In cover, le gole del Nera © maxthewildcat/AdobeStocki
È l’acqua a disegnare il percorso della valle che dalle porte di Terni si apre per cento tortuosi chilometri, su su fino a Castelsantangelo sul Nera (MC). Un susseguirsi di gole, alture verdissime talvolta anche rocciose, eremi, torri di avvistamento e timidi borghi medievali abbarbicati a mezza costa. Il Nera, settimo per portata tra i fiumi italiani, gorgogliando tra le rive ha segnato i destini degli abitanti della Valnerina, dando il nome a questa valle misteriosa e pressoché intatta.
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Un ambiente incantato, ispiratore non a caso di profonda spiritualità, tutt’uno con il suo fiume e le sue tradizioni. Ne sa qualcosa Vallo di Nera (PG), l’antica Castrum Valli, sorta nel 1217 su concessione del podestà della vicina e potente Spoleto (PG), sulle curve concentriche di un colle a guardia della via di comunicazione sul fiume.
Vallo di Nera (PG) © Marco Ilari
A vederla sbucare dal verde fitto, è facile intuire le ragioni delle sue origini: la posizione eccezionale dispiegata sul poggio ne fa un avamposto strategico di attuale imponenza. Vallo di Nera ha conservato il suo impianto urbano grazie alle meticolose riqualificazioni che si sono susseguite negli anni: case in pietra, archi, contrafforti e scalinate si aprono e si fondono di continuo, insieme a vicoli, anche coperti, detti dagli abitanti “lu bucu di Ersilia o lu bucu di Maria”, in base al nome del proprietario dell’epoca.
Nata come libero castello fortificato, Vallo fu nel Medioevo la comunità più ricca della valle, dedita all’allevamento e all’agricoltura. Una prosperità che favorì la nascita di una committenza agiata, con una certa propensione per l’arte. Imperdibile a tal proposito la chiesa di Santa Maria Assunta, restaurata dopo l’ultimo sisma e riaperta al pubblico di recente. In stile tardo gotico, dalla facciata e le pareti in conci di pietra bianca e rosa, la chiesa, con la sua unica navata, rappresenta una singolare pinacoteca di affreschi di grande qualità stilistica e narrativa, realizzati tra la fine del ‘300 e gli inizi del ‘400.
E se nell’abside si riconosce lo stile giottesco dei due maestri Cola di Pietro da Camerino e Francesco di Antonio da Ancona, che vi lavorarono nel 1383, sulle pareti è un’esplosione di brillanti colori che ritraggono una moltitudine di santi, papi e Madonne del latte, ex voto commissionati da devoti del posto. Tutta da ammirare la Processione dei Bianchi, risalente al 1401, straordinario documento storico del corteo di penitenti che passò realmente per Vallo nel 1399, proclamando la pace universale. A ridosso del castello sorge il cinquecentesco borgo dei Casali, ornato da torri colombaie, fontane e lavatoi, il tutto intorno alla chiesa votiva di San Rocco.
Chiesa di Santa Maria Assunta, Vallo di Nera (PG) © Marco Ilari
Imboccate le intricate stradine tra una feritoia e un beccatello, si passa attraverso il romantico vicolo delle Baciafemmine, un angusto passaggio a ridosso della Porta Maggiore, tipico delle città medievali umbre. Il luogo, romantico e panoramico, ha spesso ispirato la narrativa locale, come le celebri vallanate, aneddoti leggeri sui personaggi (mitologici e non) locali.
Per conoscere la sua storia vale una visita alla Casa dei racconti: centro di ricerca e documentazione dove un armadio-scultura conserva le memorie raccolte nel tempo. La vista dall’acropoli del paese è ampia e rassicurante e consente di apprezzare l’avvolgente verde dei boschi di roverelle, faggi e pini d’Aleppo: piante ottime per lo sviluppo delle tartufaie.
Qui, infatti, il tartufo vegeta abbondante, al punto da aver trasformato il territorio in un immenso giacimento di oro nero: a questo proposito, Vallo di Nera vanta la qualifica di Città del tartufo. Ma non basta: questa antica città fortezza, meno di 400 anime, può fregiarsi di numerosi altri titoli virtuosi: Borgo più bello d’Italia, Bandiera arancione del Touring Club, Città dell’olio, Comune amico delle api – garanzia di ambiente sicuramente sostenibile – e Comune fiorito.
Tartufo nero © Maria Luisa Celesti
Last but not least, Vallo di Nera è anche promotore di Fior di cacio, evento dedicato ai formaggi della Valnerina, tra cui spicca la ricotta salata, presidio Slow Food. Insomma, tutta una serie di titoli e attività che premiano le peculiarità del borgo e combattono lo spopolamento. E tutto ciò fa di Vallo di Nera un esempio di buona pratica da replicare in contesti simili.
