In cover Lago di Scanno (AQ) © Roberta Camilli
Il mio viaggio inizia da Scanno, in quella parte d’Abruzzo, ai margini del Parco Nazionale, tra Roccaraso e Sulmona. Arrivato qui comprendo immediatamente che siamo nel cuore pulsante della nostra amata Italia, anche perché il paese – e si potrebbe scrivere una fiaba solo su questo – è caratterizzato dalla presenza di un lago a forma di cuore. Scanno è uno dei borghi più belli d’Italia ed è in provincia dell’Aquila.
Centro storico praticamente intatto grazie alla pietra locale, capace di resistere ai rigori di un clima di alta montagna che forgia corpi e anime e lascia il segno come una bella donna profumata. L’architettura e lo stile dei secoli passati si leggono perfettamente nei vicoli stretti stretti, ripidi e caratteristici. Perdersi è veramente facile, anzi lo faccio apposta, inebriato da profumi antichi di legna per camino e sugo di passata di pomodoro fatta in casa dalle nonne.
Ora vi do un consiglio: se casualmente passate davanti a una pasticceria non potete non fermarvi ad assaggiare il Pan dell’orso, il dolce tipico locale con una storia di gusto alle spalle. A base di mandorle e miele, veniva usato dai pastori durante la transumanza come fonte di energia. Si racconta che un orso aggredì lo stazzo e divorò tutti i panelli contenuti nelle bisacce. Quel giorno nacque il Pan dell’orso.
Il borgo di Scanno © Roberto Bellini/AdobeStock
Annuso in paese un’energia dolce e frizzante ma soprattutto un forte legame con la tradizione e la montagna che lo sovrasta, aspra e amara ma rigogliosa, il tutto esaltato nei riti e negli sguardi dei suoi abitanti. Uno di questi mi ha segnato profondamente. Gregorio Rotolo di orsi ne sa qualcosa, uno lo ha anche salvato, incastrato tra due alberi, e solo per questo bisogna andare a conoscerlo. Sguardo intenso e vispo, dolce come solo un pastore sa essere. A primo impatto appare duro e aspro come la sua montagna, poi ti accorgi della profondità di chi conduce una vita in simbiosi con la natura. Insomma uno che le cose le ha fatte e le sa. Sono tante le storie che mi ha raccontato durante i due giorni trascorsi in questo borgo, ma quella che più mi ha emozionato – dandomi la chiara percezione dell’uomo che avevo di fronte – è stata la narrazione del suo viaggio in Afghanistan.
Gregorio è partito durante il periodo critico della guerra per insegnare quello che lui sapeva fare molto bene. I formaggi stagionati sono da sempre fonte di sostentamento per chi deve affrontare un inverno lungo, ma anche e soprattutto fonte di ricavo economico per i pastori. Gli afgani conoscevano solo l’arte di fare lo yogurt e un formaggio fresco, e non dimenticherò mai la gioia negli occhi di Gregorio al racconto di questa comunità alle prese con una nuova ed esaltante esperienza.
Vi parlavo di riti ancestrali che si possono vivere visitando Scanno, cittadina che ha conservato costumi e usanze antiche grazie all'isolamento dovuto alla natura selvaggia.
Qui gli inverni sono durissimi e le giornate corte già in autunno.
Prima però che cominci l’anticamera del letargo, il 10 novembre solitamente il borgo interrompe la monotonia e le vie si animano di persone, tutte pronte e intente all’organizzazione di una festa unica, autentica, di comunità: le Glorie di San Martino, un rito agropastorale incentrato sul fuoco, una cerimonia unica in onore dell’inverno imminente che quest'anno non si è svolta per rispettare le norme anti Covid-19.
Ma vale la pena raccontare questa sorta di rito del fuoco che, forse, aveva la funzione di superare il timore atavico dell’assenza di luce e contestualmente di propiziarne il ritorno.
Normalmente, in occasione della festa, tanti ragazzi si impegnano ad accumulare fascine, legna e tutto ciò che si possa bruciare. La vigilia di San Martino è speciale, il preludio alla giornata più lunga per il paese e l’energia si taglia a fette. I tre gruppi che si contendono la vittoria iniziano a creare, come dei veri costruttori, torri alte 20 metri, le Glorie appunto. Il clima di festa è coinvolgente, il vino novello non manca mai ma il lavoro è duro: martelli, seghe, ordini dei più anziani ed esperti per portare a casa la vittoria. E mentre la carne si cuoce sulla brace, le Glorie svettano sui tetti delle case. In alcuni angoli nascosti, piccoli operai e costruttori innalzano mini Glorie che verranno bruciate prima di quella grande.
Poi, come una tribù indiana, con i carboni ancora caldi si pittano i volti e, felici come solo i bambini sanno essere, intonano canti e con i campanacci svegliano e preparano gli animi di tutti alla festa. Sembra di vivere un antico rito agrario per allontanare le forze del male che mettono in pericolo le sementi appena messe a dimora. Avvicinarsi alla Gloria per il momento unico e irripetibile dell’accensione richiede un certo coraggio. Per il rito di passaggio, un ragazzo prende una lunga pertica con la miccia accesa e incendia gli inneschi disposti lungo la Gloria che deve ardere interamente. La luce prodotta è potente e illumina tutti i visi sorridenti dei partecipanti alla festa. I tre falò risplendono tutta la notte sulle tre colline attorno a Scanno, come per purificare e aiutare a rendere feconda la terra.
Da anni le tre contrade sono in competizione tra loro e la vittoria, che ne determina la gloria e la supremazia per un anno intero, viene assegnata con criteri che non sembrano molto rigidi: qualcuno mi ha detto per l’altezza della Gloria, altri per la durata del fuoco, altri ancora per la bellezza della danza che le fiamme producono. In attesa che il rito torni ad animare il borgo, vale la pena comunque andare a conoscere Scanno, per assaggiare la squisita ospitalità che solo gente di montagna sa dare.
Articolo tratto da La Freccia