In cover, il lago di Albano (RM) © marcociannarel/Adobestock
Fuori Roma, c’è la storia di Roma. Tracce di templi, passaggi imperiali, ville sconfinate, terme e ninfei, residenze pontificie. E un lago, un tempo vulcano, che custodisce gli abissi. I binari per i treni regionali diretti ai Castelli Romani sono in fondo alla stazione Termini, verso l’uscita di via Giolitti. Nei giorni feriali, sono battuti da pendolari e studenti. Un brulichio di zaini, occhi appiccicati di sonno, colazioni spiluccate sui sedili. Nessuna atmosfera delle gite fuori porta del weekend.
Poco oltre, passata la Tiburtina e poi la Tuscolana, la città si allunga. Si riconoscono i cipressi del Verano, le piste per i cavalli di Capannelle, quelle per il rullaggio di Ciampino, mentre il treno taglia la periferia verso sud-est. E continua in direzione Frascati, sulla ferrovia laziale FL4, per raggiungere uno dei 16 Castelli Romani, tra le mete segnalate sulla guida di Giunti per Trenitalia, I Regionali da vivere. Lazio in treno.
Ascolta il podcast a cura di Aldo Massimi
A una manciata di chilometri dall’Urbe, adagiati sui rilievi dolci dei Colli Albani – nati dalle vetuste attività del vulcano laziale – questi borghi si distinguono per il caratteristico centro storico, il dialetto tipico della zona, un santo o una santa patrona, monumenti o personaggi famosi che lì hanno trascorso giorni lieti. La Capitale li tiene legati a sé con antichi tiranti stradali: la via Appia, la via Latina e la via Tuscolana. Pittoresche e colorite alcove per vigneti succulenti e cucina casereccia fin dai tempi di Lucullo e Cicerone, queste terre hanno attirato papi, imperatori, regnanti e, poi, attori e letterati.
FRASCATI, LA BELLA SIGNORA
Fuori dalla stazione di Frascati, in salita si raggiunge il centro del paese. Saliscendi, aria ventilata e sapore di antichità sono una costante di queste zone. A poche centinaia di metri, la cattedrale di San Pietro riempie quasi del tutto la piazza omonima con la sua facciata barocca, resa scenografica e appariscente dalla pietra sperone e dal travertino di Tivoli. È adornata da nicchie e statue, orologi, pinnacoli, rosoni. Il corso, invece, è una via stretta tra i palazzi che presto si apre su altre due grandi piazze dove la città si anima e si incontra tra i tavolini dei caffè. Da lì parte la passeggiata pedonale e si spalanca la terrazza sulla vallata. Sotto i binari, poi, la spianata di Roma e, oltre, la linea sottile che indica l’inizio del mar Tirreno. Appoggiati nel vuoto, cubici, cromati d’aragosta e battuti dal sole si ammassano i palazzi signorili.
Da questo lato, Frascati pare una bella signora agghindata nel volto per nascondere i suoi anni e un po’ di decadenza rilevata nelle viuzze strette che si intrecciano dietro. Dall’altra parte del belvedere, oltre la fontana a colonna, i cipressi e le palme, si staglia in alto, superba e solitaria, Villa Aldobrandini. A prima vista sembra un cartonato appiccicato sul colle Tuscolano e, un po’ tetra e ingrigita, emana un senso di struggente nostalgia per i fasti passati. Fin dal ‘500, infatti, la cittadina fu scelta dalla nobiltà romana come luogo di soggiorno e molte cascine di campagna furono ampliate e trasformate in lussuose residenze signorili, tra le quali Villa Torlonia, Falconieri, Tuscolana e Mondragone.
Negli spazi delle Scuderie Aldobrandini, un tempo al servizio dell’omonima villa, oggi c’è il museo civico che espone reperti provenienti dalla città romana di Tusculum.
