In apertura Campobasso © Enzoartinphotography/AdobeStock

Partendo dalla stazione di Roma Termini, decido di avventurarmi verso Campobasso, una delle città più fredde d’Italia. Durante il viaggio leggo qualcosa sul Molise e scopro che in un’ora si può passare dall’alta montagna al mare e la cucina tipica è molto varia. Castelli, borghi e natura sono tra le caratteristiche che donano a questa regione un aspetto ancora poco contaminato ma allo stesso tempo affascinante e ricco di storia. Guardo dal finestrino, consulto mappa per capire dove sono, e capisco che uno dei fattori che penalizzano il turismo qui è il non trovarsi su percorsi di passaggio ed è proprio questo che ha alimentato ancora di più la mia curiosità verso il Molise.

 

Arrivato a Isernia, lascio il treno per salire sul pullman sostitutivo. Il viaggio continua per un’altra oretta e ne approfitto per chiedere qualcosa su Campobasso a un signore che siede al mio fianco. Tra le tappe di oggi visiterò sicuramente il castello Monforte, restaurato dal conte Nicola II Monforte dopo il terremoto nell’Italia centro- meridionale del 1456. Ma, mentre percorro le vie del centro storico, sorge un imprevisto: la suola di una delle mie scarpe si apre e rimango letteralmente a piedi. Incontro dei ragazzi molto gentili e chiedo loro se in città c’è un calzolaio a cui rivolgermi. Senza pensarci due volte mi parlano di Antonio, un artigiano sui generis che fa miracoli con le scarpe, e si offrono di accompagnarmi. La facciata della sua bottega è molto ricca di dettagli e rimango piacevolmente stupito. 

Il calzolaio Antonio Pietromonaco nella sua bottega

Il calzolaio Antonio Pietromonaco nella sua bottega © Eufrasia Caruso

L’occhio viene catturato dalla maniglia della porta, tutta rivestita in cuoio: la apro e l’odore della bottega è fantastico. Mi guardo intorno e non noto scarpe sparse ma tanto ordine, quadri, vetrine con borse e accessori molto curati. Dopo un attimo mi accoglie il calzolaio: è giovane, con barba e capelli lunghi e un bel sorriso. Gli spiego che sono di passaggio e ho solo un paio di scarpe con me, quelle ai piedi, e lui, guardandole, mi chiede gentilmente di toglierle. Le analizza tra le mani e, davanti ai miei occhi, scolla la suola come per magia. Poi mi dice: «Ci vorrebbe qualche ora ma provo a fare un’eccezione. Accomodati sul divano». Rimango piacevolmente stupito dal fatto che sia giovane, ma osservandolo mi accorgo anche che c’è altro in lui. Guardo i quadri che riportano la sua firma e poi noto in alto, in un angolo dietro al bancone, due pergamene intitolate ad Antonio Pietromonaco: sono le sue lauree presso l’Accademia di Belle arti dell’Aquila.

 

La mia curiosità sale sempre di più e quando nella bottega entra una donna, la moglie, le chiedo di raccontarmi la loro storia. Eufrasia esordisce dicendo: «Sono un’infermiera d’emergenza e, appena stacco dai turni, corro in bottega a trovare mio marito che è all’opera». Poi continua: «Ho conosciuto Antonio nel 2014, aveva avviato la sua attività da due anni. Ho iniziato a vivere la bottega nel pomeriggio, per la pausa caffè, ma più i mesi passavano più mi appassionavo al suo modo di riportare in vita le scarpe e di trasformare un foglio di cuoio in un accessorio unico. Ha davvero le mani magiche». Eufrasia è innamorata e mi continua a parlare di suo marito: «Ha sempre avuto barba e capelli lunghi. Spirito libero, testardo, indipendente sin da piccolo, compiuti 18 anni voleva trovare un lavoretto ma il suo aspetto non era ritenuto idoneo. Un pomeriggio portò i suoi stivali dal calzolaio sotto casa, un uomo dall’animo nobile, figlio d’arte, con una bottega risalente al 1931. Passò una settimana, poi un’altra e un’altra ancora, ma quegli stivali non erano mai pronti perché il titolare era troppo pieno di lavoro, così Antonio si offrì di dargli una mano. Passava i pomeriggi lì, a guardarlo lavorare, lui che frequentava il liceo artistico e aveva una grande predisposizione per la creatività e i lavori manuali. Dopo il diploma, la scelta fu a occhi chiusi: Accademia di Belle arti dell’Aquila».

 

Sono sempre più interessato e voglio saperne di più. Eufrasia continua: «Il suo titolo è Maestro d’arte in Decorazione, il percorso poteva continuare ma poi, come si dice, “al cuor non si comanda”. E così, nel 2012, Antonio ha aperto la sua bottega, fondendo tecniche di vecchia e nuova generazione e trasformandola in un piccolo centro servizi, per tutte le tasche e gli stili di vita. Dall’intramontabile tacco e soletta alle risolature ipertecnologiche per qualsiasi tipologia di calzatura, dalle creazioni di pelletteria per il mondo biker alle borse esclusive e personalizzate». Quando Eufrasia è entrata nella sua vita, nel 2014, ha cominciato a raccontare questa storia sui social, prevalentemente su instagram. E molte persone, da tutta Italia, hanno contattato il

calzolaio per ricevere una sua creazione o farsi riparare le scarpe. 

Castello Monforte Campobasso

Castello Monforte © Enzoartinphotography/AdobeStock

Dopo tante richieste da ogni angolo dello Stivale, è nato il servizio #Soscalzolaio, per permettere a tutti di usufruire del suo sapere. «Ogni creazione viene disegnata e realizzata da Antonio ma per una questione di costi alcuni progetti vengono realizzati solo su preordine. Diamo molta importanza all’ecosostenibilità legata al mondo dell’artigianato. Il nostro motto è “prima di buttare pensa a riparare”, oppure “compra poco purché sia di qualità”. Abbiamo sempre mostrato chi siamo realmente, la vita del retrobottega e i nostri sacrifici con spontaneità». La donna è un fiume in piena, felice e orgogliosa di raccontare quella che sembra una fiaba, ma mi accorgo che a un tratto cambia espressione: «Abbiamo inaugurato il sito all’inizio della pandemia e, mentre i follower su instagram e tiktok crescevano giorno dopo giorno, con la crisi le vendite diminuivano sempre di più». Mi spiega che le spese hanno cominciato a superare le entrate e, nonostante le tante ore di lavoro, oggi la bottega rischia di chiudere: l’artigianato in Italia è considerato una perla, ma poi le persone preferiscono acquistare dai grandi marchi.

 

Antonio esce dal retrobottega con le scarpe rimesse a nuovo, incollate, revisionate e lucidate. Lo ringrazio per il lavoro e la gentilezza e gli chiedo del suo futuro: «Ho investito tutti i risparmi in questa attività, le abbiamo provate tutte. Mi concedo sei mesi per cercare un altro lavoro o dovremo abbandonare abbandonare il nostro Molise e l’Italia». Lascio la bottega con l’amaro in bocca, mi guardo intorno smarrito. Un artigiano italiano, che io considero un eroe, sta decidendo di chiudere. Per quanto possibile, voglio sostenere il lavoro di Antonio e di quanti come lui hanno bisogno di vicinanza. Perché le professioni artigiane devono sopravvivere: questa sarebbe veramente una vittoria per l’intera comunità.

Articolo tratto da La Freccia