In cover In cammino lungo la via Francigena, sui basoli dell'antica Via Cassia
«Mi sono sentito protetto e felice», esclama Paolo. «Il cammino lo puoi fare se senti un’ispirazione o se hai un’aspirazione», dice Damian. «Un’esperienza per mettere in movimento la mia vita e i miei desideri» secondo Marco. Ecco uno stralcio delle riflessioni che tre ragazzi, autori di reato e impegnati in percorsi di recupero, qui citati con nomi di fantasia, hanno scritto dopo aver percorso per una settimana l’itinerario laziale della Via Francigena. Un’iniziativa realizzata grazie al progetto pilota della onlus Setting in Cammino, in collaborazione con il Ministero della Giustizia e il Tribunale per i minorenni di Roma, che offre a chi ha compiuto un errore la possibilità di orientarsi nuovamente nella vita.
Paolo ha trasmesso così il senso del suo viaggio: «Al terzo giorno mi sono sentito molto stanco ma l’esperienza era sempre più bella. Il cammino ti aiuta a pensare pulito. Ricordo che abbiamo preparato la cena tutti assieme: un momento di serenità piena e presente. È stato come tenere in “ballanza” la felicità». Damian, invece, osserva: «A me il cammino è servito per aprirmi agli altri, per imparare la pazienza e godermi la strada. All’inizio chiedevo sempre agli operatori quando era previsto l’arrivo e di poter riavere il cellulare, poi ho iniziato a godermi un percorso di amicizia. Volevo stare in contatto con me stesso, con il silenzio e la natura. Ognuno di noi è una stella che dà nuova luce». Marco, invece, ha imparato a pensare alle conseguenze che ha sul domani ciò che viene fatto nel presente. «Questa esperienza mi è servita per avere un altro punto divista. Una volta ho gettato delle patatine lungo il percorso, pensando che le avrebbero mangiate gli uccelli. L’operatore, invece, mi ha fermato, le abbiamo raccolte insieme e mi ha spiegato l’effetto negativo che avrei generato sugli altri. Poi, per un dolore al piede mi sono dovuto fermare, sebbene dispiaciuto, e ho capito quanto è importante prendersi cura di sé».
Ad assistere i giovani, camminando al loro fianco, Luca Ansini, dottore di ricerca in pedagogia e presidente della onlus: «Da Bolsena a Roma abbiamo percorso a piedi 140 chilometri: un’esperienza fisica e metaforica nella quale i giovani, tra i 18 e i 20 anni, hanno imparato a trovare un ritmo comune. Una vera e propria esperienza educativa in grado di coinvolgere, a tutto tondo, giovani impegnati in un progetto di riorientamento delle proprie scelte di vita. La presenza di accompagnatori, specializzati in processi di aiuto lungo il cammino, e la temporanea separazione dal proprio contesto quotidiano, hanno permesso ai giovani di integrare gli aspetti cognitivi con quelli corporei», spiega Ansini.
Panorama lungo il tratto laziale della via Francigena
Poter stare nella natura ha significato anche «trovarsi nella dimensione del bello», attraversandolo. La Via Francigena è stata scelta perché è un tracciato ad alto contenuto simbolico: «Tutti gli itinerari storici sono significativi perché percorsi per secoli da milioni di persone, ognuno con le sue domande e la sua ricerca, tutte da rispettare», conclude il responsabile.
Zaino in spalla anche per Emanuela Magnaterra, psicoterapeuta esperta dell’età evolutiva, collaboratrice di Setting in Cammino: «Percorrere insieme un pezzo di strada rende uguali. Pur mantenendo i propri ruoli, si è esposti alla stessa sfida. E ciò ha consentito ai ragazzi, in stato di svantaggio sociale, di ridurre i pregiudizi verso la mia figura. In questa occasione, ritrovarsi alla pari in una relazione di aiuto ha permesso loro di ampliare la fiducia e avere maggiore facilità nel raccontarsi. Un’esperienza potente in un ampio spazio potenziale».
Al progetto ha partecipato anche l’Università di Roma Tre, con il compito di valutarne l’efficacia finale. «Il dipartimento di Scienze della Formazione, diretto dal professor Massimiliano Fiorucci», spiega la professoressa Elena Zizioli, «ha scelto un approccio di qualità, con interviste e focus group, sostenuto da un modello educativo responsabilizzante. La finalità è stata quella di individuare le specificità proprie dell’esperienza immersiva del cammino in termini di crescita individuale e collettiva».
Ultima parola alla presidente del Tribunale per i minorenni di Roma, Alida Montaldi, che in un breve tratto di strada conclusivo si è unita ai giovani e agli educatori con un preciso obiettivo finale: «Credo sia importante far sentire a questi ragazzi che l’autorità giudiziaria minorile non si limita a "giudicarli", ma li "accompagna" e sostiene nel cammino, per riappropriarsi della possibilità di scegliere la propria vita come adulti liberi e responsabili. Un gesto simbolico, ma forte e chiaro, di vicinanza a loro e a chi si adopera per tracciare un diverso e possibile percorso di crescita. Questi ragazzi mi hanno fatto percepire, con semplicità e chiarezza, quanto fossero felici di vivere questa preziosa esperienza, che conservano nella memoria per attingervi fiducia nel proprio futuro».
Articolo tratto da La Freccia