Negli anni Settanta e Ottanta ribalta il paradigma della cucina italiana e porta identità. Mentre i cuochi mimavano la cucina francese, lui già esprimeva il concetto di valorizzazione delle materie prime. Tecnicamente innovativo, introduce le acidità come elemento caratterizzante. Culturalmente elevato, iconizza l’arte di Pollock o Fontana esprimendola nella composizione di alcuni suoi piatti. Umanamente aperto, crede nei giovani e consente loro di imparare da lui cucina e vita.

Il maestro Gualtiero Marchesi era tutto questo. Una forza della natura, mai domata intellettualmente e mai sazia culturalmente, capace di trasferire tutto questo nella sua professione. Spesso commentava, a chi si complimentava con lui, «Ma il piatto era buono o le è piaciuto? Se è buono significa che lei ha apprezzato davvero il mio lavoro. Nella seconda ipotesi, qualsiasi cosa può piacere a qualcuno».

Uomo ironico e sarcastico Marchesi, ma allo stesso tempo aperto, curioso degli altri e desideroso di condividere le sue passioni come la musica e l’arte. 

Quest’anno ricorrono i 40 anni di un piatto iconico creato da Gualtiero Marchesi nel 1981 “Riso e Oro": un risotto allo zafferano, tipico milanese, con una foglia d’oro alimentare posta al centro. Un cerchio e un quadrato, geometrie gastronomiche che, all’inizio degli anni ‘80 guardano davvero avanti.

 

Il tributo al maestro è nato dalla volontà di Paolo Marchi e Claudio Ceroni fondatori di Identità Golose e di Enrico Dandolo, genero di Gualtiero Marchesi e per lunghissimo tempo suo braccio manageriale. Il tutto con il felice supporto di Cristina Guidobono Cavalchini, illuminata imprenditrice, proprietaria dell’azienda “Riso Buono”. 

E a proposito di “Riso e Oro”, Paolo Marchi racconta: «Una volta parlando con Gualtiero, sempre molto critico e ironico e con una cultura pazzesca, mi disse “Il Carnaroli (varietà di riso) lo usano gli incapaci, se sei bravo usa altro”». A significare la naturalezza di cercare sempre la strada difficile, perché portarla a termine decretava maggior successo.

 

La Fondazione Marchesi porta avanti i valori culturali e umani di Gualtiero, che la volle istituire prima di scomparire nel dicembre del 2017, a testimonianza di quanto egli fosse, ancora una volta in anticipo di decenni, consapevole del valore del brand. 

Cristina Guidobono Cavalchini, proprietaria di Riso Buono, è una donna di grande talento che esprime in un mix ben bilanciato di volontà e concretezza.

«Sono una romana che produce riso, passata dalla city di Londra, dove lavoravo, a dividere i risi nei pentolini a Casalbeltrame in provincia di Novara per trovare giorno dopo giorno il miglior prodotto possibile. Siamo qui oggi - prosegue Cristina - perché mentre tenevo una lezione per i ragazzi di Pollenzo (Università di Scienze gastronomiche) parlando di riso e sostenibilità, mi chiama al telefono Enrico Dandolo, proprio mentre c’era la foto del piatto “riso e oro” sullo schermo. Quindi ho risposto alla chiamata, dicendo ai ragazzi che ero al telefono proprio con la fondazione Marchesi. Un attimo dopo ho chiamato Paolo Marchi ed è nata questa giornata».

È così la “signora del riso” semplice, diretta, efficace e innamorata delle risaie del nord. 

Interessanti e affettuose le testimonianze degli chef presenti a Identità Golose nel raccontare il loro periodo di lavoro con Gualtiero Marchesi.

«Avevo diciannove anni - racconta Antonio Ghilardi, oggi chef del suo ristorante a Torre Boldone (BG), quando entrai nella cucina del signor Marchesi, dove arrivai con un’idea di cucina e lui cambiò completamente la mia visione. Divenne il mio modello di stile e cultura».

 

«Bello vedere le immagini della cucina di visa Bonvesin della Riva dove ho iniziato la mia esperienza - racconta chef Andrea Berton, uno dei più talentuosi chef italiani contemporanei - La prima cosa che mi disse fu che gli ingredienti devono essere valorizzati, perché i cuochi di solito li rovinano. Esprimeva concetti che erano molto avanti rispetto all’epoca. All’Albereta (dove Marchesi si trasferì nel 1993) lavoravo al suo fianco, un’energia molto positiva. Si lavorava bene e tanto. Finivamo il servizio a mezzanotte e mezza, passava il signor Marchesi e mi portava in ufficio dove iniziava a raccontare aneddoti della sua vita, momenti di formazione straordinaria. Io assorbivo e ascoltavo, bellissimo». 

Lo chef Elio Sironi ricorda come «Con lui si respirava qualcosa di nuovo, rigore, silenzio disciplina, poi ti parlava di arte, cultura, musica cose che esulavano dal tema cucina, il cibo non era solo un veicolo tradizionale, ma un pezzo di storia della cultura italiana. Oggi i ragazzi che lavorano in cucina vogliono crescere capendo e imparando. Marchesi metteva la propria conoscenza a disposizione dei suoi collaboratori».

 

Fabrizio Molteni cita l’umanità e il rispetto che Marchesi possedeva e Riccardo Camanini, anch’egli allievo di Marchesi e oggi al 15esimo posto nella classifica dei “Fifty Best Restaurant” ricorda come già all’Albereta la brigata di cucina fosse cosmopolita con giapponesi e francesi. «Ho vissuto il periodo del Marchesi consacrato in tutto il mondo, i miei ricordi sono legati alle forme del gusto fissati per sempre nella mia memoria di cuoco». 

In occasione dei 40 anni di “Riso e Oro”, l’iconico piatto potrà essere gustato in alcuni dei ristoranti dei collaboratori di Marchesi. Nell’occasione verrà consegnato a ciascun cliente che lo ordina, un certificato celebrativo, secondo l’abitudine che Gualtiero Marchesi introdusse, dopo aver servito il “Riso e Oro” numero centomila.

 

Per vivere l’emozione di tutti i principali piatti che Marchesi cucinò nel corso della sua carriera, l’indirizzo è il ristorante Terrazza Marchesi al Grand Hotel Tremezzo sul lago di Como che, unico al mondo e sotto il costante controllo della Fondazione Marchesi, replica le “opere” così come concepite da Gualtiero. In cucina lo chef Osvaldo Presazzi.