In cover, vista dall'alto del Santuario di Poggio Bustone (RI) © Monica Domeniconi/Wikipedia
Laudato si’, mi’ Signore, persora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti floriet herba. Si è detto molto di Francesco ecologista, a volte anche strumentalizzando eccessivamente la sua figura, che conosce notevolissima fortuna negli Stati Uniti d’America ma non solo. Ne riferì, per esempio, Ennio Caretto sul Corriere della sera del 18 marzo 2001: «Per gli Americani, St. Francis è – ufficialmente – il santo dei verdi (the greenies) e degli animali, l’antesignano dell’ecologia, oltre che l’apostolo della povertà e dell’umiltà».
Ma a cavallo tra il XII e il XIII secolo ci si poneva veramente il problema del rispetto dell’ambiente e addirittura di un’eco-spiritualità? Quindi frate Francesco come poteva essere un ecologista? È chiaro che su di lui si proiettano temi, convinzioni, ideali assai più recenti, se non contemporanei. Allora, dovremmo dire “frate Francesco nostro contemporaneo”? Resta il fatto che, comunque, il santo di Assisi comunica un chiaro messaggio cristiano sui temi della sostenibilità, anche se non usa mai termini come natura, ambiente, o altri a noi comuni, ma creature. Ciò significa che esse sono un dono del Signore e che come tali vanno accolte nella gratitudine, ossia nel rendimento di grazie, per poi restituirle a lui mediante l’amore per i fratelli.
Due aspetti, la custodia del Creato e l’amore per i fratelli, che le Fonti Francescane (la raccolta di scritti del Santo e sul Santo) non mancano mai di sottolineare: «Diceva ancora che il frate ortolano dovrebbe sempre fare un bel giardinetto in una parte dell’orto, dove seminare e mettere ogni tipo di erbe odorose e le piante che producono bei fiori, affinché invitino, nella stagione loro, gli uomini che le vedono alla lode di Dio. Infatti ogni creatura dice: «Dio mi ha creata per te, o uomo!».
Un esempio di amore per i fratelli Francesco lo offre redigendo la Regola di vita negli eremi: «Coloro che vogliono condurre vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro. Due di essi facciano da madri ed abbiano due figli o almeno uno. I due che fanno da madri seguano la vita di Marta (Cfr. Lc 10,38-42), e i due che fanno da figli quella di Maria. E questi abbiano un chiostro, nel quale ciascuno abbia una sua piccola cella, nella quale possa pregare e dormire».
Il Sacro Speco, chiesa costruita in una grotta dove pregava San Francesco, vicino al Santuario © Christopher John SSF/Wikipedia
È proprio in un eremo, il Santuario di Poggio Bustone, che Francesco inizia la sua avventura comunitaria e vi arriva con i suoi primi frati nel 1208, precisamente in estate: per la prima volta si affacciano sulla valle reatina. Il viaggio è difficoltoso: scalzi o con delle calzature di fortuna, il gruppo lascia Assisi, città affettuosa e malvolente allo stesso tempo, e si dirige verso Spoleto per attraversare Cascia, Leonessa e giungere nei pressi di Rieti. L’animo di Francesco è travagliato quanto il cammino appena compiuto, il pensiero dei peccati commessi in gioventù lo attanaglia e nello Speco superiore prende coscienza dell’essere peccatore perdonato e amato da Dio.
Qui il Santo, assieme alla piccola comunità composta, saluta gli abitanti del posto con l’espressione: «Buongiorno, buona gente!». Un saluto di una semplicità toccante, da cui è stato parafrasato il titolo di questa rubrica che ha l’obiettivo di accompagnare i lettori alla scoperta di incontaminati luoghi dal sapore francescano.
L’edicola eretta nel 1650, dove si trova la pietra con l’impronta del breviario di San Francesco, lungo il sentiero vicino al Santuario © Christopher John SSF/Wikipedia
Visitando questo sito non si trovano importanti tesori d’arte come in altri conventi, ma quello che stupisce è la semplicità e l’umiltà della struttura, in perfetta coerenza con il messaggio francescano. Percorrendo un sentiero, dal convento si giunge alla Grotta della Rivelazione, dove il Santo abitualmente si raccoglieva in preghiera ed ebbe la visione che gli confermò il perdono per i peccati commessi in gioventù.
Sempre qui, gli fu anche predetta l’espansione prodigiosa del suo ordine. Gli alberi, il verde, le Creature e il Creato ci aspettano e, come scrisse Cesare Pavese “ringraziando” l’editore Einaudi per dei “sigari pessimi” per cui il contratto non poteva essere portato a compimento, «c’è una vita da vivere, ci sono delle biciclette da inforcare (treni da prendere, ndr). La Natura insomma ci chiama, egregio Editore; e noi seguiamo il suo appello». Buon viaggio, brava gente.
Articolo tratto da La Freccia
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