Pittura e poesia si sono sfiorate in Pier Paolo Pasolini. Lemmi e colori, parole e disegni. Intorno ai 20 anni è un giovane pittore, oltre che poeta. Era ancora prima di diventare PPP il regista, lo scrittore e l’intellettuale celebrato in ogni suo stilema, soprattutto in questo centenario della nascita appena chiuso. Dipinge già dall’inizio degli anni ‘40. Mischia tempere, amalgama pigmenti, adopera inchiostri, sperimenta pastelli e matite grasse dal tratto materico e voluttuoso, sovrappone terriccio a china. Addensa colori su fogli e tele, pur non disdegnando atteggiamenti avanguardisti che lo portano a usare carte da lucido e cellophane, probabilmente sotto l’influenza del movimento della Bauhaus e del Futurismo di inizio ‘900.
Un’accanita ricerca della tecnica e della forma quella di Pasolini. Il suo soggetto prediletto è il corpo. Riproduce figure femminili spesso legate al proprio nucleo familiare: la madre Susanna, la zia o la cugina fissate nei gesti quotidiani, mentre si pettinano, si guardano allo specchio, sono sedute al tavolo o ferme in piedi. Così come le figure di ragazzi, catturati dal mondo contadino friulano, raffigurati di profilo e resi modelli nell’atto di dipingere o di scrivere.
Una molteplicità umana tipica dei suoi soggetti, protagonista nelle composizioni dei decenni successivi e struttura portante di copioni, pagine celebri e scene filmiche entrate nella storia del cinema. Quasi un’ansia spasmodica di voler fermare il tempo in quelle teste scolpite dal pennello, nei volti di anonimi abbozzati o nei disegni di gente conosciuta. Sono i suoi ritratti dell’anima tra cui spiccano quelli ad amici e parenti, ai protagonisti del mondo culturale frequentato a Roma, come la tela colorata e sognante dedicata agli attori Laura Betti e Ninetto Davoli o quella che raffigura l’amico poeta Andrea Zanzotto. Noto il profilo color caramello di Maria Callas imbastito a carboncino e reso etereo ed evanescente come fosse un’immagine ancestrale o quello dell’artista, scrittore e drammaturgo Fabio Mauri e ancora dello storico e critico d’arte Roberto Longhi, riconosciuto come maestro fin dagli anni degli studi universitari a Bologna.
Oltre 150 opere di questo corpus pittorico, tra cui alcuni pezzi inediti o poco conosciuti, sono riunite nella mostra romana allestita alla Galleria d’arte moderna fino al 16 aprile. Pasolini Pittore è il progetto espositivo, a cura di Silvana Cirillo, Claudio Crescentini e Federica Pirani, che intende riportare l’attenzione su un aspetto artistico importante e ampio nella formazione del poeta, scrittore e regista, ma spesso trascurato dalla critica. A oltre 40 anni dall’ultima antologica completa del 1978, tenutasi sempre a Roma a Palazzo Braschi, queste opere aggiungono un tassello fondamentale alla biografia e al complesso creativo pasoliniano corroborato dalla multidisciplinarietà dei linguaggi visivi. Una selezione narrata per temi e proveniente dalla collezione del Gabinetto scientifico letterario Vieusseux di Firenze, ma anche dalla Cineteca di Bologna, dal Centro studi di Casarsa, dall’Archivio Giuseppe Zigaina, oltre che da collezionisti privati.
Un percorso tenuto insieme dal corpo dell’intellettuale friulano, o meglio dal suo volto, ormai icona planetaria, e in particolare dai suoi tanti autoritratti. Figure di sé che rimandano a una iconografia vagamente post-cubista, arricchite da particolari che diventano firme d’autore: la vecchia sciarpa colorata, i fiori in bocca, i colletti di camicia, gli occhiali a farfalla. E poi ci sono gli afflati e i panorami di Casarsa dove Pasolini ha trascorso la gioventù e dove «come un vero vedutista usciva di casa con il cavalletto e la cassetta dei colori legati alla canna della bicicletta e si inoltrava nei campi che circondano il paese», ricorda il cugino Nico Naldini, anch’egli poeta e pittore. Osservando Paesaggio di Casarsa (1944) – a metà strada tra impressione e realismo, chiarore e ombre, vuoti e pieni – par di sentire i versi di quel ragazzo che nelle poesie friulane, poi raccolte nel testo La nuova gioventù, confessava a se stesso: «Di tutte le cose che so ne sento nel cuore solo una: sono giovane, vivo, abbandonato col corpo che si consuma. Resto un momento sull’erba della riva, tra gli alberi nudi. Poi cammino e vado sotto le nuvole. E vivo con la mia gioventù».
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