Centinaia di frammenti risalenti all’età imperiale, giulio-claudia o repubblicana. Terrecotte di teste votive, sepolcreti, utensili e gioielli, statuette di figure femminili, satiri e dionisi raccontano di una terra da sempre abitata e attraversata da popoli in movimento tra la Campania e l’Etruria. Obbligatorio da queste parti fermarsi nelle fraschette per assaggiare il bianco Frascati, vino Doc fruttato e fiorito, in cui si percepisce il sapore della campagna romana. Baciati dal clima docile del Mediterraneo, vigneti e uliveti si perdono alla vista e le molte aziende vinicole – come la Merumalia, biologica e gestita da giovani donne – ottengono freschi bianchi colorati di paglierino o rossi morbidi ed erbacei.
Vista dalla terrazza di Frascati (RM) © cristian/Adobestock
SUL LAGO, TRA STORIA E NATURA
Il cuore dei Castelli Romani è una lamina d’acqua completamente cinta da colli fitti di vegetazione, un tempo bocca di un vulcano, oggi il lago Albano. Sommario di leggende e misteri, testimonianze archeologiche e storiche, passeggiate amene o sentieri d’acqua navigabili in canoa. Lo sguardo lo contiene tutto nei suoi pochi chilometri di estensione, ma lui come un’ellissi si incunea nelle viscere della terra, sfiorando profondità di quasi 200 metri. Il nome lo ha preso da Alba Longa, antichissima nemica di Roma, l’acqua da piogge e polle subacquee, e sotto conserva ancora un emissario artificiale scavato dai romani nel 398 a.C. che corre fino al mare.
La linea ferroviaria lo attraversa sul cratere con due gallerie. Dalla Capitale è frequentato per il suo parco naturale, le passeggiate sui sentieri lacustri, le escursioni boschive o le balneazioni dolci: un rifugio all’aria aperta a mezz’ora dalla città. I papi vi trasferirono la loro residenza estiva già dal ‘600 con Urbano VIII. E, prima di loro, gli etruschi e poi gli imperatori romani si fermarono qui per la sua posizione. Il perché lo si capisce dopo aver scalato rampe per godersi il paesaggio dall’alto, prima di raggiungere a piedi dalla stazione Castel Gandolfo, che, a picco sul lago gli fa da faro.
Castel Gandolfo (RM) © Alberto_Patron/Adobestock
CASTEL GANDOLFO, CITTÀ DEI PAPI
Il clima è mite per gran parte dell’anno e su questo colle antico batte una costante brezza fresca che sa di monti e odora di mare. Incastonato in uno dei borghi più belli d’Italia, una piazzetta con basilica e fontana, un centinaio di abitanti nel centro storico, Castel Gandolfo è noto in tutto il mondo per il complesso delle Ville Pontificie, 55 ettari di territorio estero che appartengono alla Città del Vaticano. Nel palazzo principale si passeggia su pavimenti in marmo intarsiato, tra decine di sale dalle pareti dipinte o ricoperte di stoffe pregiate, dove nei mesi più caldi i papi si intrattenevano con delegazioni reali, politiche o capi di Stato in visita. Il lago lo si scorge da molte delle grandi finestre, poco sotto, fermo e scuro, come se ci galleggiassimo sopra.
Nella galleria, i ritratti iniziano da quel Giulio II che commissionò a Michelangelo gli affreschi della Cappella Sistina, mentre la lista dei successori di Pietro contiene tutti i 264 nomi. Lungo corridoi infiniti e tirati a lucido si succedono le sale del trono, quelle per i prelati e della musica. La piccola cappella privata di Urbano VIII, scrigno di intarsi e affreschi, da far perdere la testa, poi le stanze private: la biblioteca, gli studioli, gli uffici, fino alla camera da letto in stile Liberty, dopo le ristrutturazioni negli anni ‘30. Tanto sontuosi e cerimoniali, queste stanze custodiscono passaggi di umani destini anonimi che ne accrescono la poesia.
