Foto apertura Daniela Poggi © Andrea Ciccalè
Eleganza nelle parole, nei movimenti, nei gesti. Daniela Poggi è una donna che crede con sincerità nella vita e nel prossimo. Tra le sue doti: l’energia («ho fondato un’associazione per avvicinare i giovani alla cultura»), la consapevolezza («cosa saremmo noi senza il nostro passato, come potremmo vivere il presente in modo costruttivo?»), la profondità («credo in Dio e lo vedo nei volti di chi mi sta di fronte, lo riconosco nel Creato») e soprattutto la passione («sul palco divento me stessa, recito per dare emozioni agli altri, chiuso il sipario è come mi svuotassi»).
Stai vivendo un momento di fermento con due film in uscita e un prossimo lavoro teatrale.
Decisamente sì. Oltre alla pellicola di Stefano Odoardi Dark Matter che esce a maggio e a L’anima in pace di Ciro Formisano programmata prima dell’estate, sono alle prese con la preparazione della tournée con Emily Dickinson, prevista nel 2024. Da un anno e mezzo, poi, ho costituito Bottega Poggi, un’impresa sociale per promuovere e diffondere cultura, gettare semi di sapere e conoscenza tra i giovani. Abbiamo in cantiere numerosi progetti perché vorrei che le nuove generazioni avessero le basi culturali per scegliere quale strada percorrere. Ritengo un dovere dare spazio ai giovani perché si mettano in gioco e diventino protagonisti della loro esistenza, soprattutto in un momento in cui il loro linguaggio è profondamente mutato e dobbiamo intercettare il loro pensiero.
Hai grande fiducia nelle nuove generazioni?
Se non credessi in loro non avrebbe senso la mia vita. Sono ciò che io ero da ragazza, quando qualcuno mi ha dato obiettivi da raggiungere. Sono stata cresciuta dall’arte, dalla musica, dal teatro, dalla scuola. Ora tocca a loro. Percepisco una forte decadenza vedendo i ragazzini abbandonati ai loro cellulari, nella solitudine, che si può superare solo con la cultura del sapere, con la capacità di discernere e di non emulare. È il tema del cortometraggio Ritorno al presente di Max Nardari per il quale nel 2022 ho ottenuto il premio come miglior attrice protagonista al Reel Comedy Fest di Chicago. Si saranno chiesti chi fossi ma la storia e l’interpretazione sono piaciute molto. Sarebbe davvero bello tornare a scegliere le persone per il loro lavoro e non per il seguito che hanno.
Credi in Dio?
Assolutamente sì, in tutti i modi possibili. Credo nel suo amore e nella sua misericordia, nella sua presenza costante nella mia vita. La fede mi ha aiutato a non perdermi quando ero una ragazza un po’ spregiudicata, che voleva sfidare tutto. Lo racconto nel mio libro Ricordami!, edito da La vita felice, dove il filo conduttore è la malattia di mia madre, l’Alzheimer, e quell’ultima notte al suo capezzale quando le ho detto di me tutto ciò di cui non era a conoscenza.
Come sei cresciuta?
Sola in mezzo agli altri, in una famiglia dalle mille sfaccettature. Ho vissuto la separazione dei miei genitori quando ero molto piccola ma comunque sentivo la presenza di mia madre e quella di mio papà, che vedevo una volta a settimana ed era il mio principe azzurro. A 14 anni sono andata in collegio, a 18 a Londra, poi in Sudamerica lavorando per mantenermi, infine in Tunisia, dove sono rimasta un anno. Viaggiare è davvero formativo, incontrare altre culture mi ha dato una visione molto aperta del mondo.
Hai lavorato molto in televisione, anche in programmi che anticipavano alcune tematiche. Come vedi quella di oggi?
Io e la televisione siamo coetanei, anzi lei è un po’ più vecchia perché io sono nata a ottobre del ‘54. Oggi è cambiato tutto, quando ho debuttato nel 1979 c’erano registi come Antonello Falqui ed Enzo Trapani, Canzonissima con Mina e Corrado e il varietà del sabato sera. Ricordo un’eleganza e un linguaggio forbito e piacevole, c’era gioia. Oggi vorrei che, insieme al divertimento, la televisione desse anche formazione ed educazione senza relegare questi temi nelle nicchie di orario. Sono contraria alla volgarità e alla trasgressione nel nome dell’audience, dobbiamo conservare e valorizzare il nostro passato e la nostra storia. E poi mi fa paura chi, per esempio, vuole applicare l’intelligenza artificiale alle mansioni quotidiane. Io voglio guidare la mia auto e voglio che sia il mio cervello a decidere quando frenare, non voglio che lo faccia un robot, che un’assistente intelligente come Alexa debba scegliere per me. Oggi abbreviamo troppo i tempi, ogni tanto ho nostalgia di una cartina stradale da consultare per capire dove andare.