Scendendo dal paese, poi, si può percorrere la ciclabile lungo il percorso dell’ex ferrovia Norcia-Spoleto, costeggiando per lunghi tratti il fiume. Le acque cristalline del Nera non smettono però di stupire: addentrandosi verso nord nel profondo della vallata, all’altezza di Borgo Cerreto (PG), si uniscono a sorgenti sulfuree: qui sorgono i Bagni di Triponzo, alimentati dall’unica acqua termale umbra, salutare per corpo e mente.
È proprio nei dintorni di Triponzo che il Nera incontra il Corno, suo affluente, e qui si apre l’omonima, aspra valle che conduce sino a Cascia, luogo di immensa (e celebre) spiritualità ma anche di inaspettati spunti artistici e gastronomici. La città, patria di Santa Rita, un tempo punto d’incontro tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio, fu crocevia di traffici e commerci e a metà del ‘400 raggiunse il suo massimo splendore e ben ventimila abitanti.
Cascia (PG) © Massimo Chiappini
Vale quindi una visita il Museo civico a Palazzo Santi, con la sua sorprendente collezione di sculture in legno, terracotta e pietra risalenti al XIII e XV secolo: tra queste, da non perdere la statua dell’Arcangelo Raffaele con Tobiolo, capolavoro che lascia a bocca aperta. A perpetuare in città l’operosità della santa dei casi impossibili ci pensano poi le monache di clausura del monastero: dedite non solo alla vita contemplativa, infatti, producono deliziose pastarelle, la cui ricetta arrivò dalla Sicilia con suor Pia, più di cento anni fa. La loro vendita mira a sostenere la costruzione della Casa di Santa Rita, edificio destinato a ospitare le famiglie dei malati ricoverati negli ospedali locali.
Tra le innumerevoli eccellenze agroalimentari del territorio casciano vale la pena citare un legume antico, la roveja, e lo zafferano, che con i suoi fiori colora di viola i paesaggi all’inizio di ogni autunno. Lo zafferano purissimo di Cascia è infatti uno dei prodotti agroalimentari tradizionali dell’Umbria. Coltivato fino al ‘500 e poi inspiegabilmente scomparso, ha ripreso a essere prodotto nel 2000, grazie anche all’indefesso lavoro di ricerca – d’archivio e nei campi – di Silvana Crespi, brillante imprenditrice agricola a cui si deve anche il recupero della roveja, oggi presidio Slow Food.
Questo legume, simile a un pisello di colore scuro, saporito e nutriente, ha arricchito nei secoli passati le zuppe dei popoli della Valnerina. Riscoperta fortunosamente dall’imprenditrice, oggi la roveja è tornata sulle tavole dei ristoranti, sia come minestra che come fresca insalata estiva. E, come ci fa sapere lo chef del Quirinale, è uno dei piatti prediletti dal presidente Sergio Mattarella. Nei suoi paesi e nelle sue colture, quindi, questo territorio racconta i segni lasciati dagli uomini che hanno interagito con l’ambiente naturale senza mai sovrastarlo.
Cascata delle Marmore (TR) © Alessio Russo/AdobeStock
Merita una sosta anche la cascata delle Marmore, proprio ai confini della valle solcata dal Nera, secondo sito più visitato dell’Umbria e, tramite le riprese del regista premio Oscar Gabriele Salvatores, testimonial delle bellezze italiane a Expo Dubai 2020. Anche stavolta l’acqua è protagonista. La straordinaria opera di architettura idraulica risale al 271 a.C., quando il console romano Manio Curio Dentato, per liberare la piana reatina dalle stagnanti acque del Velino, ordinò lo scavo di un canale, la Cava Curiana, presso la rupe di Marmore, in modo da convogliarle più in basso verso il letto del Nera.
Inizia così la lunga storia della cascata artificiale, diventata attrazione mondiale: 165 metri articolati in tre grossi salti, di cui il primo, di 85, è il più alto al mondo. Il ricorso all’intervento dell’uomo ha modificato l’assetto originario, permettendo però al contempo che la natura prendesse poi possesso dell’area, rendendola scenografica e preziosa anche dal punto di vista della biodiversità ormai presente.
La sua spettacolarità ha incantato e ispirato scrittori e poeti di ogni tempo, da Virgilio a Cicerone fino a Lord Byron e oggi a raccontarne il passato, il presente e il futuro c’è Hydra, il museo multimediale che completa l’offerta del parco. Inoltre, dal XIX secolo la forza motrice dell’acqua viene utilizzata per generare energia elettrica e alimentare le acciaierie di Terni. Tutto torna: l’acqua del Nera continua a fare storia e ad accompagnare costantemente chi va, chi torna e chi resta.
Articolo tratto da La Freccia
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