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Se c'è un regista che sa raccontare i sentimenti, quello è Pupi Avati. Lo fa anche con Lei mi parla ancora, il suo nuovo film, da oggi in prima visione assoluta su Sky Cinema e on demand su NOW TV. Al centro della storia - con un cast di stelle che vanno da Renato Pozzetto a Serena Grandi passando per Fabrizio Gifuni, Stefania Sandrelli, Isabella Ragonese, Alessandro Haber, Lino Musella, Chiara Caselli e Giole Dix - quella raccontata nel libro omonimo di Giuseppe Sgarbi: Nino e Caterina sono sposati da sessantacinque anni e si amano profondamente dal primo momento che si sono visti. Alla morte di lei, la figlia, per aiutare il padre a superare la perdita, gli affianca un editor per scrivere, attraverso i suoi ricordi, un libro sulla sua storia d’amore.

 

Il film quanto si discosta dal libro?

Per farlo diventare cosa mia - considerato che non ero mai ricorso a testi altrui - ho illustrato com’è stato scritto il libro. Quindi il rapporto tra l’autore, Giuseppe Sgarbi, papà di Elisabetta e Vittorio Sgarbi, e il ghostwriter che si è messo al suo servizio traducendo i racconti in un romanzo. È stato il pretesto per raccontare due approcci diversi a un matrimonio di 65 anni. Tanti erano gli anni in cui avevano vissuto insieme Giuseppe e Caterina Sgarbi.

 

Cosa ne è uscito fuori?

Il confrontarsi con questo scrittore che ha un matrimonio mandato all’aria dopo tre anni, ha messo due generazioni a confronto. E questa contrapposizione, credo, renda il film molto interessante.

 

Perché ha scelto Renato Pozzetto per un ruolo così drammatico?

Ci occorreva un protagonista sufficientemente anziano e, proprio in quei giorni, Renato compiva 80 anni. Poi abbiamo già utilizzato attori comici: hanno dentro di loro una vena malinconica e dolorosa straordinariamente efficace e convincente. Sono tutti molto meravigliati che Pozzetto avesse, tra le tonalità cui suonare, anche questa. 

Il regista Pupi Avati con l'attrice Isabella Ragonese sul set di Lei mi parla ancora

Come può riprendersi il cinema ai tempi del Covid-19?

Un po’ in polemica, con alcuni miei colleghi e amici, ho cercato di invitarli a riprodurre la nostalgia del cinema. Temo che la sala stia uscendo dalle abitudini degli italiani. Da parte delle persone sento la voglia di uscire, andare nei ristoranti, al mare, ma non di andare al cinema.

 

Perché secondo Lei?

Perché il cinema c’è sempre stato, ma in forma diversa, come le piattaforme. È venuto, però, a mancare nella sua forma ideale: nella sala. Così, quando i cinema riapriranno attori e registi devono accompagnare i film anche nelle sale più sperdute, perché gli esercenti fanno una gran fatica. Andare in streaming, adesso, è stata una scelta che ha ceduto a un ricatto sentimentale.

 

Come mai?

Ho sentito da Sky e Vison un tale calore verso questa pellicola, che mi ha sedotto. Se non fosse stato così avrei dovuto attendere ad agosto. E l’uscita ad agosto so cosa vuol dire.

 

Cioè?

Non dico buttare un film, ma quasi. Il mio lavoro è quello di far sì che i film vengano visti.

 

Come vede le città oggi e, in particolare, Roma, dove abita?

Un po’ di vita è tornata, ma siamo sottoposti a una prova difficilissima. E mi rallegro con i miei connazionali. Sono stati tutti molto bravi, fatta qualche eccezione. Purtroppo l'organizzazione di chi doveva soccorrerci è mancata un po’.