In apertura, Il calcio nella formula della creazione (2023)
La sua analisi della vita e degli elementi che la compongono è incredibilmente affascinante. Il percorso artistico di Michelangelo Pistoletto è espressione del genio e della consapevolezza che sentimenti, passioni, certezze e contrasti possono essere declinati in molte forme.
Incontrare il fondatore dell’Arte povera è un privilegio, le sue parole ti restano dentro e ti fanno riflettere. A 90 anni compiuti lo anima un’energia apparentemente inesauribile. Legato al Louvre di Parigi da un rapporto profondo, è stato il primo a tenere qui, tra aprile e maggio scorso, tre Leçons d’Artiste: Le musée-miroir, Une histoire de l’art par Michelangelo Pistoletto e L’archipel-musée. Nel 2013 il museo ha ospitato la sua mostra Année 1. Le Paradis sur Terre, mentre nel 2022 e nel 2023 il Louvre di Abu Dhabi ne ha accolto le opere all’interno della mostra Mirror Paintings.
Pistoletto arriva, si siede con il suo trolley nero nel FRECCIA-Lounge di Firenze Santa Maria Novella e si racconta, a partire dall’opera appena inaugurata al Centro tecnico federale di Coverciano a Firenze, in presenza di tutti i calciatori della Nazionale e dei vertici della Figc. L’installazione si intitola Il calcio nella formula della creazione ed è permanente. È composta da cento sfere delle dimensioni di un pallone, realizzate con diversi marmi del mondo a sottolineare l’universalità del calcio. Tre cerchi consecutivi rappresentano il simbolo della creazione prendendo spunto dalla raffigurazione dell’infinito matematico. Due cerchi rimandano alle reti mentre il terzo, quello centrale, evoca il punto del campo in cui inizia la partita. «Quando spiego ai giovani la formula della creazione la paragono proprio a un campo da calcio. Nei due cerchi più distanti le squadre e in quello centrale il pallone che rappresenta il caso, spinto verso una meta dalla volontà reciproca dei due team. L’avversario non è il nemico da debellare, bensì l’amico necessario per giocare la partita della vita e dare ciascuno il meglio di sé», racconta Pistoletto.
Per lui la creazione «nasce sempre da due elementi che stando fermi non creano niente ma incontrandosi in quel cerchio centrale producono qualcosa che non esisteva. L’universo è creato dall’incontro di spazio-tempo e massa-energia, l’uno positivo e l’altro negativo. In natura la creazione prosegue sempre in un continuo contrapporsi di elementi. Noi esseri umani, con la nostra intelligenza, abbiamo sviluppato un analogo sistema, creando attraverso l’immaginazione e il confronto un mondo artificiale che ci offre possibilità immense, ma mette a rischio la natura. Dobbiamo unire artificio e natura per produrre un mondo nuovo».
Michelangelo Pistoletto di fronte all'opera Grande sfera di giornali (1966-2023) © Pierluigi Di Pietro
C’è un Dio che funge da arbitro o non dobbiamo considerare questa ipotesi?
Non c’è nessuno che fa l’arbitro.
Quest’anno la tua arte verrà celebrata da Galleria Continua con un progetto intercontinentale, un susseguirsi di mostre personali in ciascuna delle otto sedi intorno al mondo: San Gimignano, in provincia di Siena, L’Avana a Cuba, Les Moulins a Parigi, San Paolo del Brasile, Pechino in Cina, Dubai negli Emirati Arabi e, naturalmente, Galleria Continua a Roma. Puoi dirci di più?
È una rassegna intercontinentale sul mio lavoro, caratterizzato da molti momenti diversi e autonomi. Sono un artista che si è moltiplicato, una sorta di collettivo di artisti in uno solo. La mostra in corso a Roma, al Chiostro del Bramante, presenta e mette in connessione molti aspetti della mia produzione, sembra un’esposizione di gruppo dei diversi Pistoletto, che sono io, uno solo, ma anche tanti. Quando all’inizio degli anni Sessanta ho realizzato i Quadri specchianti vedevo nell’opera me stesso, insieme a chiunque esistesse o passasse davanti al quadro. La mia identità è il noi. Ogni momento della mia vita può essere considerato un essere nuovo, sono figlio di me stesso, padre e nonno, una parentela di autonomie individuali. La molteplicità della società umana si identifica perfettamente con la mia personalità.
Sei soddisfatto del tuo percorso artistico o c’è un aspetto che avresti voluto maggiormente approfondire?
Sono contento del mio percorso e di ciò che faccio, non ho abbandonato nulla e tutto ritorna sempre come memoria. Non sapremmo chi siamo e dove andiamo se non conoscessimo bene da dove veniamo, quale strada abbiamo preso e cosa va mantenuto o superato. Bisogna passare la storia al pettine per vedere cosa ne rimane e da lì iniziare un percorso nuovo. Il quadro specchiante ci mostra cosa abbiamo alle spalle, oltre a ciò che abbiamo di fronte. Ci consente di setacciare il passato per costruire nuovi investimenti culturali in modo cosciente, vivo e attivo.
