Continua il viaggio tra i luoghi di Dante

 

Ha sempre viaggiato il Sommo, da giovane studente o da rappresentante politico, fino all’ultimo dei suoi giorni e, soprattutto alle grandi città incontrate, dedica apostrofi di pura poesia e immagini divenute celebri. Girovaga di regione in regione, accolto come intellettuale e uomo di cultura nelle corti di generosi signori: dai Malaspina di Lunigiana nel Castello di Fosdinovo (MS), dagli Scaligeri a Verona, dai Da Camino a Treviso, dai Da Polenta a Ravenna.

 

A Bologna invece ci capita fin da giovane, per motivi di studio. Dante vuol visitare l’università più antica d’Europa, si interessa di filosofia, compone senza sosta sonetti e liriche, e nella città emiliana entra in contatto con l’importante scuola di retorica tramandata da Guido Guinizzelli, il padre del Dolce Stil Novo. E, intanto, Dante osserva. I quartieri, le piazze, i monumenti, le torri.

Quella della Garisenda, la sorella più bassa degli Asinelli, lo colpisce per la sua postura sbilenca tanto da sembrare proiettata in avanti quando le nuvole l’attraversano – «Qual pare a riguardar la Carisenda sotto 'l chinato, quando un nuvol vada sovr'essa sí, ched ella incontro penda» – e mentre con Virgilio, attraverso il settimo cerchio infernale, si ricorda di lei e la paragona al gigante Anteo che dal pozzo si protende verso di loro. 

 

Mantova

Mantova è la città di Virgilio, «anima cortese», maestro e guida nel percorso più difficile. Non è certo se il poeta vi abbia mai soggiornato davvero, certo è che ne parla a più riprese. Tra i dannati dell’ottava bolgia, Virgilio gli presenta l'anima dell’indovina Manto e illustra a Dante le origini della città, fondata seguendo il corso del fiume Mincio, sulle paludi in cui la giovane visse e che da lei prese il nome.

Sordello, invece, oggi nome della grande piazza rettangolare nel cuore della città lombarda su cui affacciano i principali monumenti e palazzi, è l’anima del Purgatorio che quando riconosce la provenienza di Virgilio lo abbraccia e festeggia come suo concittadino.

Verona

Di Verona Dante fece la sua città per molti anni, ospite alla corte degli Scaligeri o Della Scala, per i quali tenne relazioni politiche estere. «Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello sarà la cortesia del gran Lombardo», fa dire al suo antenato Cacciaguida nell’ultima Cantica.

Descrive lo stemma del nobile casato esattamente com’è visibile nel sarcofago di Bartolomeo all'interno delle Arche Scaligere, il sepolcro di famiglia al centro della città.

Verona reclama questa lunga presenza e molti sono i riferimenti del passaggio dell’Alighieri, cognome ancora presente in città. Dalla casa dei Montecchi citati nel Purgatorio, «Vieni a veder Montecchi e Cappelletti…color già tristi», alla Porta Borsari sotto cui passava l’antico palio a cui Dante assiste e che lo ispira per raccontare il girone di Brunetto Latini, «e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna».

Il chiostro della Biblioteca Capitolare è uno dei luoghi più affascinanti della città scaligera e tradizione vuole che l’Alighieri la frequentasse immerso tra antichi manoscritti, dove scopre le lettere di Cicerone e lavora a una buona parte della Commedia.

Basilica di San Francesco, Ravenna

A Ravenna, «su la marina dove ‘l Po discende per aver pace co’ seguaci suoi», stroncato dalla malaria, si ferma per sempre nel 1321. Nella città romagnola restano le spoglie del Sommo Poeta conservate in quello che i ravennati chiamano la zuccheriera: un tondeggiante e bianco tempietto neoclassico ottocentesco. Spoglie contestate, dissotterrate e nascoste a più riprese.

Nel cortile del Quadrarco di Braccioforte, a fianco della Basilica di San Francesco dove si celebrarono i funerali, furono nascoste le ossa di Dante durante la Seconda guerra mondiale. Secoli prima, già i frati francescani le avevano trafugate e celate nel convento per non restituirle ai Medici. Firenze gli costruisce il cenotafio nella Basilica di Santa Croce, tra i grandi della storia, a ribadire che quello dovrebbe essere il posto suo.

Ma Dante è il viaggio planetario, l’unico che è riuscito alla contemplazione diretta di Dio, «l’amor che move il sole e l’altre stelle» in un itinerario umano e poetico, convulso ed epico, in cui ognuno può ritrovare le proprie pene e fatiche, e quei pezzetti di Paese in cui riconoscersi e tornare a conoscere ancora oggi, perché sempre lì dopo 700 anni.

Come la Pineta di Classe che porta al mare ravennate, mossa dal vento, in una qualsiasi fresca mattina d’estate. «Un’aura dolce, senza mutamento avere in sé, mi feria la fronte non di più colpo che soave vento…».