In cover, Alessandro Gassmann © Gianmarco Chieregato
È stato uno degli attori più amati del 2021. Alessandro Gassmann ha (letteralmente) sbancato l’auditel con I bastardi di Pizzofalcone e Un professore, due tra le fiction più seguite e amate di Rai1. E nei prossimi 365 giorni continuerà la sua attività di regista teatrale e di interprete. Senza dimenticare il costante impegno per l’ambiente. Simpatico per vocazione, talentuoso e amante della natura, usa gli insegnamenti e le esperienze del passato per lanciarsi verso il futuro tentando di migliorare il mondo.
Sei diventato l’idolo di tanti italiani con Un professore. Te lo aspettavi?
Effettivamente è stato un grande successo ma non era scontato facesse certi numeri. Era una scommessa più complessa rispetto a I bastardi di Pizzofalcone. Diretta da Alessandro d’Alatri e scritta dal grandissimo sceneggiatore Sandro Petraglia, usa la filosofia in modo non superficiale per parlare dei rapporti tra ragazzi e tra genitori e figli.
Tornerai con queste fiction?
I risultati lasciano pensare che le serie proseguiranno il loro percorso. Intanto, nel 2022 riprende il tour dello spettacolo teatrale Il silenzio grande, con Massimo Gallo e Stefania Rocca. La tournée è ripartita e la pièce è diventata anche un film presentato a Venezia, con Massimiliano Gallo e Margherita Buy che ha ricevuto bellissime critiche. Ora è disponibile su Amazon Prime Video. Durante questo percorso si è solidificato il mio rapporto con lo sceneggiatore Maurizio De Giovanni, nato con I bastardi di
Pizzofalcone. Ora stiamo scrivendo insieme quella che sarà la mia prossima pellicola.
Qualche anticipazione?
Posso dire solo che tratterà di una relazione d’amicizia tra persone con età molto diverse: un uomo adulto e un bambino piccolo.
A questo proposito, come ti approcci alle nuove generazioni?
Il loro mondo mi appassiona. Sono amico dei giovani o, almeno, ci provo. Attraverso mio figlio Leo, di 23 anni, ho imparato a porre attenzione alle loro esigenze e li trovo davvero affascinanti. Credo stiano lanciando messaggi importanti: si sono vaccinati più di quelli che hanno la mia età, per esempio. E secondo me questo è stato un atto di grande intelligenza. Ultimamente, poi, grazie alla serie Un professore, mi è capitato spesso di avere un dialogo con loro. E sono sempre sorprendenti, talentuosi, molto
diversi dalla mia generazione: ci insegnano cose inedite, soprattutto sulle nuove tecnologie. Anche il mio impegno per l’ambiente attraverso il movimento Green Heroes, creato con gli scienziati del Kyoto Club di Roma, è in nome dei ragazzi.
Alessandro Gassmann nella serie I bastardi di Pizzofalcone
Qual è l’obiettivo alla base del progetto?
Donare ai giovani un pianeta vivibile, almeno come lo abbiamo avuto noi. Su questa esperienza ho anche scritto un libro. Si intitola Io e i Green Heroes. L'ho ultimato con il gruppo del Kyoto Club di Roma, che riunisce persone che si occupano di sostenibilità tra cui la scienziata Annalisa Corrado e il ricercatore Roberto Bragalone. Parlo della mia passione per il green: come è nata e perché sono arrivato a occuparmi di questo tema. Nel testo segnalo anche le imprese che creano ricchezza e posti di lavoro ecosostenibili in Italia, con tanto di mappa dove sono collocate per poter conoscere i loro prodotti. I proventi della vendita del volume saranno utilizzati per la piantumazione degli alberi.
Come sei diventato così attento all’ecologia?
È una passione che mi ha tramandato mia madre e si è radicata quando è nato mio figlio.
Come mai?
Quando diventi genitore l’orizzonte della vita si allunga. Ho cominciato a riflettere sulle sorti del pianeta non solo rispetto alla mia vita, ma pensando a quando mio figlio sarebbe diventato vecchio e i miei nipoti anziani. Questo mi ha responsabilizzato. È merito di Leo se ho voglia di collaborare – da normale cittadino, ma utilizzando la mia popolarità – per promuovere notizie e iniziative, anche piccole, che possono essere utili in questo senso.
Un esempio?
Mi viene in mente l’app Biofarm che permette di adottare alberi da frutta vicino casa. Basta comunicare quante persone compongono il proprio nucleo familiare e quali sono i frutti preferiti. Una volta capito di quanti alberi si ha bisogno, si riceveranno a casa i loro prodotti. Tutto ciò grazie a un metodo di coltivazione biologica che consente prezzi molto competitivi e, spesso, addirittura più bassi di quelli nei supermercati. Va detto infatti che chi decide di impegnarsi in un’attività ecosostenibile ha più possibilità di successo. Quindi non si tratta solo di fare bene al pianeta, ma di vedere crescere la propria azienda. Green Heroes nasce anche per promuovere un’economia forte, l’unica possibile per preservare la Terra dopo di noi. Con il libro vogliamo informare, creare speranza, dare coraggio a chi ha voglia di un cambiamento utile alle nuove generazioni.
