Il confronto e il dialogo sono gli strumenti dialettici e umani che preferisce utilizzare. L’energia e la passione per il lavoro rappresentano il suo nutrimento quotidiano. Ma sono la curiosità e la continua ricerca di ogni possibile rapporto costruttivo a fare di Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, la più ampia associazione di categoria del Paese, un uomo capace di ottenere la fiducia delle persone.
Al Villaggio Coldiretti, allestito al Circo Massimo di Roma per tre giorni a metà ottobre, con l’obiettivo di far incontrare agricoltori e cittadini, sono passati due milioni di persone e diversi rappresentanti del Governo hanno portato il loro contributo.
Che valore ha avuto questo momento?
È stata una grande festa di popolo, fatta di vicinanza e socialità, e un’occasione di confronto. Un evento in controtendenza nell’era dei social, in cui si corre il rischio di anteporre la tecnologia al rapporto umano. Abbiamo dimostrato che nel Paese c’è chi ha una visione strategica del futuro, non solo rispetto ai bisogni dell’agricoltura e della filiera agroalimentare, ma anche rispetto a quelli di molti altri settori produttivi.
Quali sono le necessità maggiori?
In tema di logistica, centrale per lo sviluppo che l’Italia dovrà avere nei prossimi anni, è indispensabile recuperare ciò che non è stato compiuto negli ultimi quattro decenni. Il sistema sbilanciato di trasporto su gomma ci sta facendo perdere 90 miliardi all’anno, nove dei quali interessano la filiera agroalimentare, che rischia di rimanere indietro rispetto ai principali competitor europei. Stiamo lavorando per invertire questa tendenza. Con il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane non solo c’è intesa, ma stiamo unendo le forze con l’obiettivo di aumentare la quota di trasporto merci su rotaia e portarla dall’attuale 10% a non meno del 20%.
Frequenti il Paese e ne conosci le potenzialità, a che punto siamo oggi in termini di sviluppo?
In questo momento, l’Italia si trova a un bivio: continuare come ha fatto sinora – e ritengo non sia la strada giusta – oppure adottare una strategia di carattere internazionale. Non parlo di una globalizzazione spinta, ma di puntare con forza sulla nostra storia, sull’identità e sulla cultura che ci caratterizzano da millenni. Penso al ruolo centrale che il Mediterraneo avrà nei prossimi anni e all’importanza di costruire solidi rapporti per esportare le nostre tecnologie e le nostre competenze, senza quegli atteggiamenti da colonizzatori che caratterizzano invece altri Paesi. Se saremo capaci di definire investimenti sia a livello economico sia politico, potremo giocare un ruolo strategico nella costruzione di un futuro migliore per le nuove generazioni. Nel settore marittimo, per esempio, c’è molto da fare. Dobbiamo sviluppare i nostri porti per aumentare gli scambi commerciali. Di grande importanza sarà la formazione del personale, sia in Italia per la creazione di nuove figure professionali di cui i comparti hanno necessità, sia all’estero, in quei Paesi che sono nostri partner strategici anche per affinità religiosa, portando in loco la formazione di base.
Coldiretti conta un milione e mezzo di associati che hanno fiducia in te. Qual è la tua responsabilità più grande?
Il rapporto con la propria base associativa non va mai trascurato. È ciò che caratterizza Coldiretti rispetto ad altre forme di rappresentanza. Ho sempre spiegato agli associati le ragioni di ogni mossa e le strategie future, sia nei momenti di criticità che il Paese ha attraversato, sia per quanto riguarda lo sviluppo dei mercati esteri: è importante conoscerli, perché senza la conoscenza non cresci. Esportare negli Stati Uniti, per esempio, è completamente diverso dal farlo in Cina. Sento la responsabilità nei confronti delle persone che compongono la nostra base associativa: per troppi anni al mondo agricolo è stato raccontato che doveva occuparsi esclusivamente della produzione. Ma oggi la stagione è cambiata. Senza dubbio dobbiamo produrre – anche di più grazie alla crescita tecnologica – ma bisogna avere anche il coraggio di parlare di redditualità, perché senza un giusto guadagno si perdono fasce di mercato, come è purtroppo accaduto nelle aree collinari e montane. Dobbiamo invertire la tendenza e aprirci a nuove filiere produttive.
In che modo? Puoi farci un esempio?
Non abbiamo mai investito nella forestazione, così oggi importiamo dall’estero il 70% del legname utilizzato per realizzare arredi. Le potenzialità sono enormi, la tradizione italiana del mobile è straordinaria e apprezzata in tutto il mondo. Perché non riunire le eccellenze nostrane in una filiera che utilizza legno italiano? Darebbe soddisfazione a chi lavora con questo materiale e vive nei territori più decentrati e genererebbe economia per il Paese.
L’Italia è ricca di realtà che meritano attenzione e sostegno per lo sviluppo.
Senza dubbio. Con Ferrovie dello Stato, per esempio, abbiamo pianificato investimenti, anche grazie ai fondi del Pnrr, per far arrivare la banda larga praticamente ovunque utilizzando il sedime ferroviario. In questo modo sfruttiamo la capillarità della rete ferroviaria e rendiamo accessibile a tutti i sistemi di comunicazione.
Il calendario degli eventi Coldiretti è fittissimo e lì il cibo non manca mai, eppure sei in perfetta forma fisica. Hai un metabolismo speciale?
