In apertura: Artemisia Gentileschi, Giuditta e Abra con la testa di Oloferne (1640-1645)
Terni, Fondazione Cassa di risparmio di Terni e Narni, Collezione d’arte
Il Frecciarossa di Trenitalia è il treno ufficiale della mostra Artemisia Gentileschi. Coraggio e passione in programma fino al 1° aprile 2024 nei saloni dell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale di Genova.
I possessori di un biglietto Frecce con destinazione il capoluogo ligure e con data antecedente di massimo 2 giorni rispetto l’ingresso al Museo, potranno usufruire di uno sconto del 25% sul biglietto d’ingresso a Palazzo Ducale dal lunedì al venerdì (festivi esclusi).
Madonne, regine ed eroine della mitologia greca e romana sono le protagoniste tormentate delle opere della pittrice. Nelle espressioni dei loro volti, corrucciati e determinati, e nei chiaroscuri che li circondano è possibile leggere, oltre all’immensa capacità pittorica dell’artista, la potenza del suo stesso vissuto. Ingiusto, come quello di molte donne dell’epoca, e doloroso. Ma sono presenti anche la rabbia, il riscatto e una libertà pretesa e conquistata.
Curata dallo storico dell’arte Costantino D’Orazio, la mostra offre un importante approfondimento sul lavoro di una pittrice dalla vita indimenticabile, diventata simbolo, suo malgrado, di forza d’animo e tenacia. Orfana di madre dall’età di 12 anni, fu indirizzata dal padre Orazio, anche lui artista, verso il mestiere della pittura. E divenne così brava da essere richiesta dai più grandi committenti del ‘600, epoca in cui l’arte non era considerata un lavoro da donne.
Dopo essere sopravvissuta alla violenza perpetrata dal suo maestro di prospettiva, Agostino Tassi, e aver affrontato un lungo e difficile processo per stupro, lasciò Roma e si trasferì a Firenze, dove venne introdotta nella corte di Cosimo II de’ Medici dallo zio Aurelio Lomi. Lì conobbe lo scienziato Galileo Galilei e lo scrittore Michelangelo Buonarroti il Giovane, pronipote dell’omonimo maestro rinascimentale, che le procurò molte commissioni. Divenne talmente nota nel campo pittorico che fu la prima donna ad essere ammessa all’Accademia delle arti del disegno. Il suo lavoro la portò a viaggiare in tutta Italia: incontrò probabilmente i fiamminghi Antoon van Dyck e Pieter Paul Rubens a Genova, il caravaggista francese Simon Vouet a Roma, l’esponente della scuola napoletana Massimo Stanzione nell’allora capitale del viceregno spagnolo.
Artemisia Gentileschi, Maddalena (1630-1635)
Beirut (Libano), Sursock Palace Collection
Dopo una vita di arte e lotte, Gentileschi morì negli anni ‘50 del ‘600. A più di quattro secoli di distanza, di lei sopravvivono le opere: nei saloni dell’appartamento del doge di Palazzo Ducale, organizzati in 11 sezioni, sono raccolti 50 dei capolavori attualmente conservati tra l’Europa e gli Stati Uniti. L’esposizione, organizzata nell’ambito delle iniziative di Genova Capitale italiana del libro 2023, si apre con un focus su Susanna e i vecchioni, l’episodio biblico che vede una giovane sfuggire alla violenza e ai ricatti di due anziani uomini. La stessa scena apre e chiude la carriera della pittrice: Artemisia la dipinse nel 1610 in quella che è considerata la sua prima opera – conservata a Pommersfelden, in Germania – e, a distanza di 30 anni, in uno dei suoi ultimi lavori custodito a Brno, in Repubblica Ceca.
Il percorso prosegue tra le opere potenti di altre artiste vissute tra il ‘500 e il ‘700, che offrono uno sguardo sulle capacità – spesso nascoste – delle donne dell’epoca e sulla società in cui lavoravano. Tra loro, la scultrice Properzia de’ Rossi e le pittrici Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana e Angelika Kauffmann. Si torna poi ad altre toccanti immagini di donne dipinte da Artemisia, come Cleopatra, regina d’Egitto, e Betsabea, moglie di re Davide, entrambe dalla tragica sorte, e tra le opere di Orazio Gentileschi, che scelse spesso la figlia come modella.
Artemisia Gentileschi, Susanna e i vecchioni (1610)
© Pommersfelden, Kunstsammlungen Graf von Schönborn
Un’intera sala è dedicata alla ricostruzione immersiva del Casino delle Muse di Palazzo Pallavicini Rospigliosi di Roma, chiuso al pubblico, affrescato a quattro mani da Tassi e da Orazio. Tra le suonatrici dipinte dai due artisti spicca un volto diverso da tutti gli altri: è quello di Artemisia, forse inserito da Orazio per ricordare al collega l’ingiustizia compiuta.
Sono molte le scene bibliche con protagoniste femminili realizzate dalla pittrice. Come Giuditta e Oloferne, in cui la giovane ebrea, entrata con l’inganno nell’accampamento, decapita coraggiosamente il condottiero assiro. Il quadro, dipinto in più occasioni da Artemisia, viene qui messo a confronto con l’opera omonima del padre proveniente dai Musei Vaticani. Molto richiesta dai committenti dell’epoca era anche la raffigurazione della vicenda di Sansone e Dalila: in questa serie di opere, la schiava filistea è intenta a tagliare i capelli dell’eroe dopo aver scoperto grazie all’astuzia che dalla folta chioma dipendeva la sua forza.
Seguono alcuni focus sul caravaggismo di Genova e l’operato di Orazio a Roma, gli anni fiorentini di Artemisia e quelli napoletani, con brevi immersioni nella vita della pittrice e nelle influenze artistiche del suo lavoro, che l’hanno portata a prediligere la rappresentazione di donne indipendenti e fiere immerse in chiaroscuri in grado di moltiplicarne la forza espressiva.
Articolo tratto da La Freccia di gennaio 2024
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