In cover, Cividale del Friuli (UD) © Marco Lissoni/AdobeStock
Ciaf, ciaf, ciaf, ciaf. Sento i miei passi sul pavé baciato dalla pioggia sottile di questa mattina uggiosa. La stradina porta a una bella piazza colorata mossa dagli ombrelli e dall’andirivieni della gente del mercato di Udine. Svolto a destra e vedo una porticina di legno. È un’osteria, che faccio non entro? Ci vuole proprio una merendina.
Qui si respira tradizione. Chiedo all’oste un bicchiere di vino. «Vino della casa?», chiede. Annuisco. Lui versa uno spumante e mi sussurra: «Assaggialo con questo». Su un pezzo di pane vedo adagiata una fettina di lardo morbida, che attende luccicante. L’abbinamento è strepitoso e gli chiedo: «Ma, scusa, questo vino è della casa? E questo lardo da dove viene?».
L’oste risponde sornione: «Il vino della casa è quello che scelgo io di bere e la tartina che ci abbino è quella che scelgo di mangiare». E poi aggiunge: «Paolo Rodaro è un mio amico produttore di questo metodo classico dal lungo affinamento sui lieviti e ieri mi ha portato il lardo di Mangalica. Alleva quei maiali pelosi nei suoi boschi. È proprio un matto!», e scoppia in una sonora risata, «quello è ancora autentico, vive dentro all’agricoltura, alle vigne!». Il suo racconto mi ricorda un film in bianco e nero dove si vedono gli uomini con le camicie a quadri, il fazzoletto intorno al collo e i buoi che trainano il carro. Si apre la porta dell’osteria, entrano due persone, ritorno alla realtà.
Decido di andare a Cividale del Friuli (UD) a trovarlo. Entro in paese attraversando il simbolo della città: il Ponte del diavolo. Costruito in pietra, poggia su un macigno naturale collocato nel letto del fiume Natisone, lungo il quale si può ammirare una scenografica gola. Entro nel borgo, attraverso strade e viuzze, passo sotto un arco e trovo una piazza grande con tanta gente seduta ai tavolini a fare colazione. Arrivo in un cortile, mi presento e chiedo di Paolo a una donna dai capelli ricci rossi che, sorridendo, mi dice: «Chissà dov’è. Sai, lui è libero, sparisce, poi torna e, spesso, non risponde al telefono. Lo cerco. Intanto, accomodati qui». Mi porge un calice di vino bianco e aggiunge: «Arrivo subito».
Il vignaiolo Paolo Rodaro © Matteo Guariso
Sono seduto fuori dalla cantina, guardo l’altalena di legno sospesa a una trave, i fiori, le botti e intravedo la scritta “dal 1846”. Qui c’è storia e c’è amore. Sento il vociare delle persone che cercano Paolo. La donna riccia ha un vestito bianco e fiori colorati disegnati sulle maniche, tacchi non troppo alti, portamento elegante. Mi si avvicina, mi guarda e dice: «L’abbiamo trovato, è in barricaia. Vieni e portati il bicchiere. Lui sta assaggiando i rossi».
La seguo, è veloce, osservo il suo incedere sicuro e brioso, scendo le scale e vedo quest’uomo in silenzio, che fissa il suo bicchiere, mi guarda e con l’alzavino preleva un po’ di Refosco dalla barrique per versarlo nel mio e mi dice: «Sai, mi chiedo che cosa penserebbero i miei del lavoro che sto facendo qui. E tu chi sei? Mia moglie mi ha detto di una persona con gli occhi buoni che mi cerca». Mi racconto in poche parole mentre penso che, ancor prima di conoscermi, mi sta facendo partecipe della sua giornata con una semplicità disarmante. Entriamo subito in empatia.