Effettivamente ho un buon metabolismo e spero che continui così. La mia agenda è sempre piena di appuntamenti anche grazie a Ferrovie dello Stato, che con l’Alta Velocità mi consente di essere in più luoghi nello stesso giorno. L’obiettivo rimane quello di incontrare spesso la base associativa, confrontarmi, essere presente fisicamente per dare il giusto segnale di attenzione, ascoltare le richieste e tradurle in risposte concrete. Lo dobbiamo a un comparto straordinario, la filiera agricola e agroalimentare, che conta quattro milioni di occupati e vale in termini economici 585 miliardi di euro, di cui 60 provenienti dall’export.
Il cosiddetto italian sounding, l’imitazione delle nostre eccellenze enogastronomiche nel mondo, è un problema per le esportazioni?
Preferisco ribaltare il paradigma e considerarlo come un’opportunità. Vuol dire che nel mondo c’è fame di italianità. Dobbiamo essere in grado di sostituire i fake, che valgono 120 miliardi di euro, con prodotti italiani autentici. Secondo le previsioni possiamo farlo in sette anni.
Dove sei cresciuto?
A Castelletto di Leno, frazione di un piccolo comune della Bassa Bresciana, dove fin da piccolo sono entrato in contatto con quella che oggi è la mia passione: l’agricoltura. Ho studiato a Roma, poi ho fatto il servizio militare nei Vigili del fuoco. A 24 anni sono rientrato a Brescia e a 26 ho deciso di tornare all’agricoltura. Fino a realizzare il sogno di ogni socio Coldiretti: guidare l’organizzazione agricola più importante a livello europeo e, senza essere eccessivo, la più grande organizzazione di rappresentanza presente in Italia.
Che profumo associ alla tua infanzia?
Sicuramente quello del latte. A noi bambini veniva dato il compito di chiudere con i coperchi di gomma i bidoni pieni dopo la mungitura. Un profumo unico anche perché all’inizio degli anni ‘80 non c’era il riscaldamento nelle cascine e la stalla, in inverno, diventava il luogo più piacevole in cui stare.
Qual è per te il senso della famiglia e quali i suoi valori fondanti?
Per me sono fondamentali l’educazione, il senso del sacrificio, l’impegno. Ma anche l’intelligenza nell’ascolto, perché non è necessario parlare sempre. Sono questi i valori che cerco di trasmettere ai miei tre figli: Alessia, la più grande, Paolo e Giulia. Li ascolto, anche se in alcuni casi abbiamo sensibilità diverse, com’è giusto che sia. Ma dialogando si possono insegnare molte cose.
Prandini nella sua azienda agricola
Che rapporto hai con il treno?
L’ho totalmente riscoperto grazie alle Frecce, che arrivano dove l’aereo non riesce. Il treno è facile da utilizzare, non ha tempi di attesa, puoi salire e continuare a lavorare.
E dal finestrino si possono ammirare i paesaggi naturali e i campi coltivati.
Vedere i nostri territori così ben manutenuti ci fa capire quanto patrimonio possiamo ancora valorizzare attraverso il turismo, volano delle filiere agroalimentari. L’Italia è caratterizzata da una biodiversità unica che gli stranieri ricercano quando tornano a casa. Ecco perché dobbiamo far trovare i nostri prodotti nei mercati esteri.
La nuova società FS Treni Turistici Italiani, con le sue destinazioni di viaggio, promuove anche il turismo enogastronomico.
Su questo tema stiamo facendo un grande lavoro insieme a Ferrovie dello Stato, recuperando stazioni meno utilizzate per valorizzarle. Grazie al progetto FS, che punta sulle rotte turistiche anche con treni storici e mete enogastronomiche, possiamo proporre pacchetti unici per far conoscere luoghi considerati, con poca lungimiranza, secondari.
Quando hai tempo libero a cosa ti dedichi?
Alla mia azienda agricola, dove alleviamo mucche da latte destinato alla produzione del Grana Padano. Amo andare in stalla, rendermi conto di cosa accade, confrontarmi con i miei collaboratori. Mia sorella segue l’altra parte della società, che produce vino Lugana Doc e si trova sul Lago di Garda.
Hai usato spesso la parola confronto. Sei curioso della vita?
Ho voglia di confrontarmi con gli altri e mi piace conoscere ciò che è diverso da me. La chiusura in se stessi non fa crescere. Chi non si apre e non si mette in discussione, con attenzione e umiltà, difficilmente costruisce qualcosa di significativo. È importante ascoltare ed entrare in contatto con tutti, dalla persona più semplice al presidente del Consiglio.
A questo proposito, hai un rapporto costruttivo con Giorgia Meloni?
È ottimo, ma da sempre ci contraddistinguiamo per la nostra cultura di governo. Guai a non interloquire con le istituzioni o a far prevalere le simpatie di carattere partitico. Il nostro dovere è ambire sempre al confronto e proporre ciò di cui il settore ha necessità, nel rispetto di tutti.
Cosa apprezzi di più persone e cosa non sopporti?
Detesto l’arroganza, non ne abbiamo bisogno. Ciò che più apprezzo è l’impegno nel lavoro, la predisposizione al sacrificio, la capacità di non mollare mai di fronte a una sfida.
Articolo tratto da La Freccia novembre 2023
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