Ha iniziato a pedalare da ragazzino su strade percorse da grandi campioni del ciclismo, suoi conterranei: da Luigi Ganna, vincitore del primo Giro d’Italia al mitico Alfredo Binda, che ne ha vinti cinque, fino a Stefano Garzelli e a Ivan Basso, tutti di Varese o dintorni. «Andavo piano dappertutto, ero quel che si dice un ciclista completo», ricorda con autoironia. «E ho capito presto che era meglio scrivere di ciclismo, che farne un lavoro». La passione delle due ruote è rimasta, il mestiere è diventato l’altro: la scrittura, il giornalismo. E che mestiere! Pier Bergonzi è oggi vicedirettore della Gazzetta dello Sport e responsabile di Sportweek, il settimanale della rosea.

 

Insomma il cerchio si è chiuso in maniera mirabile, il ciclismo era comunque nel tuo destino.

In effetti, le cose della vita mi hanno portato nel giornale che ha inventato il Giro d’Italia, la Milano-Sanremo, il Giro di Lombardia, le grandi Classiche.

 

Che cosa ha di speciale questo sport?

Intanto si presta al racconto, ed è lo sport popolare per eccellenza, che va in mezzo alle strade e alla gente, che puoi guardare dalla finestra...

 

Non devi andare in uno stadio, in un palazzetto.

No, non chiede il pagamento di un biglietto. Si muove da una città all’altra, ma anche quando la tappa è la stessa è sempre diversa. Pensa alla Cuneo Pinerolo, la tappa delle tappe nella storia del Giro, quella del 1949 con Fausto Coppi che parte sulla Maddalena e fa 192 chilometri di fuga solitaria, arriva con quasi 12 minuti su Gino Bartali e quasi 20 sul terzo. Quella stessa tappa è stata rifatta più volte e non è stata mai uguale. L’hanno vinta corridori con caratteristiche completamente diverse, perché lo scenario cambia, cambiano le strade, le bici, l’alimentazione e la preparazione. Il ciclismo è lo sport che si presta a essere diverso ogni giorno a ogni chilometro.

E lo spettacolo e le emozioni sempre nuove le regalano i campioni.

Spesso personaggi con uno spessore umano eccezionale. Almeno fino all’epoca di Francesco Moser il ciclismo era anche un’opportunità per affrancarsi dal mondo contadino e avere una prospettiva diversa. Ed è uno spirito che continua a contrassegnare questo sport anche con l’arrivo di nuovi personaggi da nuovi mondi. Penso al ciclismo anglosassone e americano, con atleti che lo scelgono come sport emergente e grande novità. In America dicono che il ciclismo sia il nuovo golf, un’esperienza di fatica nobile che arricchisce e che puoi vivere in compagnia.

 

Sportweek, il settimanale che dirigi, racconta lo sport a tutti, a chi lo guarda ma anche a chi lo pratica. È così?

Sì, la parte finale della nostra rivista, quella più di servizio, è dedicata a chi pratica una disciplina in modo attivo, dal surf al trekking. È quella dello sport come stile di vita, delle icone, dalla regina Elisabetta alla Vespa, di come ci si veste o ci si comporta per stare al passo coi tempi, divertendosi e stando in forma. Lo stile sportivo è quello che tutti inseguono. Persino l’alta moda sta facendo sua questa tendenza e cerca testimonial sportivi.

 

Quindi una rivista giovane e anche glamour?

L’idea di un periodico che accompagni il quotidiano è antichissima, ripresa alla fine degli anni ‘70, prima La Gazzetta dello Sport Illustrata, poi Gazzetta Magazine, e dal 2000 Sportweek. Ed è una rivista unica nel panorama dell’editoria italiana: un maschile che parla anche alle donne e racconta lo sport come stile di vita. Figlio, fratello, compagno di viaggio della Gazzetta, che vuole raccontare la bellezza dello sport. Con una parte centrale di quattro o cinque doppie pagine che chiamiamo Click, con le foto più belle e spettacolari della settimana, che danno l’idea della magia dello sport. Perché se c’è qualcosa di bello in questo settore è l’effetto “wow”, la sorpresa, vedere quello che non ti aspetti a qualsiasi livello, dalla finale di Champions League a quella dei 100 metri delle Olimpiadi, fino al campetto di periferia di un oratorio.

