Indipendenza e laicità. E Roma al centro di tutto

Il Messaggero raccontato dal direttore, Virman Cusenza

04 marzo 2019

 

La Freccia incontra Virman Cusenza, direttore dal 2012 del Messaggero, il primo giornale di Roma, con 141 anni di storia alle spalle. L’ammiraglia, ben radicata nell’Italia centrale, di un gruppo editoriale che comprende, tra gli altri, anche Il Mattino di Napoli e Il Gazzettino di Venezia.


Che quotidiano è Il Messaggero?
È da una parte il giornale dei romani, naturalmente, ma allo stesso tempo è un giornale nazionale perché racconta con un occhio critico la Capitale e l'intero Paese nelle sue mille sfaccettature.


Che significa «racconta la Capitale»?
Significa avere un’attenzione particolare per tutto ciò che riguarda ovviamente la politica, non solo parlamentare, ma anche l'economia, con una capacità di leggere quello che avviene nei palazzi delle istituzioni e del potere, che è un nostro storico tratto distintivo e che deriva dalla profonda conoscenza dei luoghi in cui si prendono le decisioni pubbliche. Questo ci ha sempre consentito di fare un lavoro in prima linea, spesso anticipatore di decisioni o scelte che hanno un grande impatto sul Paese e sulla vita dei suoi cittadini.


E anche di alimentare fondamentali dibattiti, come quello recente intorno all'autonomia differenziata delle regioni a statuto ordinario.
Sì, perché vediamo nella riforma una seria minaccia all'integrità nazionale e al ruolo di Roma come Capitale, perché il disegno unitario voluto dai padri costituenti prevede che Roma non sia tanto la città della burocrazia quanto della rappresentanza degli interessi collettivi. Roma ospita le istituzioni di tutti, perché si è scelto, come in qualsiasi Paese civile e democratico, un luogo di aggregazione e di rappresentanza dell'anima collettiva e nazionale. Invece questo disegno depaupera ciò che è stato concepito come un qualcosa di unitario e di tutti.


Anche con il timore di creare regioni di serie A e di serie B?
Non essendo definiti i meccanismi di solidarietà fiscale, visto che questa riforma procede “a pezzi”, senza un disegno unitario, è concreto il rischio che le regioni più ricche garantiscano servizi diversi e migliori delle altre, lasciando al palo quelle più povere o comunque più indietro e creando così una insopportabile disparità tra cittadini nell'accesso alle prestazioni. La nostra battaglia, pur con un occhio di attenzione particolare verso Roma, tutela tutta la parte del Paese che rischia di essere travolta da una slavina e allontanata da un contesto competitivo ed europeo. Ci facciamo carico di questa ragione proprio per la quintessenza del giornale della Capitale che è anche quella di tenere unito il Paese.

 

Che il giornale di Roma difenda il ruolo della città potrebbe apparire una battaglia un po’ partigiana.

Ma non è così. Questa non è una città come le altre, è una città che per scelta di tutti rappresenta tutti. E nel momento in cui le si cambiano i connotati si impoverisce il tutto, non la parte. È un concetto semplice che in Europa nessuno mette in discussione, in nessun Paese c‘è qualcuno che contesti il ruolo della Capitale, di Parigi, di Londra, di Berlino. Solo in Italia c’è chi pensa che abbattendo Roma si risolva qualche problema altrove, ma è rischioso oltre che falso. La parte vale di più se resta all'interno di un tutto organico e omogeneo, ed è quel tutto per cui abbiamo combattuto e che ora è minacciato da possibili secessioni, al Sud come al Nord.


Ma Roma, parlo della città, non ha solo “nemici” esterni.
Non siamo indulgenti neppure nei confronti dei difetti della città e dei suoi "nemici" interni, ossia di quei romani, o comunque abitanti della Capitale, che non fanno il bene della città e non ne difendono la dignità, l'orgoglio e l'efficienza. In questo, per essere credibile, il giornale di Roma deve essere molto rigoroso e intransigente. E, nello spirito del difensore civico, cerchiamo di additare, denunciare e contestare tutti i giorni ciò che fa male a Roma.


Difensore civico? Spiegaci meglio.
Il Messaggero non intende limitarsi a informare i cittadini ma vuole interagire con loro, aiutandoli anche a risolvere i loro problemi. Così si fa carico delle loro denunce, oppure prende iniziative anticipando fenomeni che possono incidere sulla loro vita e, in qualche modo, fa pressione sulle istituzioni e su chi deve dare risposte politiche e di buon governo per risolvere quei problemi. Nel diritto scandinavo esiste proprio la figura del difensore civico, l’ombudsman, che rappresenta il cittadino di fronte a una realtà ostile o a un diritto negato. Per un giornale che ha un forte radicamento territoriale come il nostro, è una funzione fondamentale. Ovviamente siamo voce e sguardo di cittadini che hanno sia una cultura sia una sensibilità connotata dall'appartenenza a una realtà storica e territoriale precisa. C'è un modo romano, e un modo dell'Italia centrale, di vedere le cose che è diverso dal modo lombardo, veneto o siciliano.