I giardini delle Ville Pontificie, Castel Gandolfo (RM) © giumas
Davide, guida appassionata, racconta che alla fine del ‘44, durante i bombardamenti, furono accolti qui 8400 rifugiati. Su una parete di Villa Cybo ancora si notano gli sfregi delle granate. Lo scalone del Palazzo Pontificio che sale al piano nobile, durante quei tragici giorni, di notte si trasformava in dormitorio per gli sfollati e sul letto alla francese di sua Santità nacquero 40 bambine e bambini, perché sotto gli ordigni era l’unica stanza sicura e con un generatore per l’elettricità. A memoria e gratitudine, in tanti qua si chiamano Pio, proprio come Pio XII, ed Eugenio, vero nome di papa Pacelli. La cappella privata, accanto alla camera, è cosmopolita e dedicata alla Madonna Nera.
Per accedere ai giardini di villa Barberini, invece, si torna qualche metro su suolo italiano, prima di entrare nei parchi sconfinati, tanto estesi da contenere al loro interno anche un asilo pubblico e perfino una pompa di benzina. Dentro, stratificazioni di ere, paesaggi e religioni. In età imperiale, nel I secolo d. C., Domiziano vi fece costruire una villa lunga e larga per chilometri di cui appaiano, di tanto in tanto, resti originali intrecciati a radici di alberi secolari: acquedotti, perimetri di edifici, tratti di strada a ciottoli, un portico nascosto, il teatro.
Viali alberati, laghetti, giardini all’inglese o all’italiana, ortensie, cespugli di bosso squadrati, statue classiche, fontane di ninfee, fioriture variopinte fanno da scenografia a interminabili passeggiate. In fondo c’è la fattoria vaticana, brulicante di mucche, galline ovaiole, papere e disegnata da vigne e uliveti, orti e arnie: qui si producono latte e formaggi, miele, vino e olio per i pasti papali. Uscendo, su una lapide si legge in latino: «Disprezzando le piccole cose non si conquistano quelle grandi». Dal 2016, quando papa Francesco ha deciso di rinunciare alla residenza estiva, le ville sono state trasformate in un percorso museale e aperte al pubblico.
I Cisternoni, Albano Laziale (RM) © neiezhmakov/Adobestock
ALBANO, RESTI DI PASSATO
A cinque minuti di treno c’è Albano Laziale, da visitare per quell’odore di arcaico leggendario di cui è avvolto. Forse il nome deriva proprio da quello di Albalonga, la città fondata da Ascanio, figlio di Enea e narrata da Virgilio. Ancora custodisce porte romane ben conservate, un tratto di Appia Antica in roccia vulcanica, terme in mattoncini rossi incastonate tra finestre e terrazze di oggi e reperti sparsi. Sono così numerosi che chi abita Albano si è abituato a convivere con un passato tanto ingombrante, dimenticandosi talvolta di salvaguardarlo.
Le strade del centro salgono in salita, piene di case un po’ stropicciate e da un parcheggio si scorgono altre rovine vetuste. In alto, la vista della città si tuffa nel lago che da quassù offre un altro suo profilo tondeggiante. Inerpicandosi per cercare l’anfiteatro Severiano (III secolo), sulle cui gradinate si riunivano quasi 15mila persone, ci si imbatte nell’ingresso dei cosiddetti Cisternoni. Su un cancello chiuso a catena c’è un piccolo cartello sgangherato con due numeri, uno del museo civico, che squilla a vuoto, l’altro di un cellulare.
Risponde Angelo, il custode-Virgilio che ha le chiavi di questa architettura mai vista prima. È una delle cisterne – la più grande – che furono costruite dai romani per il rifornimento idrico di ville private e imperiali o per assicurare l’acqua all'accampamento della Legione Partica, lì insediato. Completamente intatta, sembra una cattedrale sotterranea. Buia, umida, imponente, disposta su cinque navate lunghe quasi 50 metri, capace di contenere oltre 10mila metri cubi di acqua e ancora funzionante. Scendere sul fondo di questo rozzo cetaceo di pietra, attraverso una scala di cui non si vede la fine, per perdersi in una selva oscura di pilastri e volte a botte è un’esperienza che stupisce e spaventa. Per il tanto ingegno umano.
Articolo tratto da La Freccia
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