In cover, particolare della sala Sul perimetro del mondo e i suoi limiti © Luca Rotondo
Ogni giorno, in Italia, si scrive un nuovo straordinario capitolo sulla storia di imprenditrici e imprenditori le cui scelte si muovono all’interno dell’orizzonte della sostenibilità, intesa anche come restituzione alla comunità e condivisione. In uno di questi capitoli c’è Luigi Carlon, veronese, classe 1939, fondatore nel 1978 di Index S.p.A., azienda leader mondiale nella produzione di impermeabilizzanti, isolanti termici e acustici, con cui sono stati protetti l’Empire State Building di New York, le Petronas Towers di Kuala Lumpur, la Place Vendôme di Parigi e il Ponte Normandia di Le Havre, solo per citarne alcuni.
La sua ultima impresa è la casa-museo Palazzo Maffei. In uno dei più scenografici e noti edifici seicenteschi di Verona, quinta suggestiva di piazza delle Erbe, completamente restaurato per l’occasione, Carlon ha deciso di condividere con i suoi concittadini e tutti i viaggiatori di passaggio la visione della propria raccolta d’arte, che spazia dalla fine del ‘300 a oggi, passando per il Futurismo e la pittura metafisica (con Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Gino Severini, Giorgio de Chirico, Felice Casorati e Giorgio Morandi), per Pablo Picasso e Vasilij Kandinskij, accanto a René Magritte, Max Ernst, Marcel Duchamp.
Incontro Carlon in occasione dell’apertura del secondo piano di Palazzo Maffei, visitabile a partire da questo novembre. Un’intervista rara considerata la sua proverbiale riservatezza. «Forse perché mi sono sempre occupato di isolanti», ironizza.
Il saluto dell'amico lontano (1916) © Giorgio de Chirico, by SIAE 2020, collezione Luigi Carlon
Per quale motivo è importante che un imprenditore di successo restituisca qualcosa alla propria comunità?
L’impresa non è un’entità estranea al mondo. È una componente essenziale della società, riceve e deve dare perché è così che un organismo funziona. Le sue parti che producono ricchezza e profitto lo fanno anche grazie al contesto in cui si trovano, alle conoscenze, alle ricerche e ai progressi raggiunti nel Paese. Pertanto l’impresa ha il dovere etico, ma anche fondante, di contribuire al benessere sociale e lo può fare in tanti ambiti, in molti modi diversi. Nel caso di Palazzo Maffei si è trattato, però, di scelte personali che non hanno coinvolto l’impresa.
Quali?
Da tempo sentivo l’esigenza di ordinare la collezione raccolta in quasi 60 anni, di poterla rileggere nei suoi differenti filoni, nelle evoluzioni e connessioni, nei dialoghi tra artisti, sguardi e visioni che hanno accompagnato tutta la mia vita. Così, cercando uno spazio adeguato, mi sono reso conto che non doveva essere un ambiente esclusivamente familiare. Le opere hanno vita eterna, contengono messaggi che non si rivolgono solo al singolo ma al mondo. Vivono negli sguardi della gente, illuminano l’anima e le menti. Ne abbiamo tutti bisogno. Era arrivato il momento di aprire la collezione alla città e a quanti amano l’arte. Così, la mia famiglia e io abbiamo avviato questo progetto trovando in Palazzo Maffei il luogo ideale: un edificio iconico, riprodotto in tantissime opere che io stesso avevo acquistato, situato in un luogo carico di storia per Verona, proprio laddove si trovavano il Foro Romano e il Capitolium.
Il ratto di Elena (XIV sec.) di Zenone Veronese, collezione Luigi Carlon
Quali sono stati i primi acquisti della collezione?
Ancora ventenne, con i primi salari ho cominciato ad acquistare opere di artisti veronesi come Eugenio Degani, Silvano Girardello, Giorgio Olivieri, Checco Arduini e Pino Castagna. Pittura e scultura di qualità che avevano bisogno di un riscatto.
Che cosa l’ha portata a scegliere anche artisti emergenti?
Quando negli anni ho acquistato opere d’arte antica e moderna di correnti o autori importanti, ho comunque sempre continuato a seguire le novità del contemporaneo, le istanze dell’oggi, i protagonisti nascenti. È un modo per comprendere il mondo, le urgenze diverse che lo attraversano, le sperimentazioni, un modo per riflettere. È pieno di artisti che fanno fatica a mantenersi e forse saranno apprezzati da molti solo tra decenni. Io ho a cuore il loro destino: è straordinario seguire e sostenere il formarsi della personalità di un autore, accompagnare i suoi percorsi creativi. Intravedi una fiamma, contribuisci ad alimentarla, ne segui le evoluzioni finché diventa fuoco. Chi sente questo per l’arte credo debba condividere con la società le sue sensazioni e anche il proprio personale percorso di scoperta, perché l’arte ispira la vita, apre al confronto, libera le menti. La mia è una collezione eclettica, un dialogo tra le arti, tra antico e contemporaneo. Ovviamente ci sono anche percorsi e nuclei molto coerenti e direi portanti, soprattutto in ambito pittorico. Da un lato la pittura veronese, con l’idea di valorizzare la produzione scaligera dalla fine del ‘300 in poi, documentando anche la città attraverso i secoli: opere di Altichiero, Liberale da Verona, Simone Brentana, Nicolò Giolfino, Alessandro Turchi, Felice Brusasorzi, fino alla Veduta dell’Adige nei pressi di San Giorgio in Braida del fiammingo Gaspar van Wittel. Dall’altro, ci sono le avanguardie del ’900, con una particolare attenzione al Futurismo italiano, alla Metafisica e all’arte astratta: da Boccioni e Balla a Magritte, Ernst, de Chirico, Duchamp, Picasso, Warhol, Vasilij Kandinskij; da Severini e Mario Sironi fino a Lucio Fontana, Alberto Burri e altri. Nel complesso sono oltre 550 le opere esposte.
Facciata di Palazzo Maffei
So che c’è una scoperta che l’ha particolarmente entusiasmata nella sua ricerca di collezionista…
Sì, c’è stata una scoperta e una sorpresa imprevista. Quando acquistai dal Metropolitan Museum di New York il Ratto di Elena, opera del XVI secolo di Zenone Veronese, nell’avviare il restauro scoprimmo che la tela era in realtà più grande di 40 centimetri rispetto all’apparenza. Una parte del dipinto era stata ripiegata sotto l’intelaiatura. Anche per il museo americano fu una notizia inattesa che metteva in ulteriore luce la bellezza dell’opera, tanto che avrebbero voluto riaverla indietro.
L’opera a cui è più legato?
Ce ne sono molte, ma forse è Lettera all’amico lontano di de Chirico, un dipinto spiazzante, assolutamente d’avanguardia per l’epoca in cui è stato realizzato. È del 1916, quando Giorgio e suo fratello Alberto andarono a vivere con la madre a Ferrara e furono rapiti dalle atmosfere rarefatte di quella città. Siamo nel pieno della guerra, quando dall’ospedale ferrarese in cui si era fatto ricoverare, l’artista diede vita alla pittura metafisica.
Qual è, a suo avviso, il ruolo delle arti e della bellezza oggi?
Credo che siano un presidio imprescindibile, oggi più che mai, contro la solitudine, l’intolleranza, le chiusure, le visioni e le voci univoche. Contro la riduzione dell’uomo a corpo e animale di consumo.
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