In apertura, Pollica (Salerno)

Sono da sempre affascinato dal Cilento. Lo sento mio e del resto un po’ lo è, visto che in epoca romana era parte della Lucania, la mia regione, un tempo ben più vasta dell’odierna Basilicata. Oggi il mio diario di viaggio mi porta a Pollica, in provincia di Salerno, per pranzare nel ristorante di Ada, una finestra sul vivere mediterraneo.

Parto alla volta del Cilento e prendo il treno da Potenza verso Salerno. Scendo a Battipaglia e cambio in direzione Ascea. Sul vagone incontro ragazzi felici con costumi da mare e zainetti. Vorrei avere la loro spensieratezza, provo ad attaccare bottone e, con grande sorpresa, scopro di avere di fronte giovani molto responsabili e maturi. Stanno andando al mare, sono orgogliosi di essere cilentani e consapevoli di avere una responsabilità importante nei confronti del Pianeta.

Tra loro c’è Franco: alto, capelli scuri e occhiali rossi. Mi chiede dove sto andando e quando gli rispondo che sono diretto a Pollica mi dice con un moto di orgoglio: «Lo sai che Pollica è stata riconosciuta come Comunità emblematica della Dieta mediterranea dall’Unesco?». Faccio finta di non sapere e chiedo ulteriori notizie in merito. «È un paesino con poco più di duemila abitanti, nel cuore del Mediterraneo, dove si usano ancora i soprannomi per indicare l’appartenenza a una famiglia». Parlerei ancora molto con Franco ma sono arrivato ad Ascea e devo scendere. Affitto una bicicletta a pedalata assistita e parto per raggiungere Pollica. La strada è ricca di colori e profumi, le persone per strada salutano e sono molto rispettose dei ciclisti. Finalmente arrivo a Pollica e mi sento proiettato in un’altra dimensione.

Due ragazzi del Paideia campus passeggiano nel Giardino della Dieta mediterranea

Il paese sorge alle pendici del Monte della Stella, di fronte allo spicchio cristallino di Mar Tirreno, insignito delle Cinque vele di Legambiente dal 2000. Il Comune comprende cinque frazioni incantevoli: Acciaroli, Cannicchio, Celso, Galdo e Pioppi. Cinque scrigni di biodiversità, con natura e storia che si contaminano. Questo territorio è infatti erede di una trama umana antica, che parte dalla scuola eleatica di Parmenide, attraversa il lungo Medioevo con la Scuola medica salernitana e arriva agli anni ‘50, quando gli scienziati Ancel e Margaret Keys diedero un nome allo stile di vita diffuso tra chi abitava questi luoghi. Nacque così il mito della Dieta mediterranea, inserita dall’Unesco nella lista del Patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Non a caso Pollica ospita oggi il Paideia campus, un laboratorio sperimentale dedicato alla ricerca e alla formazione sul tema dell’ecologia integrale. Si è fatta l’ora di pranzo e la mia missione è andare a mangiare da Ada, la cuoca di Ancel Keys. Conosco bene lei e il suo ristorante: trattoria contemporanea per eccellenza, dove c’è grande cura per la sostenibilità ambientale e rispetto della madre terra. Riconosco la padrona di casa che, seduta quasi all’ingresso dell'osteria, è attenta a tutto quello che le succede intorno, ci salutiamo affettuosamente e mi presenta una ragazza riccia, dal chiaro accento bolognese. Si chiama Sara Roversi, è un’esperta di innovazione nella filiera agroalimentare e quando le chiedo cosa fa a Pollica mi dice di esserci arrivata grazie al regista americano Andrew Friedberg. «È stato lui a farmela scoprire e a presentarmi il sindaco Stefano Pisani, un visionario, un innovatore. Con lui ho scoperto il Vivere mediterraneo, non un regime alimentare o una dieta ma un vero e proprio modello culturale, un programma di governo». Prosegue e mi parla del sogno del primo cittadino: trasforma[1]re la narrazione delle aree marginali in riserve naturali per il futuro del Pianeta; dare vita a un territorio educante e diffondere quel modello dalle origini antiche che oggi è più moderno che mai.

Sara Roversi

Sara Roversi

Sono sorpreso dalla risposta, conosco bene questo patrimonio, Pollica e tutte le terre della Dieta mediterranea che contribuiscono da millenni alla magica alleanza tra gastronomia e sostenibilità. Un connubio in grado di tenere in vita una biodiversità unica al mondo e favorire la longevità di chi adotta questo stile di vita, che unisce la tutela dell’ambiente alla cura della salute.

Passo allora a una domanda più tecnica e le chiedo se sia corretto parlare di una gastronomia della sostenibilità e lei sembra essere d’accordo: «Si tratta di una gastronomia stagionale e circolare, che in queste terre si unisce a una cucina equilibrata e inclusiva, multiculturale e accogliente. Qui i cuochi, i pescatori, i coltivatori, le nonne e i nonni sono maestri creativi, scienziati e narratori che hanno custodito autenticamente saperi dalle radici profonde. E, nei secoli, sono diventati ispirazione per i grandi chef, esportando le icone della cucina italiana nel mondo». Continua spiegandomi come la forte coscienza ecologica abbia fatto sì che, nei secoli, queste terre siano diventate culla di patrimoni materiali e immateriali unici al mondo, dove il rituale del convivio diventa un vero algoritmo della longevità. Capisco che Sara non solo è innamorata del Cilento ma è anche una professionista. Le chiedo se vive a Pollica e se sta lavorando a progetti per il territorio. «Quattro anni fa abbiamo cominciato a sperimentare un modello ispirato all’ecologia integrale, coinvolgendo la comunità e tantissimi partner. Azione dopo azione, abbiamo portato Pollica e la Dieta mediterranea alle Nazioni Unite. Questa realtà non è un esercizio di storytelling ma un’esperienza da vivere. Devi connetterti all’energia del posto per poterla raccontare con animo aperto. Qui è nato il Paideia campus, che ospita studenti da tutto il mondo. Una scuola che non si fa sui banchi ma tra i campi dei coltivatori, tra le bufale degli allevamenti sostenibili o sulle barche di chi pesca le alici di menaica, presidio Slow Food. Con lo sguardo rivolto ai centenari che hanno ispirato le ricerche di Ancel e Margaret Keys sul potere longevo della Dieta mediterranea».

Sono curioso di sapere chi era Roversi prima di sperimentare tutto questo. E lei mi spiega: «Un’imprenditrice, una filantropa, un’attivista e una mamma che poi ha deciso di invertire la rotta. Se prima la mia strada andava dal globale al locale adesso si muove in senso contrario».

Il globale di cui mi parla è fatto dagli hub tecnologici e dalla finanza, ma anche dalle comunità indigene con cui il suo team è in contatto quotidiano, tra India, Indonesia, Messico, Africa e Amazzonia. «Perché oggi il mondo è cambiato ma vanno recuperate le radici. Non ci sarà alcun business senza umanità». Ringrazio Sara, le chiedo se vuole mangiare con me e Ada e intravedo una nuova trama per questa terra. Che ha il nome di una donna.