rimangono bloccati per sei giorni nella villa dove si sono ritrovati per seguire un convegno. Ti sei ispirata alla pandemia?
Sembra scritto ora ma l’idea nasce prima dell’emergenza sanitaria. Anche se la chiusura forzata a causa della peste fa pensare al lockdown. Nella villa, i personaggi decidono di narrare delle novelle, come nel Decamerone di Boccaccio, che qui diventa un Sexemeron. Sono racconti attuali, anche se parlano di storie antiche, donne e poeti, beffe e magie, narrati da esseri umani molto diversi tra loro. Amo mettere in evidenza tutte le tinte, le sfumature, le ombre e gli spiragli di luce della natura umana.
Però, c’è anche il gatto. «Per farlo parlare basta ascoltarlo», scrivi. Hai un’incontenibile passione per chi parla la lingua “miao”…
Eh sì, qui accanto a me c’è Rollone il Vichingo. Narratore onnisciente, profondamente umano, tenero e allo stesso tempo misterioso, ironico, molto simile all’essere fiorentino. Trovo irresistibile il fatto che sia lui la voce narrante, lui che sa sempre tutto, guarda, osserva ma resta sempre genuino, vero. Il mio amore per queste creature si capisce bene nella novella Mi chiamo Serafina. Vogliatemi bene, la storia della prima gatta di mio nonno, che è nato a Gattaia, e non aggiungo altro (ride, ndr).
Cibo e cultura è il tema del convegno che coinvolge i protagonisti. Due cose che non devono mai mancare, ancor di più in un periodo così difficile…
Il libro è fatto di novelle legate insieme dall’ironia capaci di toccare tutti i temi che mi stanno a cuore. Tra questi, ci sono il cibo e la cultura, perché ci danno la vita, sono nascita e resurrezione.
I tuoi piatti preferiti?
Adoro la pasta al pomodoro, la schiacciata, la fiorentina, la finocchiona, il pan con l’olio, quello verde toscano. Piatti semplici che mangiavo da bambina. Il cibo è motivo di felicità, insieme alla cultura assolve l’immensa funzione di nutrirci in toto.
Rizzoli, pp. 336 € 18
Hai scritto altri tre libri, uno all’anno dal 2017. Un lavoro che porti avanti insieme alla recitazione…
Sì, vanno di pari passo. Sono anche editorialista per La Stampa, scrivo per vedere quanto le persone riconoscano nei miei testi i propri colori, anche se in una combinazione diversa dalla mia. Siamo tutti composti dallo stesso arcobaleno. La scrittura deve essere condivisione, dialogo, altrimenti non c’è linguaggio né progressione. D’altronde condividere ed essere amati è quello che si augura ognuno di noi.
Hai girato due film che speriamo di vedere a breve. Ce li racconti?
Sì, Altri padri di Mario Sesti, per il cinema, in cui sono la protagonista insieme a Paolo Briguglia. Un film che parla delle difficoltà di gestire una famiglia quando l’amore da cui è nata finisce. E poi una commedia tutta al femminile che uscirà su Amazon Prime Video: Addio al nubilato, di Francesco Apolloni, con Laura Chiatti, Antonia Liskova e Jun Ichikawa. Un omaggio al sentimento supremo secondo me, l’amicizia.
Presto ti rivedremo anche a teatro.
Con Alessandro Federico in Coppia aperta, quasi spalancata, di Dario Fo e Franca Rame, e nello spettacolo L’amore segreto di Ofelia, per la regia di Luigi De Angelis, costruito sullo spunto delle lettere d’amore tra Ofelia e Amleto raccontate da Shakespeare. Qui due attori durante il lockdown si ritrovano a dover mettere in scena questo epistolario tramite una piattaforma online. Un progetto particolare che ha debuttato quest’estate a Verona e a Fiesole.
Che rapporto hai con il Natale?
Oltre agli alberi che tengo sempre accesi tutto l’anno, sono nata il 20 dicembre. Entrare in casa e sapere che è Natale per me è la cosa più vicina alla felicità, per questo è un enorme dono uscire con il mio ultimo libro proprio ora.
Anche se queste Feste saranno un po’ diverse…
Ma è il momento giusto per capire quanto è importante essere una comunità. Quello che io faccio a Roma può aiutare una persona a Milano o a Canicattì. Magari il viaggio fisico ora è rimandato, ma quello interiore assolutamente no e, anzi, ci può portare molto lontano. Ascoltiamoci.
Sperando che il Covid-19 ci abbandoni presto, che anno pensi sarà il 2021? Come sarai, come vorresti essere, come saremo?
Spero di continuare a vivere con passione: la vita è cadere e rialzarsi, le ferite devono essere concepite come delle medaglie, restano ma ne facciamo tesoro. Cadere non è mai sbagliato, perché nel momento in cui ti rialzi puoi vedere la vita da una prospettiva diversa. Mi auguro, e ci auguro, di ripartire con una maggiore benevolenza per tutti gli errori e gli inciampi che ci fanno essere unici.
Rollone il Vichingo conferma: «L’uomo, per curarsi e curare, deve imparare a guardarsi tutto, senza perdere nulla, deve imboccare le carni, e, soprattutto, idratare i pensieri. Deve vedersi nell’altro. Deve essere “un guaritore ferito”. Mi pare lo dicesse Gadamer».
Articolo tratto da La Freccia
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