Avvicinati, e bacia un tratto delle sue mura, dopo averlo abbracciato. E contempla le belle cose che esso racchiude», recita un’epigrafe in arabo proveniente dal Palazzo Reale di Palermo. L’edificio è simbolo della Sicilia e dell’epoca d’oro in cui i suoi re dominavano il Mediterraneo, riuscendo a far convivere in uno stile di tolleranza diverse religioni, culture e lingue, riunite in una fabbrica di idee di tipo rinascimentale, già nel ‘200. Un sogno giunto a noi avvolto in quella bella nube d’oro e di fede che è la Cappella Palatina, cuore devozionale e artistico del palazzo. «La più bella che esiste al mondo, il più stupendo gioiello religioso vagheggiato dal pensiero umano ed eseguito da mani d’artista», la definì lo scrittore Guy de Maupassant.
Costruita dopo l’incoronazione di Ruggero II del 1130, a uso della corte, è coperta di mosaici bizantini, preziosa testimonianza del lavoro di artigiani di tutte le religioni che hanno dato vita a un intreccio di stili unico sul pianeta. È un’importante eredità arabo-normanno, da proteggere e valorizzare, fatta di diritti, libertà, integrazione e multiculturalità. Ben lo sa la Fondazione Federico II, costituita nel 1996 per condurre Palazzo Reale nel nuovo millennio e riportarlo all’antica vocazione di culla inclusiva di sapienza, laboratorio ad alto impatto sociale in cui progettare il futuro.
Questo indirizzo appare evidente già dalla mostra in corso nella Sala Duca di Montalto, Punctum, aperta fino al 1° ottobre e dedicata all’artista contemporaneo Omar Hassan. Di origini italo-egiziane, 36 anni, Omar è nato e cresciuto a tinge i guantoni nei barattoli di pittura e usa la tela come Milano, nel quartiere Lambrate, a contatto con due culture: suo papà è musulmano, infatti, e sua mamma è cristiana cattolica. Oggi è conosciuto a livello internazionale perché dipinge non solo con pennelli o bombolette spray. Dal 2015 mescola la sua passione per l’arte con quella per il pugilato (grazie all’incontro con uno dei più importanti allenatori italiani, Ottavio Tazzi) dando vita alla serie di tele dal titolo Breaking through. Intinge i guantoni nei barattoli di pittura e usa la tela come elemento a cui rapportarsi con il proprio corpo, in una vera e propria performance. «L’aspetto concettuale del pugilato è per me una vera metafora di vita. Ho voluto esaltare questa immagine perché ritengo che ognuno sia il pugile della propria vita. Ognuno ha le proprie croci. Nella boxe cadi per rialzarti, sei da solo a combattere, sei all’angolo, per un minuto hai qualcuno che ti dà una pacca sulla spalla ma poi, come nella vita, sei tu che devi tornare a combattere Questa associazione tra pugilato, vita e ar te è assolutamente potente. La frase che mi rappresenta – I ’m not punching to destroy. I’m creating! – vuol significare che, con un gesto estremamente forte io non rompo, non distruggo, non faccio male, ma creo».
La prima opera che accoglie il visitatore è un’altra coraggiosa e sovversiva invenzione di Omar: una reinterpretazione scultorea della Nike di Samotracia in dolce attesa che inneggia alla pace. Le connessioni tra passato, presente e futuro, tra classicità e contemporaneità, sono di casa qui grazie ai progetti originali tutti made in Fondazione Federico II. «Non abbiamo mai acquistato mostre preconfezionate, esposizioni con nomi altisonanti ma non rappresentativi di una visione o di un cammino culturale. Senza la produzione di cultura un sito, per quanto bellissimo, diventa un contenitore», spiega Patrizia Monterosso, direttrice generale della Fondazione che mi guida alla scoperta del Palazzo Reale di Palermo in chiave 2.0.
«Lavorare in un luogo come questo, la cui bellezza è vivida, ti costringe a misurarti ogni giorno con qualcosa che è migliore di te. A guardare al di là del tuo naso, puntare a un orizzonte in cui il passato ti rimprovera se accetti scorciatoie e non elabori qual cosa di nuovo». È proprio vero, penso, mentre percorriamo il corridoio medievale che attraversa gli spessi bastioni per arrivare nei sotterranei, dove si trovano i resti di mura della Palermo punica, databili intorno al IV secolo a.C. Per poi raggiungere la Sala di re Ruggero con il soffitto e le pareti tappezzati di intarsi a mosaico, raffiguranti animali simbolici tratti da bestiari medievali. Come l’aquila che mantiene nei suoi artigli una lepre, simbolo del potere che controlla le passioni.
La bellezza è utile quando ispira, aiuta ad alzare l’asticella del senso del possibile. Patrizia mi racconta poi delle visite guidate che dedicano periodicamente ai ragazzi sottoposti a diversi tipi di procedimento penale. Sono i giovani sotto custodia dei servizi sociali per minorenni della città, di cui è direttore lo straordinario Salvatore Inguì che mi riferisce: «Avere l’opportunità di essere accolti e visitare Palazzo Reale ha aiutato i ragazzi a riempire parti di sé che magari loro non sapevano neanche di avere. Se fino a un attimo prima avevano un modo di parlare chiassoso e schiamazzavano in dialetto, a un certo punto hanno modificato anche il tono della voce e il volume, pian pianino hanno smesso di parlare il dialetto, cercando di usare – diciamo – un italiano prossimo. Veramente un piccolo miracolo».
La Fondazione Federico II dà il suo contributo affinché la bellezza sia davvero per tutti anche attraverso le tecnologie più innovative al servizio dei beni culturali. Nello spazio Meta, uno dei più amati dai visitatori, vengono esposti capolavori del patrimonio archeologico dell’isola da ammirare a confronto con le loro copie virtuali realizzate dalla start-up locale ARTficial. Le opere sono digitalizzate e, grazie alle migliori tecnologie di scansione 3D, tradotte in colorate versioni in fibra di mais. «La cultura crea anche sviluppo economico. Uno sviluppo che dà felicità perché proviene da radici pulite, nobili. Soprattutto in una città come Palermo va difeso fortemente ciò che è positivo, attraverso l’arte e la cultura, in antitesi a ciò che è negativo». Con queste parole mi saluta Monterosso mentre varco l’antico portale del palazzo rivolto alla città, rimasto murato per quasi un secolo e riaperto dalla Fondazione Federico II. Celebrando così, ancora una volta, il valore dell’accoglienza del prossimo.
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