In apertura Wanda Wulz, Ritratto (1928 c.a.), courtesy Archivi Alinari, archivio Studio Wulz, Firenze

I tratti levigati dai toni seppia, e quel velo di nostalgia che la stampa ai sali d’argento imprime alle immagini d’inizio ‘900. Il ritratto di Wanda Wulz è una commistione di fascino, estetico e artistico: lo sguardo altrove, la posa non cercata, la bellezza come espressione. Intorno agli anni ‘30, la triestina Wanda e la sorella Marion ereditarono dal padre lo studio fotografico di famiglia e, prima come modelle poi come sagaci ritrattiste, diventarono protagoniste dell’avanguardia artistica del tempo.

Marion Wulz Ritratto di Wanda Wulz in tenuta da motociclista (1930-1932) Courtesy Archivi Alinari, archivio Marion Wulz, Firenze

Marion Wulz, Ritratto di Wanda Wulz in tenuta da motociclista ('30-'32) Courtesy Archivi Alinari e Marion Wulz, Firenze

Tra sperimentazione e consapevolezza scelsero il linguaggio fotografico per incentivare e promuovere l’affermazione sociale delle donne. Le protagoniste dei loro scatti sovvertono le posture del ritratto anche decidendo di posare con sguardi fuori campo ma ben radicati nel loro tempo.

Alba Zari Reimagining the family archive (2017)

Alba Zari, Reimagining the family archive (2017)

Il ritratto di Wulz fa parte di una delle due sezioni dedicate a fondi degli Archivi Alinari resi pubblici in occasione della mostra Fotografe!, a Firenze, nelle sedi di Villa Bardini e Forte Belvedere, fino al 2 ottobre. Un percorso che racconta un pezzo di storia della fotografia, dai primi approcci alle ultime sperimentazioni digitali e alle produzioni contemporanee. Approfondimenti tematici e di genere che, senza seguire un ordine cronologico, spalancano una finestra su quest’arte, multiforme, intima, collettiva, rivoluzionaria. Con le fotografe di ieri e di oggi dietro l’obiettivo a riempire le sale di lavori che sanno di emancipazione, ricerca, comparazione, riflessioni sul passato per raccontare di sé nell’oggi.

FOTOGRAFE! NEL PODCAST DI ALDO MASSIMI PER FSNEWS RADIO

 

Opere inedite, in alcuni casi stampate direttamente dai negativi originali, che partono dalle prime dagherrotipie dell’800 per attraversare oltre un secolo di mondo e società con il piglio delle donne. «Il punto esclamativo nel titolo vale come affermazione e ammirazione per le fotografe che, dalle origini e per tutto il ‘900, hanno operato e lottato all’interno di un mondo capace solo di vederle in una posizione inferiore, marginale», sottolineano Emanuela Sesti e Walter Guadagnini, curatori del progetto espositivo.

Federica Belli, The lens (Through Which We See Ourselves), 2018

Federica Belli, The lens (Through Which We See Ourselves), 2018

Oltre alle sorelle Wulz, i frammenti di realtà impressi nella luce di Dorothea Lange, Bettina Rheims, Maria Mulas, Ketty La Rocca, Lisetta Carmi, solo per citarne alcune, sono messi a confronto con le opere di dieci autrici italiane nate dopo il 1980. Il corpo esibito, il ritratto come memoria, la società con le sue contraddizioni e i diritti reclamati si confrontano in un cortocircuito di rimandi spazio-temporali.  Con una certa, forte e sempre meno urlata autodeterminazione di artiste. Col punto esclamativo.

Articolo tratto da La Freccia di agosto 2022