In apertura, l'ingresso principale del carcere di Opera, Milano © Aldo Martinuzzi/LaPresse
Costruire un ponte tra il carcere e il mondo esterno e favorire, attraverso la formazione e l’inserimento lavorativo, il rientro in società per le persone private della libertà. È questo l’obiettivo del Protocollo d’intesa tra il ministero della Giustizia e Ferrovie dello Stato Italiane, Mi riscatto per il futuro. A un anno di distanza dalla sua stipula, lo scorso 20 luglio è stato sottoscritto il primo accordo attuativo che ne concretizza i principi ispiratori.
La convenzione dà il via a un progetto pilota che coinvolge cinque detenuti della casa di reclusione di Milano Opera e ne prevede l’assunzione, con contratti a tempo determinato, in Rete Ferroviaria Italiana (RFI) e Trenitalia, rispettivamente capofila dei Poli Infrastrutture e Passeggeri del Gruppo FS. Le posizioni individuate sul territorio riguardano diversi ambiti: dall’assistenza in Sala Blu ai viaggiatori con ridotta mobilità ad altre attività tecniche. L’alleanza sancita dal Protocollo risponde a una visione precisa di carcere inteso come luogo che rieduca e fornisce una possibilità di riabilitazione a chi cerca un nuovo inizio.
Ce ne parla Giovanni Russo, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) e promotore dell’iniziativa.
Che valore ha la sinergia che si è creata tra il ministero della Giustizia e il Gruppo FS?
Si tratta di un’intesa importantissima. Ed è il simbolo di una nuova capacità dell’amministrazione penitenziaria che corre veloce verso il futuro e l’innovazione portando con sé il bagaglio delle migliori pregresse esperienze. La collaborazione con uno dei più importanti gruppi industriali del Paese ci consente di ragionare in termini di progettualità ambiziose: Ferrovie dello Stato Italiane è una realtà presente, come noi, su tutto il territorio nazionale e quindi, potenzialmente, in grado di interessare tutti i 190 istituti penitenziari. Questo primo accordo sarà certamente seguito da numerose altre iniziative.
Giovanni Russo © Mauro Scrobogna/LaPresse
Quali risultati intende ottenere il Dap attraverso il Protocollo d’intesa?
Il nostro compito è dare corpo a un’esecuzione della pena secondo i principi enunciati nella Carta costituzionale. Dobbiamo garantire ordine e sicurezza negli istituti penitenziari e, in tale cornice, puntare al recupero sociale dei detenuti.
Il lavoro costituisce uno dei capisaldi del carcere: attraverso la formazione professionale e l’apprendimento di un mestiere, chi sta pagando il proprio debito con la società può rompere il legame con l’humus criminale, il contesto di difficoltà e disagio – talvolta persino di degrado umano – da cui proviene e in cui si è trovato a delinquere.
Chi ha sbagliato può avere una seconda occasione: noi puntiamo a trasmettere questo messaggio. Il recupero dei detenuti alla società civile, tramite un percorso di lavoro legale, abbatte la recidiva e rende più sicura l’intera collettività.
Come sono state selezionate le persone per il progetto pilota al carcere di Opera?
Analogamente a quanto succede fuori dal contesto penitenziario, è stata operata una preselezione tra tutti i detenuti che hanno manifestato interesse per l’iniziativa. Poi siamo passati alla fase di analisi dei requisiti giuridici dei candidati, sotto il controllo della magistratura di sorveglianza, e successivamente, insieme con i rappresentanti di RFI e Trenitalia, abbiamo individuato i detenuti idonei per le posizioni lavorative offerte. Questi, al termine del percorso di formazione, sono stati inquadrati con le qualifiche di operaio e impiegato, come previsto dal Contratto collettivo nazionale di lavoro e dalla legge.
Com’è stata accolta quest’opportunità da chi ha potuto prendere parte all’iniziativa?
Ricevere un’offerta concreta di lavoro, ma anche una formazione professionalizzante, per i detenuti significa constatare che non tutto è perduto, che è possibile riprendere in mano la propria vita dandole un nuovo corso, in termini di rispetto della legalità e dei doveri di solidarietà sociale, proprio mentre si avviano alla riconquista della libertà. E ciò diventa occasione di una riflessione che riesce a colmare di contenuti, pregni di valore, il tempo della detenzione. Per questi motivi, il Dap punta a coinvolgere grandi e medie aziende, nonché le associazioni delle categorie produttive, in progetti capaci di coniugare due obiettivi: offrire alle imprese la possibilità di realizzare politiche di sviluppo inclusivo e sociale e fornire ai detenuti strumenti effettivi di riabilitazione e reinserimento. Il Dipartimento, che opera a livello nazionale, è affiancato in questa mission dai Provveditorati regionali e dai singoli istituti penitenziari che, in relazione al territorio di competenza, si sforzano di costruire un ponte con la società esterna, interessando autorità locali e tessuto imprenditoriale.