Che atmosfera c’era a Torino durante il tuo esordio artistico?
Era una città in movimento, in crescita, l’arte era molto presente e dai diversi Paesi del mondo raggiungeva la Galleria civica, molto attiva come altri centri privati. Io ho avuto la fortuna di iniziare nello studio pubblicitario di Armando Testa, dove ho capito quanto la pubblicità avesse un’anima vivace e fosse capace di stimolare l’immaginazione. Studiavo l’arte moderna da una parte e la proiezione immaginativa dall’altra, unite a una profonda esperienza delle opere antiche, grazie a mio padre che era restauratore.
Dove sei cresciuto?
A Torino, in una casetta con giardino, in zona corso Francia, dove i miei genitori si sono trasferiti dopo essersi sposati. Durante la guerra ci siamo spostati a Susa, nei dintorni del capoluogo piemontese, dove ho vissuto in una cascina di famiglia imparando a tagliare l’erba, potare gli alberi e allevare gli animali.
Qual è il profumo della tua infanzia?
Una mescolanza di pittura a olio e cucina. Mio padre dipingeva bellissime nature morte con cacciagione, pesci e funghi. Era un realista e quando terminava mia madre cucinava i soggetti ritratti.
Cosa non sopporti nelle persone e cosa invece ti piace di più?
Tutto. Apprezzo le qualità positive e non disprezzo quelle negative, perché penso possano essere modificate e, se diamo a quella persona la giusta possibilità, diventare positive. Cerco sempre di fare tesoro del problema che mi divide da qualcuno, perché se ci si rincontra non si farà più lo stesso sbaglio.
Hai ricevuto più fiducia o più dinieghi?
Veri dinieghi no, forse momenti di incomprensione. Avevo ottenuto grande riconoscimento internazionale, ero stato accolto nella grande famiglia della Pop Art americana. Quando, nel 1964, questa si affermò con la vittoria da parte di Robert Rauschenberg alla Biennale di Venezia, il mio gallerista voleva che mi trasferissi negli Stati Uniti e dimenticassi di essere italiano. Gli risposi che ero molto contento del suo entusiasmo, ma che a differenza di quanti aderirono alla Pop Art io non mi riconoscevo esclusivamente nel sistema consumistico. Quindi, pur consapevole delle oggettive affinità artistiche, ascoltai me stesso e la mia storia che ha origini romane, greche e rinascimentali. Dal fondo oro che si traduce in superficie specchiante. Così, non mi sottomisi e restai in Italia. Ma gli Stati Uniti non mi voltarono le spalle, anzi: la mia Arte povera divenne un’alternativa alla Pop Art con me protagonista. Fu l’ultimo movimento dell’arte moderna, seguito solo dalla Transavanguardia che riconosceva, appunto, l’impossibilità di un’avanguardia dopo l’Arte povera.
Che rapporto hai con i giovani artisti?
Straordinario. Mentre insegnavo all’Accademia di Vienna, ho creato a Biella Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, una realtà che si propone anche come laboratorio-scuola dedicata allo studio e alla sperimentazione.
Se non mi guardo allo specchio e non guardo mia moglie vedo solo persone giovani. Dico sempre loro che nel futuro non ci sarà spazio per tutti gli artisti, ma non voglio vedere nessuno fallire, perché è la società intera ad aver bisogno dell’arte, non solo i grandi musei. Devono essere individuali e sociali per creare vita. Succede così alla nostra Cittadellarte, dove si crea una connessione con tutti i settori della vita sociale: la politica, la tecnologia, l’economia, la scienza. Qui tutte le forme culturali – teatro, musica, cinema, poesia, danza – comunicano tra loro. Si tratta di un luogo dove l’inventiva dell’artista trova il suo sviluppo didattico. Così nascono i maestri di questa nuova società. Grazie alla Fondazione, Biella è entrata nella rete delle Città creative dell’Unesco.
Andrea Radic e Michelangelo Pistoletto
Prendi spesso il treno?
Andavo a insegnare a Vienna in macchina, mille chilometri all’andata e mille al ritorno: ci fosse stato il Frecciarossa lo avrei sicuramente preferito. Lo sviluppo del trasporto ferroviario in Italia, che oggi mi permette di partire dal Piemonte ed essere in pochissime ore a Roma, a Napoli o a Parigi, è meraviglioso. E a bordo posso utilizzare molto bene il tempo: scrivo e lavoro sui miei progetti. Quando guardo il paesaggio mi dà gioia vedere che l’Italia vive di complessità naturale, tra verde e campi coltivati.
C’è un’emozione che ancora non hai provato e che vorresti vivere?
Sicuramente ne vivrò ancora diverse, ma non so quali. Non esiste l’emozione pura come non esiste la ragione pura. Io vivo l’emozione della ragione.
Articolo tratto da La Freccia di luglio 2023.
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