Fu San Francesco a comporre il primo presepe della storia, dando vita a una tradizione che si sarebbe presto radicata nel cuore delle famiglie cristiane. Nel 2023 si celebreranno gli 800 anni dalla rappresentazione della Natività realizzata a Greccio, nel Reatino. La genesi di questa devozione è raccontata nella Vita prima di Tommaso da Celano, che riprende le parole del santo: «Vorrei rappresentare il bambino nato a Betlemme e, in qualche modo, vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello».
Ecco il nucleo fondamentale del primo presepe: il suo cuore è la mangiatoia. Il racconto della presenza dei due animali probabilmente proviene dai vangeli apocrifi e, forse, San Francesco li scelse per verosimiglianza: a Betlemme l’asino era il mezzo di trasporto più usuale e, assieme al bue, anch’esso espressione di mansuetudine, rappresenta la natura stessa che si inchina al Redentore. La parola presepe deriva dal latino praesepium, che significa mangiatoia. Scrive Luca nel suo Vangelo: «Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio».
Questo gesto segna il distacco da ogni tradizione religiosa pagana, perché gli dèi del tempo antico avrebbero disdegnato una nascita così umile. Sembra di udire i vagiti del neonato deposto nella paglia, quando Dio, facendosi bambino, diventa uomo tra gli uomini. E quasi sicuramente proprio l’immagine, tanto naturale quanto poetica, di una madre che accudisce il neonato spinse papa Sisto III a realizzare, nel 432, una “grotta della Natività” all’interno della basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma, allora chiamata Santa Maria ad praesepem. Situata sulla sommità del colle Esquilino, è una delle quattro basiliche papali e la sola ad aver conservato le originarie strutture paleocristiane. Solo secoli dopo Gregorio XI – papa dal 1370 al 1378 – decise di collocare in un tabernacolo, andato distrutto nel ‘700 durante alcuni lavori di ristrutturazione, diverse reliquie lignee che rappresentano i presunti resti della mangiatoia che accolse Gesù.
Foto Sacra Culla: La Sacra culla conservata nella basilica di Santa Maria Maggiore © Jastrow/wikimedia
Ancora oggi i fedeli possono contemplare e pregare davanti alla Sacra culla, al di sotto dell’altare maggiore della basilica, di fronte alla grande statua di Pio IX inginocchiato. Nel 1802, l’architetto Giuseppe Valadier realizzò un nuovo reliquiario e nel suo diario Opere di architettura e di ornamento, del 1833, scrisse: «Sono venerati nella basilica liberiana di Santa Maria Maggiore alcuni sagri pezzi di legno, impiegato alla formazione della Culla di Nostro Signore Gesù Cristo. La pietà della Sig. Duchessa di Villermosa Spagnuola, mossa da esemplare devozione, volle che questo sagro avanzo fosse posto in una preziosa custodia di oro e in parte di argento; per cui avendone pregato il Nunzio Apostolico, allora Mons. Benedetto Capelletti, oggi Eminentissimo Cardinale, questi volle onorarmi coll’affidare a me la direzione di tale ornamento». Nella stessa chiesa è custodita, in una teca donata da Pio IX, un’altra reliquia collegata al presepio: il panniculum, un piccolo pezzo di stoffa, della grandezza di una mano, che secondo la tradizione è un lembo delle fasce con cui Maria avvolse il suo bambino.
Santa Maria Maggiore conserva ancora un’altra testimonianza dedicata alla nascita di Cristo: il primo presepe realizzato in scultura da Arnolfo di Cambio nel 1291, che oggi si può ammirare nel museo della basilica, prima collocato vicino alla “grotta”. L’architetto Giorgio Vasari ricorda che del gruppo sono sopravvissute solo cinque statue in marmo con le figure di San Giuseppe, due re magi in piedi, uno inginocchiato in preghiera, le teste del bue e dell’asino, alle quali si aggiunge una Madonna con Bambino, seduta su una roccia, che però non è attribuita al noto artista. Più di un oggetto devozionale di questa basilica ricorda la Santa notte. E anche se oggi durante le Feste, a differenza del passato, la Sacra culla non può essere più esposta nella navata centrale tra i fedeli a causa del cattivo stato di conservazione, si può dire che un filo invisibile, ma molto resistente, collega Betlemme, in Terra Santa, a Greccio e a Roma.
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