In apertura La Martella © Archivio associazione Amici del borgo

«Ciao Peppone, cosa ci fai qui? Vieni a prenderti un caffè, io ti seguo sempre». Il ragazzo è sorridente e ha la faccia simpatica e poi un caffè ci vorrebbe proprio vista la disavventura della ruota bucata proprio vicino all’indicazione La Martella, una frazione di Matera. «Benvenuto nel borgo rurale più bello d’Italia. Io sono Raffaele», mi dice.

 

Il bar è pieno di ragazzi e sento parlare inglese. Questa insolita situazione per un locale nella periferia di Matera mi incuriosisce e chiedo il perché della loro presenza: «Sto accompagnando questo gruppo di studenti stranieri a scoprire La Martella, il primo borgo a nascere per decongestionare gli antichi rioni Sassi. La sua storia risale a 70 anni fa e si lega a quella di grandi personaggi della cultura italiana come l’imprenditore Adriano Olivetti, il Primo Ministro Alcide De Gasperi e l’architetto Ludovico Quaroni», risponde. Sgrano gli occhi e Raffaele orgoglioso incalza: «Spesso chi viene qui, dopo aver visitato i Sassi, decide di capire meglio questa millenaria città e viene a vedere La Martella o i quartieri degli anni ‘50. Ancora oggi Matera resterebbe incomprensibile senza aver conosciuto questo borgo e l’idea di comunità che è nata in quegli anni».

Chiesa di San Vincenzo de’ Paoli, La Martella

Chiesa di San Vincenzo de’ Paoli, La Martella

Raffaele ha conquistato la mia attenzione e gli chiedo come mai sia così affezionato a questo luogo. E lui: «Io sono una guida turistica, anzi mi piace definirmi un narratore di storie del nostro territorio, nonché abitante del borgo da sempre, nato e cresciuto qui. Da giovane chi ci abitava si sentiva emarginato, andare a scuola a Matera ed essere di La Martella era una considerata una cosa “brutta”. Ma io sono contento di aver passato la mia infanzia qui, tra i campi, all’aria aperta, e di essere parte di questa comunità. Mi piace essere un martellese doc», dice con orgoglio.

«In dialetto la parola sta a significare mortella, il nome di un mirto, l’arbusto aromatico della macchia mediterranea a foglie sempreverdi che cresceva in abbondanza in questo territorio. Il nome italianizzato La Martella viene citato per la prima volta in una delibera comunale nel 1951, con la quale l’amministrazione si impegnava ad acquistare circa 50 ettari di terreni da cedere gratuitamente all’ente case popolari. Qui sarebbe stato costruito un villaggio rurale di 200 alloggi da assegnare ai nullatenenti di Matera, conferendo qualche anno dopo al borgo la denominazione La Martella», mi spiega.

I ragazzi stranieri hanno finito di fare merenda, Raffaele deve andare a lavorare ma io ho ancora sete di sapere e mi unisco al gruppo, lasciandomi guidare tra i vicoli: «Negli anni ’50, Matera è stata investita da una serie di importanti trasformazioni urbane e sociali. Le condizioni di vita in alcune zone non erano ritenute dignitose per cui si decise di costruire nuovi quartieri, caratterizzati da un buon livello di qualità. La borgata doveva essere una sorta di villaggio modello ma per molti fu un villaggio dell’utopia Anche se questo appellativo venne rifiutato dallo storico tedesco Friedric Friedmann, amico personale di Olivetti. Docente presso l’università di Arkansas, fu uno degli intellettuali che contribuì allo studio del mondo contadino e battezzò come riuscito l’esperimento di Matera», continua a raccontare la guida.

La guida turistica Raffaele Lamacchia

La guida turistica Raffaele Lamacchia

La Martella è stato il primo borgo a ospitare gli abitanti dei rioni Sassi che lasciavano le grotte umide per vere case, con acqua corrente e luce, progettate ascoltando le loro reali necessità: «I contadini impiegavano ore per raggiungere i campi e così si auspicò la realizzazione di case sparse per le campagne, come le tante che si vedono in giro per le aree agricole italiane», dice ancora Raffaele.

Fu una grande opera architettonica, quindi, ma anche un modello di lavoro e progettazione. «L’urbanizzazione si è sviluppata seguendo uno schema a stella, che vedeva al centro lo spazio civico e gli edifici pubblici come chiesa, ambulatori, asilo, teatro, scuole e le piazze. Mentre i palazzi residenziali furono distribuiti lungo le strade che si diramano verso l’esterno. Il borgo fu inaugurato il 17 maggio del 1953 alla presenza di De Gasperi, dell’ambasciatrice americana in Italia Clare Boothe Luce e di migliaia di contadini»

Il coinvolgimento di tutte queste personalità nell’ideazione e realizzazione del borgo mi affascina, voglio saperne di più e Raffaele mi accontenta: «L’architetto Quaroni mise in opera il sogno di Olivetti. La Martella rappresenta l’idea utopista olivettiana che vede nella realizzazione di questo borgo rurale un esempio di comunità già sperimentata nel Canavese, un’esperienza dove la casa, il lavoro e l’educazione sociale e civi[1]le fossero i valori fondanti di una comunità. L’obiettivo dell’imprenditore era la ricostruzione sociale, politica, economica, morale e anche religiosa dell’Italia del dopoguerra».

La nostra passeggiata continua e la spiegazione si fa sempre più dettagliata: «Siamo nel fulcro della vita urbana, che si svolge intorno all’importante chiesa progettata da Quaroni, al cineteatro che porta il suo nome e alla biblioteca di comunità dedicata all’ingegnere di Ivrea. La Martella è anche l’unico borgo rurale ad ave[1]re un teatro sia interno sia esterno. In questo luogo si tenevano le assemblee dei cittadini, non ci sono sedie perché tutti dovevano portarsi la loro da casa. Quaroni ha attribuito un grande risalto alle dimensioni della chiesa perché i finanziatori non gradivano che avesse le stesse proporzioni delle case e degli edifici circostanti. La forma ricorda un granaio del mondo contadino che si eleva per circa 20 metri ed è visibile da tutto l’abitato».

Alla passeggiata partecipa anche un ragazzo di Torino che si chiama Marco, bassino, capelli chiari e occhi piccoli e neri. Gli chiedo cosa pensi di quel borgo e mi accorgo dalla sua risposta che è molto preparato: «L’idea era quella di costruire un borgo innovativo per quei tempi ispirandosi alle unità di quartiere inglesi. Si voleva dare ai contadini metodi e strumenti per diventare imprenditori agricoli, fornendo loro la casa, la stalla, l’orto e un pezzo di terra. Qui, passeggiando la sera d’estate, si assapora a pieno la poetica del vicinato».

Raffaele chiede l’attenzione di tutti, alza il tono della voce e si mette al centro. Aspetta che tutti siano in silenzio e dice: «Questa è casa mia, aperta agli studenti e agli artisti. Ecco la mia visione del borgo, da centro rurale per contadini e pastori a centro culturale per artisti aperto alla sperimentazione. Perché La Martella è nata come una sperimentazione e farla tornare a vivere con le visite è anche riportarla alla sua natura originaria di quartiere laboratorio». Oggi di quella fantastica storia è rimasto un popolo fiero e orgoglioso che porta avanti le antiche tradizioni dei vicinati dei Sassi e continua a battersi per un’idea di comunità olivettiana.

Articolo tratto da La Freccia di giugno 2023