 

Guardare al campetto di periferia significa non inseguire soltanto i campioni.

Esatto, è quello che cerchiamo di cogliere ogni settimana, andando a cercare non soltanto i personaggi mainstream, ma le storie minori, laterali. Abbiamo scritto del calciatore Domenico Volpati che vinse lo scudetto con il Verona nei primi anni ‘80, poi è diventato dentista e adesso, a oltre 70 anni, fa il volontario per vaccinare le persone contro il Covid-19. Lo scorso anno siamo stati a cercare Maxime Mbanda, azzurro di rugby, che durante l’esplosione della pandemia è diventato volontario per la Croce Rossa.

 

Ecco, ma com’è scrivere di sport nei mesi bui della pandemia, che ha sovvertito tutti i canoni?

Nel primo lockdown, quando lo sport era azzerato e non accadeva nulla, ci siamo letteralmente inventati alcuni numeri che raccontassero lo stesso il bello di questo mondo. I dieci film, le dieci canzoni, i dieci libri più belli di sport da vedere, ascoltare, leggere. Interviste a Giorgio Armani o ad Alex Zanardi, poco prima dell’incidente, diventate copertine importanti con persone di qualità che vivevano con noi la paura e la difficoltà di quel momento e ci aiutavano a trovare una chiave di interpretazione e un filo di speranza. In quei giorni, abbiamo capito quanti lettori affezionati avesse la Gazzetta, ma anche il reale peso di Sportweek, che il sabato, quando usciva, faceva e fa ancora oggi crescere le vendite del quotidiano.

 

Perché, secondo te?

Perché siamo un unicum: non c’è nessun settimanale maschile di cultura sportiva letto anche da donne e giovani. Siamo un giornale premium, aspirazionale, che ti porta dentro la Coppa America di vela, l’Augusta Masters di golf, la squadra St. Ambroeus di Milano fatta principalmente di rifugiati o ti porta a scoprire le ragazze del canottaggio che hanno vinto l’Oro europeo e sognano di diventare le prime medagliate alle prossime Olimpiadi.

 

Tu nasci giornalista sportivo e lo sei ancora oggi. Quali sono le specificità di questo giornalismo?

Quando ho iniziato alla Prealpina di Varese, Antonio Porro, il bravissimo caporedattore, diceva che per imparare questo mestiere avrei dovuto iniziare dalla cronaca bianca, dalla giudiziaria o dalla sportiva. Nelle prime due redazioni occorre consumare le scarpe per cercare le notizie, bussare alla porta di tutti, scavare e sentire cento persone per ricostruire quella che pensi sia una verità plausibile. Nello sport è un po’ la stessa cosa e hai la possibilità di raccontare un evento, un personaggio, fare un’inchiesta e scoprire storie del passato. È forse uno dei giornalismi che consente di avere una base buona per tutto. Grandissimi giornalisti sono partiti dallo sport o hanno avuto a che fare con lo sporsi in fila indiana per tirare la volata al ciclista locomotiva che dalla coda raggiunge la testa in prossimità del traguardo. Perché, avendo forse maggiore libertà, il giornalista sportivo sperimenta. La Gazzetta di Gino Palumbo ha inventato lo spogliatoio, le interviste umane, spiegando cosa c’è dietro al campione. Tutto questo è poi diventato pane quotidiano per i giornali e i settimanali italiani di qualsiasi livello, ossia l’intervista che umanizza i personaggi. Come del resto l’infografica, esportata nel giornalismo politico e d’informazione, ma nata in quello sportivo per raccontare un episodio attraverso foto e immagini. E poi, quella stessa maggiore libertà di cui parlavo ti spinge sempre a cercare di regalare un sorriso ai tuoi lettori. La Gazzetta dello Sport è il giornale più letto perché, dalle storie dei campioni al calciomercato, si spera di trovarci un motivo per sorridere ed emozionarsi.

Qualcosa di cui in questi mesi c’è ancor più bisogno, con l’auspicio di ripartire presto e bene.

