Il vino italiano quest’anno deve rinunciare al suo appuntamento più importante. La cancellazione di Vinitaly, che si sarebbe dovuto tenere dal 19 al 22 aprile, priva il settore di un momento di festa e di rilievo internazionale, oltreché di un’occasione per fare business, ma già si guarda avanti. E Sandro Boscaini, presidente di Federvini (associazione confindustriale delle imprese specializzate in vini, spiriti e aceti) e imprenditore a capo di Masi Agricola, ne è certo: «Quello del prossimo anno sarà un Vinitaly storico, un po’ come lo fu quello del 1986 dopo lo scandalo del metanolo. E lo sarà perché il vino è in grado di offrire al nostro Paese quei segnali di vitalità indispensabili per superare la crisi e affrontare con fiducia il futuro».
Al vino si rischia di non dare sempre la giusta importanza, quasi fosse un bene secondario, mentre per l’economia italiana ha acquisito un peso rilevante, soprattutto in chiave export. Qualche cifra?
Parliamo di un comparto da oltre 11 miliardi di fatturato, di cui circa 6,5 derivanti dalle esportazioni in tutto il mondo. Il vino pertanto rappresenta una parte fondamentale dell’export agroalimentare italiano, è la sua prima categoria di prodotto. Ma, al di là dei numeri, è un eccellente testimonial del made in Italy: per la sua grande varietà e biodiversità, per la diffusione delle cantine nel territorio dalle Alpi fino alle isole del Mediterraneo, per l’inventiva e la fantasia dei suoi operatori nell’ottenere prodotti apprezzati dai consumatori internazionali.
Qual è l’immagine all’estero del nostro vino?
Fa sognare ed emozionare, perché è rappresentativo dell’Italia e delle sue bellezze. Quando gli stranieri stappano nelle loro case un vino veronese, è come se avessero l’Arena di fronte. Questo perché evoca il territorio, l’arte, la cultura e lo stile del nostro Paese. E lo fa in maniera diretta, coinvolgente. L’etichetta di una bottiglia è la carta d’identità di un territorio.
Se dovesse indicare le nostre denominazioni più prestigiose, quali sceglierebbe?
Non c’è dubbio che Piemonte, Toscana e Veneto siano storicamente le tre regioni più importanti del vino italiano. E che Barolo, Brunello e Amarone siano i portabandiera delle rispettive regioni tra i grandi vini rossi. Il Veneto, inoltre, è emerso con vitalità e prorompenza anche nei bianchi e nelle bollicine, con i due principali driver dell’export: il Pinot grigio, diventato una caratterizzazione molto italiana dei bianchi fermi, e il Prosecco, emblema dello spumante casual. Si aggiunge poi la Sicilia, che ha enormi potenzialità di crescita e ha trovato nei vini dell’Etna, provenienti da terreni vulcanici e d’alta quota, un prodotto di svolta.
Quali sono i territori più interessanti in prospettiva?
Ci sono due considerazioni da fare. La prima è che il trend dei consumi si sposta sempre più verso bianchi e bollicine, la seconda è che il riscaldamento globale ha permesso di praticare la viticoltura in alta quota con ottimi risultati qualitativi. Per queste ragioni, scommetterei sulle aree vocate alla produzione di spumante metodo classico, come il Franciacorta e le bollicine di montagna Trentodoc, e sui territori dove si interpretano ottimamente i bianchi fermi – Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Irpinia – e anche denominazioni classiche rilanciate da piccoli produttori sempre più attenti alla qualità, come il Soave in Veneto e il Verdicchio di Jesi nelle Marche.
Qual è il limite da superare per le aziende italiane del vino?
Il limite lo conosciamo bene: il settore è composto da una miriade di piccoli produttori che si misurano con un mercato enorme, una distribuzione strutturata e consolidata che spesso non li prende in considerazione proprio per le dimensioni aziendali. Piccolo non è sempre bello. Le nostre storiche difficoltà nell’esportare in Cina dipendono proprio dalle ridotte dimensioni e dalla mancanza di una promozione istituzionale adeguata. Così continuiamo a essere forti nei cinque mercati tradizionali del nostro vino (Usa, Germania, Uk, Canada e Svizzera), ma perdiamo opportunità in quelli emergenti, dove peraltro ci manca un prezioso e storico alleato: la ristorazione italiana.
Riuscirete a convincere i cinesi a bere il vino del Belpaese?
Dobbiamo persuaderli del fatto che l’Italia non sia solo sinonimo di moda ma anche di vino, come l’antico nome Enotria testimonia. Occorre tanto lavoro in sinergia tra pubblico e privato, con operazioni a lungo termine e non spot.
© Jacopo Salvi
La chiamano Mister Amarone, che poi è anche il titolo della sua biografia. Come definirebbe, in tre aggettivi, il vino simbolo della sua provincia, Verona?
Storico, unico, originale. Mette d’accordo la nostra lunga storia e tradizione con un modo contemporaneo e apprezzato di bere. Piace a degustatori sofisticati, a chi cerca le migliori annate e a chi ama quel tocco più immediato di fruttato.
Siamo a bordo di una Freccia ed è il momento di ordinare un calice. Quale scegliamo?
Se è disponibile, quello della regione che stiamo attraversando. Guardando oltre il finestrino, con un buon calice del territorio, abbiamo una visione totale, olfattiva e gustativa, dello spettacolo che si presenta ai nostri occhi. È l’accompagnamento di questa straordinaria sinfonia musicale.
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