Un operatore della Sala Blu fornisce assistenza a un passeggero con ridotta mobilità © Archivio FS Italiane
Scendete in campo con azioni concrete, quindi. Può dirci di più?
Oltre a valorizzare e potenziare strumenti e risorse già esistenti, ci stiamo impegnando perché venga adottato un nuovo modus operandi basato su innovazione tecnologica, tecniche manageriali e procedure affidabili per verificare i risultati conseguiti. Insieme con Cassa delle ammende e l’indispensabile coinvolgimento delle Regioni, abbiamo recentemente realizzato programmi finalizzati alla creazione di sistemi integrati per l’inclusione sociale dei detenuti e delle persone sottoposte a misure di comunità, nonché al sostegno dei rapporti familiari e con i figli minori. Sono progetti destinati a quasi ottomila persone, con un investimento complessivo di oltre 20 milioni di euro per il triennio 2023-2025. Inoltre, sono stati stanziati oltre tre milioni di euro per la prevenzione del suicidio e del disagio psichico in carcere e per l’ampliamento degli interventi di cura. L’intero governo sta mostrando concreta attenzione anche a questi aspetti del mondo penitenziario: il ministro della Giustizia ha recentemente sottoscritto un accordo con il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro che istituisce una cabina di regia per rafforzare, con il supporto dell’organo di rilievo costituzionale, i meccanismi di reperimento dei percorsi di formazione professionalizzante e di avvio al lavoro per i detenuti. Va peraltro sottolineato come già da tempo, grazie all’impegno e al coinvolgimento di grandi aziende, ci siano esempi di vere e proprie filiere lavorative di eccellenza che sono state esternalizzate e operano all’interno degli istituti penitenziari.
Un esempio?
È il caso del centralino dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma attivo a Rebibbia, una delle carceri della Capitale. Inoltre, in tutti i 190 istituti penitenziari dislocati sul territorio nazionale si svolgono attività e iniziative che hanno ricevuto il suggello di best practice, destinate pertanto alla diffusione e alla replica nelle varie prigioni del Paese. Senza dimenticare le storie sconosciute ai più ma che lasciano il segno. Come quella di un detenuto siciliano, veterano del laboratorio teatrale operante nell’istituto di Messina, che una volta scontata la sua pena ha chiesto e ottenuto di rientrare in carcere da uomo libero per collaborare con i reclusi impegnati nel progetto teatrale.
Un circolo virtuoso che conferma l’impegno del Dap per l’inclusione sociale delle persone detenute.
Il Dap è espressione di una realtà amministrativa di elevata specializzazione, probabilmente unica nel panorama della pubblica amministrazione. I dirigenti, gli operatori e il personale del corpo di Polizia penitenziaria avvertono quotidianamente la gravosa responsabilità del ruolo rivestito, impegnandosi con passione e competenza nella rieducazione del detenuto a fini di reinserimento sociale e nel garantire la sicurezza all’interno e all’esterno degli istituti. Compiti delicati e complessi, che vengono svolti nel silenzio e con risultati assai positivi. I dati e gli indicatori dell’ultimo Rapporto del consiglio d’Europa sulle carceri, infatti, mostrano come la situazione italiana presenti aspetti non negativi nella comparazione con altre amministrazioni europee. Ciononostante, siamo consapevoli che c’è ancora tantissimo da migliorare.
Cosa si sta facendo al riguardo?
Ci muoviamo speditamente verso la modernizzazione dell’intero sistema penitenziario. Ho già fatto riferimento alle innovazioni tecnologiche: uno dei
primi obiettivi è rinnovare l’architettura e le strategie informatiche, a partire dalle nostre banche dati, fino alla realizzazione del fascicolo digitale del detenuto e all’impiego dell’intelligenza artificiale, finalità per le quali il ministero della Giustizia ha già stanziato otto milioni di euro. Una non formale sensibilità verso il mondo del sostenibile coniugato alla tecnologia d’avanguardia è alla base, per esempio, della collaborazione avviata da anni con aziende energetiche o con la Formula E, a cui offriamo supporto per gli eventi della tappa mondiale a Roma dell’e-Prix. Un’amministrazione efficace sa dotarsi degli strumenti più innovativi che le consentano di perseguire al meglio i suoi obiettivi: recentemente abbiamo sottoscritto un protocollo d’intesa con l’Ente nazionale per l'aviazione civile per la sorveglianza delle carceri attraverso droni pilotati da personale della Polizia penitenziaria. Sottolineo che si tratta del primo accordo di sostanza siglato dall’Enac con un corpo di Polizia. Sempre di recente abbiamo messo a punto il disciplinare che, nel rispetto delle prescrizioni in materia di tutela della privacy, consentirà l’impiego delle bodycam da parte del personale della Polizia penitenziaria. Una razionalizzazione evolutiva, insomma, in grado di condurre le donne e gli uomini che costituiscono il motore del sistema penitenziario italiano verso traguardi capaci di esprimere sempre più un’avanzata specializzazione e dignità professionale, al servizio del mandato scolpito nel terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione.
Articolo tratto da La Freccia
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