Diego e Alberto Cusumano hanno intrapreso la loro avventura enologica nel 2001. Da allora numerose pagine sono state scritte con grande volontà, passione per la ricerca e un profondo amore per la loro terra: la Sicilia. Oggi le tenute della famiglia sono ben cinque. Al centro del lavoro in ognuna realtà c’è sempre la vigna. Alla Ficuzza sopra Corleone (PA) sono protagonisti i bianchi che recepiscono freschezza e sapidità dalla montagna, un vigneto a Monreale, uno a Butera per il moscato, poi Partinico e Calatafimi.

 

«Cinque diversi territori della Sicilia, dal punto di vista enologico, un continente» afferma Diego Cusumano «Un impegno di tutti coloro che lavorano con me, mio padre innanzitutto, mio fratello e tutti i ragazzi che svolgono i diversi compiti, lavorando con noi». Un grande successo quello che i vini profondamente siciliani, di grande identità raccolgono meritando importanti premi e riconoscimenti sia in Italia che da parte delle esigenti giurie di esperti all’estero.

L’amore per le sue vigne, Cusumano lo rende tangibile quando racconta di Tenuta Ficuzza, dove Re Ferdinando IV di Borbone costruì una reggia di caccia. «Abbiamo trovato tracce scritte che testimoniano che il sovrano beveva vini locali, Inzolia, Catarratto e Zibibbo coltivato in riva al mare - racconta il produttore - nel 2010 abbiamo deciso di riprendere questa tradizione e piantato un ettaro di Zibibbo a 700 metri, un ettaro di Inzolia e uno di Grillo, cercando di ispirarci a quei regali vini locali. Nel 2016 - prosegue Cusumano - abbiamo aggiunto un ulteriore tassello, isolando un lievito dalle bucce dei nostri bianchi. Una sorta di “metodo Cusumano” che andasse a chiudere il ciclo patendo dalla vigna. Collaborammo con l’Università di Asti e con un secondo laboratorio per l’analisi qualitativa, scegliendo il migliore, sia per Sale Alto che per gli altri vini. Proprio Sale Alto vuole riproporre i gusti dei Borbone. 40% inzolia, 40% Catarratto e 20% Zibibbo, per il vino del Re».

 

In effetti il racconto riporta alla realtà nella descrizione del vino fatta da un grande intenditore giapponese che scrisse a Diego queste parole: «Degustando il vino ho ritrovato l’eleganza della montagna e la sapidità del mediterraneo».

Anche la nostra degustazione è in linea con quanto scritto. Al naso un bel frutto bianco e sentori agrumati e di balsami mediterranei. Al palato importante spalla acida perfettamente equilibrata con la freschezza della montagna e il respiro del mare. Lunga nota finale anch’essa marina e una punta amaricante.

 

La Sicilia è l’unica regione al mondo dove la vendemmia dura tre mesi, dalle piane sul mare all’Etna. E proprio ai piedi del vulcano, i Cusumano possiedono la tenuta Alta Mora, il cui nome deriva da mora come la terra nera tra gli 800 e i 1.000 metri sulle pendici laviche.

 

«La nostra avventura sull’Etna inizia nel 2013 - riprende con entusiasmo Cusumano - dopo cinque anni di ricerca Mario Ronco, il nostro enologo, individua questa zona nei pressi di Randazzo». A questo punto il racconto diventa quasi una novella siciliana.

«Ci fermiamo in un bar di Solicchiata, (frazione del comune di Castiglione di Sicilia) dove incontro un agronomo dell’azienda Benanti che aveva deciso di dismettere i vigneti di Randazzo e Linguaglossa. Andiamo a vedere i terreni e giungiamo a Guardiola, con un teatro greco incredibile, una tenuta che parte dagli 800/900 metri di altitudine. In quegli anni il successo dei vini rossi dell’Etna era acquisito, ma non quello dei bianchi della stessa zona. Abbiamo iniziato quindi a creare l’identità del bianco dell’Etna. Composto dalle uve di cinque diverse contrade, diverse altitudini e diverse composizioni minerali. Concentrazioni diverse anche per le pendenze e per l’età dei vigneti, dai 10 ai 40 anni. Ogni contrada esprime un vino diverso. Rocce di lava e la forza della vigna che piano piano si scava lo spazio per spingere le radici in profondità e alimentarsi raggiungendo l’humus».

 

La vendemmia sull’Etna è un momento unico, diverso da ogni altra zona. Inizia il 15/20 ottobre in un mondo a parte, stilisticamente e territorialmente profondamente caratteristico. Il vulcano è lì, vivo, e si sente.

L’Etna Bianco Alta Mora presenta un naso intenso e composito, con sentori floreali puliti e precisi. Al palato è vellutato e identitario della forza del vulcano. Di grande eleganza, sinuoso con curve di sapore perfettamente segnate. Acidità e sapidità in equilibrio con i sentori terrosi e minerali. Ne producono solo 3.000 bottiglie, una chicca. E Cusumano racconta ancora di come è nato Alta Mora Rosso.

 

«L’Etna rosso è il vino che ci ha portato ai piedi del vulcano, dove abbiamo acquistato una vigna di 150 anni, secolare. Ricordo benissimo un tronco enorme e due piccoli grappoli di Nerello Mascalese. Chiesi a chi ci ha venduto i terreni di poter prendere le marze (gemme) per impiantare il primo vigneto storico del luogo. È cominciata così la storia di questo Nerello unico, coltivato tra gli 800 e i 1.000 metri, tutto in verticale, tanto da necessitare di una vendemmia divisa in momenti, a seconda dell’altitudine. Un vigneto meraviglioso, alzi gli occhi e vedi il vulcano fumare, neve ovunque e guardando in basso il mare di Taormina. In un luogo così non possono che nascere grandi vini».

Da considerare che l’intera denominazione Etna conta non più di 1.200 ettari e la crescita può avvenire solo in verticale. Un territorio davvero unico e difficile, quasi ostile, ma di enorme fascino.

 

«A maggio portai mio padre a Verzella (contrada dell’Etna), il vulcano eruttava con la sua potenza e lui disse a me e a mio fratello Alberto “O siete molto sicuri, o siete totalmente pazzi”».

 

Il successo del Rosso dell’Etna ha decretato con i fatti che dalla distruzione, si avvia la creazione, grazie a terreni unici per realizzare grandi vini.

 

I vini dell’Etna riscuotono successo anche sulle rinomate tavole del mondo. «La cosa più bella - chiude Diego Cusumano - è vendere Etna bianco in un ristorante stellato di New York e sentirlo descrivere da un sommelier francese».