Il Museo di arte contemporanea di Termoli (Macte) è un segno tangibile di un Molise (e forse di un Paese) che vuole voltare pagina a partire da fatti concreti. Un’occasione per trasformare, in un cantiere di innovazione sociale ed economica a base culturale, una regione che da troppo tempo si sta spopolando di giovani e che, per le sue caratteristiche morfologiche, si presenta inadatta a ospitare le tradizionali infrastrutture necessarie allo sviluppo industriale e occupazionale.
È la dimostrazione che, se non tutto, molto si può fare attraverso la passione autentica e la bellezza. Con l’aggiunta di una buona dose di coraggio, olio di gomito e sano ottimismo. Sono gli ingredienti che permettono ai sogni di diventare realtà. Come nel caso di Paolo De Matteis Larivera, imprenditore self-made man innamorato della propria regione e in particolare del suo paese, Termoli.
È qui che, verso la fine del 2018, l’amministrazione locale pubblica una manifestazione di interesse per individuare un partner che costituisca una fondazione mista "a trazione privata" a cui affidare la gestione e la valorizzazione del futuro museo di arte contemporanea. Un luogo che avrebbe conservato la collezione della città: circa 500 opere, per la maggior parte derivanti dalle acquisizioni avvenute negli anni attraverso il Premio Termoli, uno dei più longevi d’Italia con le sue 62 edizioni a partire dalla metà degli anni ‘50.
Un patrimonio sorprendente, in gran parte dipinti su tela, ma anche sculture, scelti da una giuria composta da critici del calibro di Giulio Carlo Argan, Filiberto Menna, Palma Bucarelli, e realizzati da artisti come Carla Accardi, Mirella Bentivoglio, Dadamaino, Tomaso Binga (pseudonimo maschile di Bianca Pucciarelli Menna), Tano Festa, Achille Perilli, Gastone Novelli, Mario Schifano, Giulio Turcato, Giuseppe Uncini.
De Matteis Larivera decide di manifestare l'interesse all’iniziativa, che prevede essenzialmente un apporto di capitale necessario alla gestione. Il giovane imprenditore, infatti, crede fermamente che l’evidente sperequazione tra le risorse economiche disponibili e i bisogni sociali candidi il Molise a rappresentare il laboratorio ideale per la pratica di nuovi e alternativi modelli di sviluppo socio-economico. Così, a inizio 2019, in via Giappone, una zona nuova importante per lo sviluppo della città, vede la luce il Macte nella sua configurazione “a trazione privata”, dove cioè gli indirizzi di gestione provengono dall'investitore che partecipa alla sostenibilità finanziaria dell’istituzione. «È stata per me l’occasione di contribuire, nel mio piccolo e a livello locale, a sviluppare un modello di gestione del bene culturale e del servizio pubblico che ambisce a produrre ricadute positive sul territorio rispettando il paradigma del “secondo welfare”.
Avrei potuto sostenere altre iniziative, ma il Macte ha rappresentato per me il luogo ideale nel quale riuscire a dimostrare come l’investimento socio-economi-co che avviene al di fuori del finanziamento pubblico non solo possa essere protetto ma sia sicuramente foriero di vantaggi per la collettività se accompagnato da logiche aziendali e imprenditoriali», mi confida Paolo nella sua qualità di orgoglioso co-fondatore e presidente del museo. E ne ha ben donde. Con il suo contributo personale di circa 250mila euro su base annua, un organico di soli tre dipendenti, un concorso pubblico (nonostante la natura privata dell’istituzione non lo richiedesse) realmente trasparente che ha portato Caterina Riva alla direzione artistica, in poco meno di quattro anni il Macte ha conquistato una meritata visibilità e autorevolezza nazionale. Un plauso va attribuito anche all’amministrazione comunale che, al di là dei colori politici che si sono succeduti, sostiene il progetto con il comodato d’uso della collezione di opere d’arte del Premio Termoli e del fabbricato nel quale l’attività si svolge.
Uno dei modelli di sostenibilità economica per la cultura pubblica più avanzati ed efficienti d’Italia. «Ciò dimostra che si può fare cultura anche nella provincia più svantaggiata e che un ritorno al policentrismo culturale, che ha contribuito ad affermare nei secoli la vera ossatura identitaria del nostro Paese, sia effettivamente possibile», prosegue De Matteis Larivera. «Un museo rappresenta sempre il punto apicale di un sistema dell’arte contemporanea sul quale insistono gallerie, artisti, accademie. A oggi, il Macte si colloca in un territorio in cui tutto questo “indotto” non si è ancora sviluppato. Il mio auspicio è che invece tutto ciò possa strutturarsi, radicarsi e, soprattutto, ispirarsi con coerenza alla nostra esperienza». Se il Macte riesce a soffiare forte il vento del cambiamento a Termoli lo si deve anche alla sua direttrice artistica, giunta nel borgo marinaro dopo una lunga esperienza internazionale tra Londra, Nuova Zelanda e Singapore.
«Bisogna pensare al territorio non come a un’entità astratta, ma fatta di persone, luoghi specifici, associazioni che si impegnano a far vi-vere queste terre. Il museo offre laboratori per bimbi e famiglie, per le scuole e per gruppi di adulti: esempi di una relazione che si rafforza con un’utenza che sta imparando a conoscere cosa fa un museo di arte contemporanea. Il progetto sviluppato a Termoli con l’artista Nico Angiuli, con cui abbiamo vinto il bando Pac -Piano per l'arte contemporanea promosso dal ministero della Cultura, ha avvicinato tanti talenti locali che hanno collaborato alla costruzione di un’opera collettiva, ora nella nostra collezione ma che può essere anche adottata altrove», mi spiega Caterina mentre la intervisto visitando la sala dedicata alla raffinata mostra personale di Renato Leotta, vero maestro siculo-sabaudo del contemporaneo. Le chiedo cosa l’abbia sorpresa più favorevolmente o sfavorevolmente di questa esperienza a Termoli. «Qui si percepiscono una certa fame e un grande interesse del pubblico: mi sembrano buoni segnali per proseguire. Mentre è triste rendersi conto di quante persone abbiano dovuto lasciare il Molise in cerca di lavoro. Ma il risvolto positivo è che i giovani di qua, che ora sono a Berlino o a Parma, consigliano ai loro parenti rimasti in zona di visitare il museo».
Tanti i progetti in cantiere: il 18 febbraio inaugura, dopo più di due anni di ricerca, la mostra collettiva sub a cura di Michele D’Aurizio, dottorando all’Università della California a Berkeley, che propone una rilettura dell’arte italiana del secondo dopoguerra, includendo le figure che si sono stabilite nel nostro Paese dall’Asia e dal Sud America. Quest’estate, invece, sarà ospitato il 63esimo Premio Termoli, a cura di Cristiana Perrella, che si articolerà nella tradizionale sezione arti visive, su invito, e in una sezione di architettura e design che, con un’open call, aiuterà a immaginare una biblioteca in un’ala del museo. E, ancora, la produzione di nuove opere dell’artista Salvatore Arancio con cui abbiamo vinto di nuovo il bando Pac. Riparto da Termoli pensando a quanto il “modello Macte”, in una manciata di anni, sia stato in grado di avviare la trasformazione di mindset e luoghi, produrre conoscenza e competenze, attirare visioni e talenti: il senso di quell’“utopia sostenibile” ritenuta da molti l’unica strada possibile per un domani migliore.
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