Ci sediamo in cantina e continuiamo la chiacchierata mangiando un po’ di salame e formaggio. Sono incuriosito da questo agricoltore contadino dal fare elegante e gli chiedo chi sia. Paolo lascia passare tre secondi e mi dice: «Sono il risultato delle generazioni che mi hanno preceduto. Sai, a volte penso di essere stato molto fortunato perché, grazie alla mia famiglia, ho capito davvero che cosa vuol dire fare il contadino in Friuli. E ho vissuto il vero significato della parola solidarietà. Ricordo con affetto mio zio che, chiamato dai vicini, andava nella loro stalla per aiutare le mucche a partorire. Quando arrivava a casa, e io ero piccolo, ci raccontava entusiasta della nascita di una bella vitellina, di come tutti fossero contenti perché era sana e di come il miracolo della vita lo continuasse a sorprendere. Ci spiegava che bastava osservare la natura per realizzare che ogni giorno accadeva qualcosa di speciale e meraviglioso»
E poi continua: «Il mondo contadino sa gioire sinceramente delle cose belle che capitano al prossimo e questo insegnamento lo porto nel mio cuore. Sono fiero di essere cresciuto in una famiglia semplice, dai sani valori, che mi ha insegnato a non provare invidia e a comprendere che chi desidera il bene degli altri scopre che la felicità altrui è la fonte più generosa della propria».
Lo ascolto con grande interesse, è magnetico: «Un giorno, camminando a Cividale, ho incontrato un signore che mi ha chiesto come stava mia zia. Io gli ho risposto che aveva 84 anni e stava bene. E lui mi ha raccontato che era stata come una mamma per lui. Pensavo scherzasse, invece mi ha detto che aveva vissuto a casa nostra per oltre un anno quando era bambino e che la mia famiglia lo aveva ospitato per aiutare la sua che si trovava ad affrontare un momento economicamente difficile», mi spiega.
«Ecco chi sono, quindi. Sono un uomo cresciuto in una famiglia di contadini, dove mi hanno insegnato che il lavoro dà dignità alle persone e l’altruismo ci aiuta a vivere meglio con noi stessi. A volte la vita ci può mettere davanti a momenti profondamente difficili, a prove inaspettate che sembrano lacerare ogni speranza di salvezza. Il tempo, a poco a poco, aiuta a riprendere l’equilibrio e, anche se le ferite rimangono, possiamo salvare la nostra anima dal dolore ripartendo dagli insegnamenti dei nostri maestri. Per me sono stati i componenti della mia famiglia: è da qui che riparto per ogni rinascita. Ma alla mia età sto ancora scoprendo tante cose e mi accorgo che ci possono essere ancora tanti nuovi maestri».
I maiali di razza Mangalica allevati da Rodaro © Lara Boldarino
Penso a quanto sia importante per gli agricoltori essere sempre aggiornati e a quanto sia necessario investire su se stessi, e anche rischiare, se si vuole segnare davvero il corso delle cose. «Tu sei uno che rischia?», gli chiedo. «Come non potrei non farlo? Ti rendi conto di quante cose abbiamo ancora da scoprire? Sul vino, per esempio, mi interrogo per capire che cosa posso assaggiare per provare ancora delle emozioni: ricerco l’equilibrio tra la freschezza della giovinezza e il trascorrere del tempo, che disegna note d’evoluzione capaci di raccontare profumi e finezze complesse. Mi piace sperimentare nuove vinificazioni e mettermi alla prova nella vita», racconta.
«Mia moglie mi dice sempre che convivono in me due aspetti in apparenza incompatibili: l’uomo di esperienza che usa il buon senso radicato nel passato e il ragazzino imprevedibile che cerca nuove avventure come se non conoscesse nulla del mondo. In effetti, se ci penso, la mia curiosità mi spinge a scoprire nuovi punti di vista, a trovare soluzioni creative, a chiedermi che cosa posso fare di nuovo che mi dia soddisfazione e piacere. Allo stesso modo, penso che la scelta delle frequentazioni, ossia delle persone con cui scegliamo di trascorrere il nostro tempo, racconti molto di noi. Ci mette alla prova. Perciò il mio rischio non è l’azzardo, ma è più legato a un concetto costruttivo del presente che mi porta a ricercare nuove strade per arricchire le mie esperienze».
Mi sento una spugna, vorrei ascoltarlo per ore, gli chiedo come vede il suo futuro. «Lo immagino pieno di sole. Vedi? Ha smesso di piovere mentre parlavamo. Fra poco arriverà un altro nostro amico e se vuoi rimanere a cena da noi sei il benvenuto. A casa accenderemo il fuoco, mangeremo il minestrone di verdure fatto in casa, la polenta e il frico con le patate. E poi, guardando il panorama dalla collina, potremo parlare insieme del futuro». Così è stato.
Articolo tratto da La Freccia
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