Cosa apprezzi e cosa detesti nelle persone?
Amo l’onestà, la lealtà e la verità, anche «se può far male» come cantava Caterina Caselli. Ma anche la generosità, l’ironia, la capacità di ascolto e l’empatia, cioè saper entrare nella visione dell’altro a 360 gradi. Non sopporto la vigliaccheria, l’opportunismo e la menzogna.
Ti piace il rapporto con il pubblico?
Moltissimo, è ciò che mi ha sempre spronata ad andare avanti, soprattutto in televisione. Quando conducevo Chi l’ha visto? mi sono resa conto dell’importanza di costruire un vero legame con chi ti segue. Io lavoro per il pubblico, sono una sua dipendente: se lui non mi segue, non mi ama, non viene a vedermi a teatro, io non sono nulla.
Daniela Poggi e Andrea Radic
Cosa significa essere un’attrice?
Rappresentare l’alter ego dell’autore o dello scrittore. Siamo una tela bianca sulla quale viene disegnato il personaggio che un regista richiede, di volta in volta ci trasformiamo. Usciamo da noi per entrare in un’altra vita. Come mi è successo per il film Dark Matter o per L’esodo di Formisano.
E questo ti piace?
Da morire. L’ho capito già a 15 anni, durante una recita scolastica in cui interpretavo in lingua francese la protagonista di Andromaca, tragedia di Jean Racine. Quando mi sono gettata ai piedi di Agamennone, in sala il pubblico pianse. Non so come, ma io ero diventata lei. Una sensazione meravigliosa.
A proposito di Dark Matter, che tipo di personaggio interpreti?
Odoardi è un maestro del cinema: meticoloso, attento e profondissimo. Nulla è lasciato al caso. C’è una sceneggiatura molto forte sul tema del domani, sull’inconscio che si chiede chi siamo. Su di me ha costruito un personaggio profondo: una donna enigmatica, immersa nel dolore, nelle domande sulla vita e sulla morte. E poi mi ha scelto vedendo una mia intervista in televisione, non con un provino. E questo è il segno della sua grande capacità di saper leggere le persone ed entrare profondamente nell’animo umano. Sono stata molto felice di essere diretta da un maestro come lui.
Il viaggio in treno quali emozioni ti suscita?
Lo prendo spesso anche in tournée, è un mezzo di trasporto indispensabile. Mi piace molto perché mi rilasso, mi siedo e c’è qualcuno che mi porta. Guardo il panorama dal finestrino, magari leggo. Mi manca un po’, rispetto al passato, il fatto che il treno rappresentava un luogo d’incontro. Prima salivi immaginando chi si sarebbe seduto accanto a te. Ti vestivi carina, magari incontravi lo sguardo di un bell’uomo e ci bevevi un caffè. Oggi regna il silenzio, ognuno con cellulare e cuffiette, e mi manca quel rapporto con gli altri.
È mai scoccata la scintilla durante un viaggio in treno?
Purtroppo, no (ride, ndr).
È più bello farsi dirigere o essere regista?
L’attore deve interpretare ciò che il regista gli chiede, deve suonare la nota che indica il direttore d’orchestra. Quando dirigi un film, invece, lo consideri un figlio: ne scegli gli interpreti, le intensità, i linguaggi. Mi è successo solo due volte, ma sto lavorando a un nuovo progetto tratto dal mio racconto Il mondo di Rosa, con cui ho vinto il concorso letterario La nonna sul pianeta blu dell’associazione Goffredo de Banfield di Trieste. È il dialogo interiore di una donna che alla finestra, nella sua solitudine, guarda fuori e inizia un dialogo con un fiocco di neve. Si tocca l’argomento Alzheimer, che è un po’ la mia missione da quando mia mamma si è ammalata.
Qual è il profumo della tua infanzia?
Quello delle grandi piante di aloe ad Albissola, vicino a Savona, dove sono cresciuta con i miei amichetti e la mia amica del cuore Pacicia. Quello della salita di via Magroria dove dal fondo della strada urlavo: «Mammina, ho preso dieci e lode». E, infine, quello del mio Mar Ligure.
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