In cover, vista sul Vesuvio, Napoli © cenz07/AdobeStock
Se dalla stazione Centrale vi trovaste per avventura in un vicoletto dal nome altisonante come via dei Tribunali, prendetelo e incamminatevi, perché state per entrare a Napoli. Non illudetevi di conoscerla in quattro passi, e nemmeno in due vite, perché nonostante le frasi e le definizioni più intelligenti che a questa città hanno dedicato scrittori e passanti, artisti e vagabondi, essa rimane il luogo dove ci si smarrisce. E non già perché avete imboccato il viottolo sbagliato ma perché avete perduto voi stessi, coloro che foste prima di metterci piede e quelli che sarete domani, dopo averla guardata nei suoi mille occhi.
Johann Wolfgang von Goethe aveva imparato ad amarla per questa sua caratteristica. «A Napoli ognuno vive in una inebriata dimenticanza di sé. Mi riconosco appena e mi sembra di essere del tutto un altro uomo. Ieri pensavo: o ero folle prima o lo sono adesso», scriveva. E se in via dei Tribunali l’illusione era di riuscire a distrarvi sbirciando certe vetrine che espongono chissà cosa, subito imparerete a guardare tra i profili e le spalle della gente che muove quella stradina e vi accompagna verso il Pio Monte dove, se solo vi affacciaste con attenzione, rimarreste abbagliati: sarete dinanzi alle Sette opere della Misericordia di Caravaggio.
Vicoli del centro, Napoli © Ianunzio Alessandro/AdobeStock
Forse state sognando per ogni metro verso cui avanzate, tanto da costeggiare San Lorenzo Maggiore, dove un elegante vecchietto vi racconterà che proprio lì Giovanni aveva incontrato la Bellezza e a lei avrebbe dedicato l’Elegia di Madonna Fiammetta, perché lui si chiamava Giovanni Boccaccio e si era innamorato di quella bionda ragazza che gli procurava un misterioso tremore. Allora sarete immersi negli infiniti segreti di Napoli e vi coglierà il dubbio di non trovarvi in una città ma nel ventre del mondo o nell’anima di un luogo senza eguali, il che è lo stesso.
«Secondo come la si guarda, Napoli può apparire felicissima o disperatissima». A pronunciare questa sentenza è stato lo scrittore Raffaele La Capria, ed è lui che potreste incontrare in questi luoghi. Risalirete insieme per via Toledo e, lungo il tragitto, il maestro potrebbe raccontare la sua prima giovinezza nella città partenopea. Durerà un quarto di secolo e, nel suo caso, quel tempo sarà letterale. La Capria è nato sotto il Vesuvio il 3 ottobre 1922 e il suo centesimo anno di vita lo festeggerà nel ricordo del suo amico più prossimo, il regista Francesco Rosi, dal quale lo distanziavano soltanto sei settimane.
Vista panoramica sul golfo. dalla Rampa Pizzofalcone, Napoli © lucamato/AdobeStock
Il 28 ottobre di quello stesso anno, in mezzo a loro due, neonati, il fascismo si prendeva Roma. Nel tempo immediato che seguirà, quella generazione napoletana dei primi anni ‘20 formerà un’accolita molto importante: lo scrittore Antonio Ghirelli, il futuro presidente Giorgio Napolitano, il regista Giuseppe Patroni Griffi, i giornalisti Maurizio Barendson e Rosella Balbi, per citarne alcuni. Era la Napoli della politica e del miglior giornalismo, delle lettere e delle arti, che Rosi e La Capria rappresenteranno con grande potenza.
Nel secolo scorso la città ha fieramente difeso la sua differenza rispetto ai mutamenti sociali, alle mode e alle omologazioni culturali di un Paese senza bussola. «È l’Italia il vero problema di Napoli», diceva ancora La Capria, e il suo non era soltanto un paradosso, visto che ciò che avveniva altrove sorvolava il Golfo senza mai fermarsi. Ancora oggi arrivando alla stazione Centrale, da qualsiasi città proveniate, avrete la sorpresa di entrare in un mondo a parte. Basterà osservare le persone e cogliere i loro sentimenti per rendersi conto che quella di Napoli è tutta un’altra storia. E quando da via Toledo si aprirà vico dei Pellegrini, saremo tutti insieme a salire verso la Chiesa della Concezione.
In quel rione nativo del centro storico, Rosi era tornato nel 2013, per i 50 anni di Mani sulla città. Era stato, il suo, un film che aveva scosso la critica e turbato il pubblico. La lunga stagione del Neorealismo, che il mondo intero aveva applaudito, cedeva il passo al cinema di denuncia. In una casa colma di opere e reliquie, il dialogo tra due politici racconterà in tre minuti il dopoguerra italiano. L’opera fu insignita di un Leone d’Oro e segnò il riscatto civile della borghesia napoletana. Rosi e La Capria l’avevano scritta insieme e, con essa, avevano reso omaggio all’acume dei loro concittadini. Ogni tanto accade che le arti rendano una testimonianza che il potere recepirà come un segnale.
Come già in altri momenti della storia italiana, ciò stava di nuovo succedendo a Napoli, città che era il simbolo di una vitale allegria ma che pure sapeva riconoscere quei suoi mille colori, che Pino Daniele avrebbe cantato con molta poesia: «Napoli è mille colori / Napoli è mille paure / Napoli è la voce dei bambini / che sale piano piano e / tu sai che non sei solo».
E in questa eterna compagnia abbiamo terminato la nostra passeggiata. È durata mezz’ora ma è sembrata una vita intera, piena di bellezza e coraggio come quelli di Rosi e La Capria. Auguri, amici! Ci avete raccontato gli enigmi di una città che ancora regala le suggestioni di ogni suo angolo e infine, a notte alta, ripone le proprie bellezze sotto il suo cielo, perché quegli stessi cittadini che ci hanno appena accolti come fossimo lontani parenti la adorano e la difendono da chiunque vi transiti come se fosse giunto in un luogo qualunque. E così, lo stupore che ci sorprende nell’attimo in cui il treno sta ripartendo non lo restituiremo in forma di chiacchiere un po’ banali, ma lo porteremo dentro di noi, fosse anche un lampione spento, un nonno che gusta un caffè o uno scorcio di mare. La nostra Napoli, per sempre.
Articolo tratto da La Freccia