Come concili la tua anima verde con le scelte lavorative?
In ogni modo, per esempio ho firmato un protocollo per rendere i set cinematografici a impatto zero. Durante la realizzazione di un film viene utilizzata tantissima plastica monodose, soprattutto con le regole molto rigide legate al contenimento del Covid-19. Ma so che c’è un grande impegno per proteggere l’ambiente e mi auguro che diventi una regola.
Sei green anche nell’alimentazione?
Mangio biologico e sono contento che questo sia utile anche per aiutare i terreni a mantenere la propria funzionalità in modo sano. I prezzi dei prodotti sono diminuiti e scenderanno ulteriormente con l’aumento delle persone che si nutrono in modo ecosostenibile.
Che mezzo utilizzi per spostarti?
Il treno è quello più comodo e aiuta a contenere il riscaldamento globale. In città, uso una macchina ibrida in affitto. Torniamo a parlare di lavoro.
Sempre a teatro, hai diretto Fronte del porto, dal libro dell’americano Budd Schulberg.
Sì, ma ho chiesto a Federico Ianniello un adattamento del testo, spostando l’azione dagli Stati Uniti alla Napoli degli anni ’80. Lo spettacolo parla di diritti dei lavoratori, corruzione e malavita organizzata e il capoluogo partenopeo di quegli anni era perfetto per l’ambientazione, visto che la camorra gestiva gran parte degli scali al porto napoletano. È una produzione del Teatro Bellini con Daniele Russo come protagonista e un cast di 12 attori. Siamo alla terza ripresa e rivedere la gente a teatro è una cosa bellissima.
Anche perché per i lavoratori dello spettacolo è stata dura.
Sono una delle categorie più colpite dalla pandemia. Qualcuno non ce l’ha fatta a continuare e ha dovuto cambiare lavoro. Spero si possa tornare a una situazione sostenibile per il settore e che tutti possano assistere agli spettacoli in totale sicurezza. Sarebbe un peccato ridurre l’attività proprio nel Paese con la più alta concentrazione di teatri storici al mondo. Con il palcoscenico abbiamo un rapporto multisecolare, una tradizione e una capacità che va preservata.
Sembra comunque che stia riprendendo meglio del cinema.
Dopo due anni di pandemia, le persone si sono abituate a vedere i film sulle piattaforme. Con un virus che ancora circola e la possibilità dello streaming, temo si sia creata una disabitudine. Mi auguro, di cuore, che si torni nelle sale. A settembre scorso, durante la Mostra del Cinema di Venezia, quando ho visto Il silenzio grande sul grande schermo, con il sonoro del cinema, è come se fossi tornato indietro nel tempo. Un bel film è sempre meglio al cinema che a casa.
A proposito, hai finito da poco le riprese del film Il Pataffio, di Francesco Lagi. Di cosa parla?
È una storia ambientata nell’anno 1000, tratta dal romanzo di Luigi Malerba. Il protagonista è Lino Masella e, oltre alla mia partecipazione, c’è quella di Giorgio Tirabassi e Valerio Mastandrea. Sempre da Malerba, Mario Monicelli prese spunto per L’armata Brancaleone. Fatte le dovute differenze, l’atmosfera può ricordare quella strana avventura che tutti gli italiani ricordano.
Visto che nei panni di Brancaleone da Norcia c’era tuo padre, immagino sarai stato particolarmente emozionato…
Molto. Ho conosciuto la vedova di Malerba e interpreto un personaggio molto interessante che parla in latino. È stato un po’ come tornare a scuola (ride, ndr).
Debutti pure su Netflix. Con quale progetto?
Mi vedrete in un revenge movie il cui titolo provvisorio è Il mio nome è vendetta. La pellicola parla di un torto commesso verso la persona sbagliata, che sono io. In pratica,
ho passato otto settimane della mia vita a uccidere persone con diversi sistemi, ne ho contati 21. Non ci ho preso gusto, ma mi sono molto divertito. E poi sono tornato in forma e ho potuto lavorare coi più grandi stuntmen italiani. Il film è diretto da Cosimo Gomez, un esperto del genere: sono convinto che gli appassionati avranno di che divertirsi.
Sei combattivo e diretto sui social. Come ti definiresti?
Un signore di mezza età abbastanza in forma, curioso del futuro. Per questo, come personaggio pubblico, cerco di essere utile alla società, anche a costo di rompere le palle.
Un augurio per questo nuovo anno?
Che sia più sereno, con meno urla e più rispetto verso chi non la pensa come noi.
Articolo tratto da La Freccia
Intervista a Ivana Jelinic, amministratrice delegata di Enit
28 febbraio 2024
La donna senza fissa dimora scomparsa nel 1983
02 febbraio 2024