In apertura e a seguire, Francesca Fialdini
Foto © Assunta Servello
Tra la conduzione di un premio letterario, due programmi in partenza e un libro in uscita a ottobre, l’autunno di Francesca Fialdini non si preannuncia di certo noioso. La conduttrice sarà immersa nelle storie: in quelle di chi ha avuto successo raccontate nella trasmissione Da noi… a ruota libera, da settembre la domenica pomeriggio su Rai1, e in quelle di ragazze e ragazzi affetti da disturbi del comportamento alimentare di cui si parla nella docuserie Fame d’amore, in autunno in seconda serata su Rai3, e nel suo prossimo libro. E poi ancora la diretta del Premio Campiello, in onda il 16 settembre su Rai cultura dal Teatro La Fenice di Venezia e nel 2024 la nuova stagione di Le ragazze, che mette al centro la condizione femminile in Italia.
A cosa ti stai dedicando in questi giorni?
Sto dando gli ultimi ritocchi al mio libro che, sulla scia di Fame d’amore, tratta vicende inedite di persone con disturbi dell’alimentazione. La domanda su cui si basa il libro è: come nasce tutto questo? Nel 2007 sono rimasta profondamente colpita dalla storia di Isabelle Caro, la modella francese che, prendendo coscienza della propria anoressia, si fece ritrarre nuda da Oliviero Toscani. Io ero giovane, alle prese con il corpo che cambiava e quei cartelloni pubblicitari mi toccarono molto. Quello che voglio adesso è capire e raccontare i paradossi di chi cerca di scomparire, di occupare meno spazio e, allo stesso tempo, di essere visto e ascoltato.
Nel programma Da noi… a ruota libera tratti invece le storie di chi ce l’ha fatta. Quali caratteristiche hanno in comune?
Anche per loro, in qualche punto della storia, la ruota si è inceppata. Noi scegliamo di non raccontare gli antefatti ma c’è sempre un momento di difficoltà prima del successo ed è lì che bisogna acquisire la capacità di non preoccuparsi del giudizio degli altri, di essere liberi. La svolta arriva quando ci si chiede: «Sono capace di fare scelte libere fregandomene delle convenzioni?».
Tu come hai fatto?
Seguendo la mia strada. Sono andata via da Massa, la mia città, a 18 anni e di questa scelta non mi sono mai pentita. Ma non era scritto da nessuna parte che la mia ruota avrebbe girato verso la conduzione. Ho cercato di cogliere tutte le occasioni che mi capitavano. Mio padre dice che «lavoro chiama lavoro».
A settembre presenti per il secondo anno consecutivo il Premio Campiello. Sei emozionata?
Sì, che bello. Amo avere a che fare con la cultura, specchiarmi nelle storie degli altri. Certo è impegnativo, richiede attenzione, energia, impegno. Ma cosa c’è di più gratificante per chi fa questo mestiere? Si svolge tutto al Teatro La Fenice di Venezia, che è un palco esigente oltre che prestigioso, con una sua sacralità da rispettare. Riesco già a immaginare l’attesa e il fermento. Parte del lavoro è cercare di smorzare la tensione.
A Venezia andrai in treno?
Certo, nella classe Standard. È comodo per lavorare ma consente anche di parlare con persone che altrimenti non incontrerei mai nella mia vita. Proprio ieri ho conosciuto un commerciante di Brescia e mi ha raccontato della passione che mette nel suo mestiere. Nessun altro mezzo mi trasmette tanta serenità come il treno.
Articolo tratto da La Freccia
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