In apertura, le cave di tufo a Cala rossa, Favignana
Se isolarsi, per molti, è sinonimo di tranquillità, queste isole sono la meta perfetta. Con una modica spesa si può affittare una piccola casa di pescatori o alloggiare in un bed and breakfast, per concedersi un lusso raro al giorno d’oggi: il silenzio. L’arcipelago delle Egadi (da Aegates, isole delle capre) comprende Favignana, la più estesa, Marettimo la più lontana, e Levanzo, la più piccola, tutte a pochi chilometri dalla costa siciliana e raggiungibili con traghetti e aliscafi, che le collegano con diverse corse al giorno dal porto di Trapani, sfiorando le scenografiche saline. Favignana dista solo 16 chilometri dalla terraferma e, oltre a essere la più grande, è anche la più popolata; qui vive stabilmente il 90% degli egadari, quasi cinquemila abitanti. Ad attirare subito l’attenzione appena si scende dall’aliscafo è senza dubbio l’antica tonnara della famiglia Florio, da poco restaurata e riportata al suo antico splendore, ora trasformata in un museo, testimone di un’epoca in cui la pesca del tonno era una risorsa primaria e fiorente esportata in tutto il mondo. Un’attività, la mattanza, tenuta in vita ormai solo come evento turistico. Il paese di case bianche è caratterizzato da dedali di viuzze, dove il vento si incanala e porta i profumi delle trattorie che d’estate lavorano a pieno regime. Tutte le strade finiscono in piazza del Comune, abbellita dalla scultura bronzea dell’imprenditore Ignazio Florio, che nel 1876 acquistò l'isola e costruì la tonnara. Ma per conoscere più a fondo Favignana la cosa migliore è noleggiare uno scooter e raggiungere le calette nascoste disseminate lungo la costa: tra queste la più spettacolare e imponente è senza dubbio Cala Rossa, oggi un paradiso di acqua turchese ma rossa di sangue nel 241 a.C, durante la Prima guerra punica tra Romani e Cartaginesi. Qui, alle tonalità del blu si associa la scenografica cava realizzata col sudore di tante generazioni per estrarre il tufo, la pietra tenera usata anche per ricostruire Messina dopo il devastante terremoto del dicembre 1908. Al bar del corso, dove si possono gustare le migliori cascatelle fritte di ricotta isolane, può capitare di incontrare Gianni Mattò, il pittore delle tonnare: tele di juta colorate con poche e precise pennellate fotografano gli urli e gli sforzi sovrumani degli uomini e del rais, alle prese con tonni di 300, 400 chili. Proseguendo verso la parte meridionale, si arriva sulla costa alta di Cala del Bue marino – con le sue acque trasparenti e ricche di posidonie – ultima dimora della foca monaca prima che fosse sterminata da una caccia spietata, e poi alla spiaggia di Burrone, l’unica attrezzata.
Il porticciolo di Marettimo
Il bel Palazzo Florio, ora sede comunale, è l’ultima immagine di Favignana quando l’aliscafo lascia il porticciolo per raggiungere Marettimo, l’isola più in alto mare dell’arcipelago. Dista 15 chilometri e l’attracco avviene nel piccolo porto di Scalo nuovo, con le case dei pescatori addossate a formare un anfiteatro. Riserva marina, una sola strada, niente auto. Gli unici motori che si sentono sono quelli dei gozzi che rientrano col carico di turisti cotti dal sole, che hanno fatto il periplo dell’isola. Chi meglio dei pescatori locali può accompagnare e raccontare le bellezze di questa costa frastagliata e ricca di grotte, come quella più nota detta del Cammello, con il soffitto bucato che lascia intravedere il cielo. E, soprattutto, mentre lo scirocco sale d’intensità, un marinaio sa capire quando è il caso di tornare indietro senza rischiare. Riscesi a terra si visita il borgo: di poche case è dominato dalla ripida e dolomitica parete del Pizzo Falcone, la cima più elevata dell’arcipelago alta 686 metri, che si raggiunge con un sentiero ripido nella fitta macchia mediterranea, dove il lentisco si mescola all’elicriso e le euforbie ai pini d’Aleppo. Se di strada ce n’è una sola, Marettimo ha invece tanti sentieri che permettono di scoprirne l’anima più intima: uno di questi, facile e per tutti, raggiunge a mezza costa il castello di Punta Troia, alto sul mare, originariamente torre difensiva marinara normanna dell’XI secolo adibita poi a fortezza dagli Spagnoli, nel ‘600. Tra le sue pareti a picco, alte 115 metri, nidificano falchi pellegrini, gheppi e gabbiani reali. Un altro sentiero spettacolare raggiunge Punta Bassana, con vista su splendide calette solitarie, poi, quasi ostruito dalla vegetazione, arriva in sommità dove la vista spazia su tutta la dorsale montuosa dell’isola e dell’arcipelago: è qui che si aspetta, in religioso silenzio, il tramonto. Per riprendere le calorie consumate durante le escursioni è d’obbligo una sosta in piazzetta, con una deliziosa cena a base di pesce in uno dei tanti ristorantini con i tavoli sotto un cielo carico di stelle.
Seduce Levanzo, la sorellina minore delle Egadi, con il suo aspetto aspro e il minuscolo borgo raccolto attorno al porticciolo di cala Dogana. Qui case di pescatori ospitano con ogni comodità i turisti e chiunque voglia vivere il concetto di isola che rimanda alla lontananza, alla salsedine, al sogno. Questo è il mare lontano dallo stress, lontano da tutti, dove al massimo si fa una passeggiata sul sentiero profumato di essenze che porta al faraglione. Pareti di roccia calcarea dominano su tutto. Negli anfratti, a ben cercare, si incontrano diverse specie endemiche di piante che vivono solo qui, e nelle viscere di queste rocce si comprende il fatto che le Egadi erano abitate già in età preistorica. A testimoniarlo sono le pitture rupestri della Grotta del Genovese, un antro dove si celebravano riti e sacrifici propiziatori già 10-15mila anni fa, quando le Egadi erano ancora unite alla Sicilia. È ora di tornare ai ritmi della terraferma, dove dopo pochi giorni affioreranno i sintomi di una sindrome particolare, ma che non deve preoccupare: la nostalgia.
Un’opera di alta ingegneria a Minturno Scauri
13 settembre 2024