In apertura, un gruppo di Bust Busters in azione © Lorenzo Moscia
Liberano le spiagge dai rifiuti e si tuffano in mare per recuperare quanto ne contamina la superficie. I più esperti si immergono a fondo e portano via gli scarti che rischiano di raggiungere i fondali: bottiglie di vetro, pneumatici usurati, reti disperse durante la pesca. Sono i ragazzi che partecipano al progetto Bust Busters, ideato dal Centro per la giustizia minorile di Napoli con lo scopo di coinvolgere i giovani dell’area penale esterna in un percorso formativo guidato dai valori dell’ecosostenibilità e del vivere green. Ai destinatari, soggetti fragili che sono affidati in prova al servizio sociale o si trovano in comunità educative, viene offerta la possibilità di intraprendere una formazione da operatore tecnico subacqueo.
© Antonella Salvarezza
I Bust Busters, aspiranti sub professionisti, sviluppano quindi le competenze necessarie per ottenere il brevetto e iscriversi, se lo desiderano, all’albo dei sommozzatori. La strada tracciata conduce quindi al mondo del lavoro e costituisce una concreta opportunità di riscatto.
L’iniziativa, a cui collaborano tra gli altri il Raggruppamento subacquei e incursori della Marina militare di Napoli e Marenostrum archeoclub d’Italia, è doppiamente virtuosa. Da una parte mira infatti a ripulire le acque del mare, contribuendo alla salvaguardia di un ambiente delicato e compromesso, dall’altra rappresenta un’occasione di rinascita e crescita per giovani che vivono in situazioni di disagio.
© Antonella Salvarezza
L’azione ambientalista è partita da Borgo Marinari, caratteristico abitato che sorge ai piedi di Castel dell’Ovo, a Napoli, e si è estesa ad altri contesti, entro e oltre i confini del golfo che bagna la città partenopea. Insieme al nucleo sommozzatori della Marina militare e agli istruttori di Marenostrum archeoclub, la squadra di Bust Busters ha effettuato interventi di pulizia di spiagge e fondali nel Napoletano, dalla Marina di Meta di Sorrento al Molo Borbonico di Ercolano, dal Lago Fusaro di Bacoli al Molo Cappellini di Nisida. L’iniziativa promossa dal network di organi e istituzioni entusiasma i partecipanti anche per il carattere insolito dell’attività.
A sottolinearlo è Giuseppe Centomani, ex dirigente del Centro per la giustizia minorile di Napoli che ha ideato il progetto: «I mestieri del mare sono pericolosi, si tratta di un ambito lavorativo difficile da frequentare e questi ragazzi si stanno scoprendo capaci di fare qualcosa di particolarmente complesso ma anche utile».
Giuseppe Centomani (terzo da sinistra) con i ragazzi e i rappresentanti delle realtà che aderiscono al progetto
© Antonella Salvarezza
Sembra essere questa, infatti, la formula per il successo di tutti quei programmi creati per riabilitare le persone che hanno avuto problemi con la giustizia. Per diminuire la possibilità di recidiva bisogna puntare al reintegro delle persone nel tessuto sociale, restituire loro la dignità fornendogli gli strumenti per contribuire alla vita comune. È necessario, insomma, che i soggetti coinvolti abbiano l’impressione di fare del bene al luogo dove operano e a chi lo abita.
Va in questa direzione anche il Protocollo d’intesa stipulato lo scorso anno tra Ferrovie dello Stato Italiane e il ministero della Giustizia.
Un accordo attraverso cui la società si impegna a collaborare per lo studio, l’analisi e lo sviluppo di progetti volti a favorire l’istruzione e la formazione di persone detenute.
Perché un errore lungo il cammino non può segnare il destino di un’intera storia.
Articolo tratto da La Freccia
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