Fillette en bleu (1918), collezione Jonas Netter

La sua città natale lo ha fortemente voluto e accolto come uno dei più illustri concittadini e la grande retrospettiva dedicatagli è l’occasione per saltare su un treno e fare visita alla bella e verace Livorno.

Amedeo Modigliani, genio indiscusso, artista maledetto, mito e icona, torna in città tra i canali del quartiere Venezia e la Fortezza antica grazie alla mostra Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre, al Museo della Città fino al 16 febbraio in occasione del 100esimo anniversario della scomparsa.

Affascinante e fragile come solo la bellezza sa essere, torna vicino al mare, dove è nato nel 1884, in una casa borghese, piena di libri. A fine ’800 il centro toscano è in pieno fermento con un porto fiorente, centro di scambi commerciali e culturali. Il piccolo Dedo cresce in un ambiente colto, multilingue e stimolante. A 11 anni rimane a letto per diverse settimane a causa di una brutta pleurite e, per passare il tempo, inizia a riempire fogli su fogli di disegni. Da allora non si ferma più e di pari passo con i problemi di salute, sempre più precaria, continua a creare.

 

Amedeo Modigliani

A Livorno frequenta la Scuola di Belle Arti con il pittore postmacchiaiolo Guglielmo Micheli, conosce artisti come Oscar Ghiglia, bazzica il caffè Bardi in via Cairoli, ritrovo di intellettuali, dove tratteggia a matita sulle tovagliette di carta. Poi via, prima a Firenze per frequentare i corsi di Giovanni Fattori alla Scuola libera di Nudo, poi a Pietrasanta, vicino a Carrara, a fare lo scultore. Ma la meta è Parigi, capitale mondiale dell’avanguardia, residenza di Paul Cézanne, Pablo Picasso, Henri Matisse, André Derain, Maurice Utrillo, Guillaume Apollinaire e molti altri artisti, scrittori e poeti bohémienne, inquilini di caffè, sale da ballo, teatri e gallerie a Montmartre e Montparnasse.

Ha 22 anni Modigliani quando si trasferisce in Francia, pochi soldi in tasca, un abito di velluto in valigia, un corpo fragile ed estro a volontà. Nella Ville Lumière con fatica, eccessi, amori passionali e una produzione intensa di disegni e oli diventa Modì, grande tra i grandi pittori del ’900. «La Livorno cosmopolita d’inizio secolo in cui si è formato è il bagaglio che si porta a Parigi», sottolinea Simone Lenzi, scrittore, musicista e assessore alla cultura della città toscana. «Vi arriva già molto attrezzato, il mondo da cui proviene è aperto, internazionale e lui aveva assorbito le influenze dell’Europa e di tutto il bacino mediterraneo».

L’amministrazione comunale ha lavorato molto per riportare nel capoluogo labronico il noto cittadino. «Un appuntamento a cui dobbiamo avere il coraggio di presentarci. Fino a qui si è pensato a Modigliani come a un livornese per sbaglio, nato in questa provincia di mare ma appartenuto al mondo. Credo sia il momento di ribaltare la prospettiva: lo era in maniera quintessenziale, “un giovane ebreo sefardita livornese” come soleva dichiararsi lui stesso». Anche alla luce dei fatti accaduti nell’84, con la beffa delle teste false, per tanti anni in città il suo nome è stato un tabù che aveva lasciato l’amaro in bocca. «Questa mostra serve anche a sanare certe ferite e rimettere le cose nella giusta chiave di lettura», conclude l’assessore.

Il progetto espositivo, curato da Marc Restellini, riunisce oltre 100 capolavori provenienti dalle collezioni di Paul Alexandre e Jonas Netter, che hanno raccolto i più bei pezzi del giovane artista toscano e di molti altri maestri del primo ‘900. In mostra rappresentanti della grande École de Paris tra cui l’Autoritratto di Chaïm Soutine, la Parigi di Maurice Utrillo, le donne nude in campagna di Suzanne Valadon e Les Grandes Baigneuses di André Derain. I quadri di Modì presenti sono una decina, più svariati disegni. Ma c’è tutto il suo inconfondibile stile, i ritratti degli amici come Chaïm Soutine, le linee nette per contenere le masse delle tante donne amate e ritratte, i famosi colli flessuosi, le bocche carnose, gli sguardi dal languore senza tempo, i colori. «La luce dei quadri di Modigliani viene da Livorno», ribadisce Lenzi, «quel riverbero particolare del quartiere Venezia o di via Roma dove è nato. Nella Filette en bleu gli occhi della bambina sono celeste chiarissimo, come il cielo di questa città dopo che è stato spazzato dal libeccio, le guance rosso intenso come i tramonti sul Tirreno o i coralli tipici di questa zona, lavorati a inizio secolo. Modigliani la dipinge appena diventato padre, e qui si percepisce una luminosità nuova. È un’immagine piena di nostalgia e vi scorgo anche una malinconia coloristica legata alla sua infanzia».

Scriveva Modì: «Il futuro dell’arte si trova nel viso di una donna». Quello della Jeune fille rousse è uno dei ritratti di Jeanne Hébuterne, la giovanissima pittrice sua compagna, suicida dopo la morte del giovane Amedeo stroncato da una malattia. La loro figlia di due anni è accolta dalla zia e dalla nonna paterna e cresce passeggiando lungo i canali, i ponticelli e le piazzette délabré del quartiere vecchio, vicino al mare. Forse già allora Livorno aveva fatto pace con Modì.