Siamo i primi ad auspicarlo. La Gazzetta è il giornale che va nei bar, che fa discutere, socializzare, quello più sfogliato dai giovani.

 

Che vi trovano da sempre, storicamente, un bel linguaggio

e ottime firme.

Su questo nessun dubbio, da Gianni Brera, con la sua straordinaria ed estesa cultura di atletica e ciclismo applicata anche al calcio, il gioco che appassiona di più gli italiani, a Gino Palumbo o a Candido Cannavò. E ci sono firme che hanno avuto successo anche nel giornalismo di informazione come è accaduto all’attuale direttore Stefano Barigelli, che viene dallo sport ma è stato anche vicedirettore vicario del Messaggero. Lo sport, e la Gazzetta, hanno sempre attratto grandi firme. C’è una famosa puntata del programma tv Il processo alla tappa condotto da Sergio Zavoli, durante il Giro del 1969, quando fu squalificato per doping il grande Eddy Merckx, che vede confrontarsi animatamente giganti del calibro di Indro Montanelli, Enzo Biagi, Gianni Brera, Bruno Raschi, che alla Gazzetta chiamavano il “divino”, e Gian Paolo Ormezzano, allora giovane cronista.

 

Hai parlato di un’epoca lontana, quando la tv e la carta non avevano rivali, mentre oggi il giornalismo fa i conti con il web.

Qualcosa che noi affrontiamo quotidianamente, decidendo cosa dare online e cosa preservare per la carta, o cercando di capire se è ancora giusto preservare qualcosa oppure è meglio permettere che tutto diventi un grande sistema al quale il tuo lettore è fidelizzato, e in cui chiede a te di selezionare per lui. Mai come in questo momento l’informazione è al centro delle nostre vite e mai c’è stata nella storia dell’uomo così tanta informazione. Talmente tanta che diventa fondamentale il nostro ruolo nel cercare, selezionare e gerarchizzare cosa sia importante per i lettori, trovare una chiave di lettura e andare oltre la notizia. Perché, sebbene quella esclusiva sia ancora il pane più ricercato, siccome le notizie sono messe a disposizione di tutti conta la selezione, l’interpretazione, il commento, la loro evoluzione.

 

Tra carta e web differenze ce ne sono, ed enormi.

Certo, l’informazione online ha tecnicalità diverse, un gusto più spiccato per l’immagine, pezzi in genere più brevi, ma conta sempre raccontare bene quel che accade, e fare anche approfondimenti longform, che ti permettano di entrare dentro un grande evento e viverlo a pieno. Insomma, ormai il web è un mondo talmente grande e diverso che chiede tutto, dal live al commento, e sempre di più il business sarà lì, i ricavi si faranno lì.

 

E quindi?

Quindi è il sistema che vince. Perché occorre offrire contenuti premium di qualità che la gente sia disposta a pagare, o un abbonamento per avere tutto, compreso il giornale digitale e Sportweek, che fa parte dell’offerta del nostro pacchetto digitale premium. Il lettore deve sapere che se entra nel sistema Gazzetta trova il giornale più autorevole e con più storia e più presenza nel mondo dello sport, e per quasi tutte le discipline le penne numero uno, dal calcio agli sport olimpici. Lo scorso 3 aprile abbiamo compiuto 125 anni, tanti quanti le Olimpiadi moderne, iniziate il 6 aprile 1896. Siamo come gemelli e il compleanno lo festeggiamo ospitando le interviste ai più grandi: Usain Bolt, Lewis Hamilton, Rafa Nadal, Federica Pellegrini, Vincenzo Nibali, Valentino Rossi.

 

Insomma siete la storia e l’attualità.

La storia è qualcosa che ti porti dentro e dà valore al tuo giornale, ma vinci la scommessa soltanto se riesci ogni giorno a rinnovarti, con un’offerta digitale più completa e totalizzante possibile. Non è un caso che Gazzetta.it, dove confluiscono i contenuti di Sportweek, abbia quasi tre milioni di utenti unici al giorno con punte oltre i quattro milioni. Come stanno crescendo, a doppia cifra percentuale ogni mese, i follower del profilo instagram di Sportweek, punto di riferimento per i nostri lettori più giovani.

 

Intervista tratta da La Freccia di maggio 2021.