Sulla questione di una visione originale dei fatti, nell’occasione dei festeggiamenti per i 140 anni del giornale, il tuo editore, Francesco Gaetano Caltagirone, ha detto, citando Seneca, che Il Messaggero vuole vivere secondo ragione, rinunciando all’imitazione e al conformismo.
Il Messaggero è un giornale concepito all'insegna di una sfida: intende restare fuori dagli schemi, connotandosi per indipendenza, affrancamento dai poteri, dalle corporazioni professionali e sindacali, dalle aree di influenza politica e dallo schieramento partigiano. Però la capacità di distinguersi e offrire ogni giorno contenuti e una visione originali delle cose passa attraverso la possibilità di produrre avendo riconosciuto un valore a ciò che produciamo. E oggi i contenuti dei principali brand di informazione, anche di testate storiche come la nostra, vengono “saccheggiati”, mentre i social portano a una omologazione che al tempo stesso non è garanzia di qualità.


Quindi occorre una maggiore tutela del lavoro giornalistico?
I contenuti “saccheggiati” dai motori di ricerca, in particolare da Google, vengono diffusi gratuitamente nonostante produrli abbia un prezzo. Su questi Google raccoglie la pubblicità, con un duplice danno: la sottrazione dei contenuti e di quelle risorse finanziarie che garantiscono la copertura dei costi di un’informazione di qualità, libera, indipendente, pluralista, fondamentale per ogni democrazia. La legge sul copyright approvata in Europa è un passo giusto, ma temo occorrerà del tempo prima di vederla applicata.


Il web ha in ogni caso messo in crisi l’editoria tradizionale?
Non è un problema di mezzo, quanto la necessità di vedere riconosciuto un valore a ciò che viene prodotto: va garantita la tutela del diritto d'autore. Perché per produrre un contenuto giornalistico di qualità, oltre che sostenere costi, bisogna rispettare una serie di regole e avere un’adeguata preparazione professionale. Poi il modo di fruirne, sulla carta o sul web, lo sceglieranno il lettore e il mercato.


Perché pagare l’informazione, anche su Internet, è un modo per assicurare un buon livello di qualità…
Dare un valore al giornalismo significa caratterizzarlo per la sua importanza e tutelarlo rispetto alle contraffazioni, come le fake news e le informazioni di cattiva qualità, come i contenuti riportati in un social o attraverso siti gratuiti che spesso non garantiscono verifiche e controlli. Nessuno comprerebbe mai una macchina che non ha un sistema di freni collaudato, perché dunque risulta possibile ancora oggi spacciare per buona una notizia che potrebbe rivelarsi nociva, perché falsa, o dannosa, perché lesiva di diritti altrui?


Una cattiva informazione nuoce alla democrazia?
Sì, produce cattiva democrazia, cattiva politica, cittadini meno forti perché meno consapevoli dei loro diritti e di ciò che invece devono sapere. È una catena solo apparentemente confinata in un settore della società, in realtà non rappresenta un valore voluttuario o aggiuntivo, ma è un valore fondante delle democrazie liberali.


Qualche mese fa papa Francesco ha visitato il vostro giornale…
Una visita storica. Mai un pontefice era entrato nella redazione di un giornale, italiano o estero. L’unico precedente, sempre al Messaggero tra l'altro, risale al 1990, con papa Wojtyla che si fermò però soltanto all'ingresso principale. Niente di paragonabile all'incontro con l'intera redazione che Bergoglio ha voluto avere qui, in via del Tritone, l'8 dicembre scorso.


Immagino l’emozione, qual è stato il senso di questo incontro?
Da quando è nato, nel 1878, il giornale di Roma si è sempre distinto per le battaglie sui diritti civili, come l'aborto e il divorzio. Da questo punto di vista il fatto che il Papa sia voluto venire qui, in un giornale che ha mantenuto questa tradizione, è stato un modo per sottolineare il dialogo con la voce laica di Roma. Laica, ma rispettosa dell'identità cattolica di una città di cui il Vaticano è parte integrante. Bergoglio ci ha fatto l'onore di una riflessione sulla qualità del giornalismo e dell'informazione che deve mettere al centro di tutto il fatto. Lui ha insistito molto sulla centralità del fatto, distinguendolo nettamente dai pericoli del "relato". Quindi invitando chi fa il nostro mestiere a trattare soltanto i fatti verificati direttamente e non le voci riferite da altri. È una lezione etica di giornalismo fondamentale per l’intero panorama della nostra informazione.

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