Siamo nel cuore delle Langhe, patrimonio dell’Unesco insieme a Roero e Monferrato. Queste zone del Piemonte sono una meta sempre affascinante, ricche di storia, bellezze artistiche e patria di una cultura enogastronomica che vale il viaggio.
Per raggiungere il Castello di Grinzane Cavour la prima tappa è Alba con il Regionale, da qui con l’autobus si raggiunge il borgo di Grinzane.
Salire al castello lungo la breve strada lastricata equivale a compiere un salto nel tempo. Costruito alla metà del XI secolo, il castello è stato restaurato nel 1961 per celebrare i cento anni dell’unità d’Italia. Domina le colline delle Langhe con uno sguardo a 360 gradi. Diversi i punti di osservazione lungo un piacevole vialetto di ghiaia che percorre le antiche mura.
Tra queste mura visse a lungo Camillo Benso Conte di Cavour che lo ereditò nel 1849. E tra il 1836 e il 1847 sarà lui a scrivere la storia del vino Barolo in collaborazione con la marchesa Juliette Colbert, proprietaria del vicino Castello di Barolo. Cavour e l’enologo francese Louis Oudard, ripensarono alla vinificazione delle uve Nebbiolo, dando vita al “re dei vini o vino dei re” come lo conosciamo oggi. Un vino di grande struttura ed eleganza che la marchesa Colbert inviava in dono ai duchi di Savoia.
Oggi il Castello è sede dell’Enoteca Regionale Piemontese e ospita i tradizionali “capitoli” dell’Ordine dei Cavalieri del Tartufo e dei Vini d’Alba. Da visitare anche il Museo Etnografico della civiltà contadina e alcune sale dedicate al Conte Camillo Benso di Cavour.
Ma veniamo al motivo, del tutto contemporaneo, di questo splendido salto nella storia. Nella corte e nella splendida sala con soffitto a volte ha trovato casa il talento dello chef Alessandro Mecca con l’omonima insegna “Alessandro Mecca al Castello di Grinzane”. Figlio d’arte, il papà è alla guida della cucina del ristorante “Crocetta” a Torino, tradizionale indirizzo della borghesia della città, Alessandro ha maturato esperienze nelle più rinomate brigate della regione con una importante parentesi internazionale. Già stellato Michelin dal 2018 durante gli anni a “Spazio 7” il ristorante della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, sempre nella capitale piemontese, Mecca si impone all’attenzione di chi ama la cucina per diversi “gustosi” motivi.
Il primo è il talento naturale di comporre gli ingredienti, di individuare come trattare una materia prima per trarne bellezza e sapore. Il secondo è la creatività con misura, mai eccessiva con invenzioni troppo audaci, ma costante nel creare occasioni di curiosità gastronomica e di soddisfazione al palato. Per capire da assaggiare “Bistecca di pomodoro, mandorle e lampone” dove il principio, semplice ma brillante, è di trattare la fetta di pomodoro esaltandone appunto la carnosa consistenza.
Il terzo ingrediente del talento del cuoco sono le tecniche di cottura. Perfette per quanto riguarda secondi piatti e un magistrale “Risotto e lumache al verde”.
Infine, ingrediente fondamentale è la ricerca molto equilibrata di mantenere nello stesso menù, piatti di contemporanea creatività e piatti che rappresentano con precisione quella che possiamo definire “Grande Table” ovvero ricchezza, sostanza, piacere di una tradizione che non deve, e mai scomparirà. Per continuare a scoprire questa cucina, da non perdere i ravioli del “Plin” ai tre arrosti, il sontuoso piccione e l’agnello. Bocconi di grandissimo livello, godimento vero. Esempio della contemporanea creatività il “Bonet”, tipico dessert piemontese, che lo chef ribalta completamente, servendo cubetti, riduzioni, creme. Forma diversa, ma il sapore è quello di sempre.
Una brigata di cucina giovane e motivata da passione e capacità. In sala il maitre Jacopo Balma Venere gestisce ogni dettaglio con professionalità e capacità comunicativa. Mauro Mastrorilli è il sommelier che cura la cantina e dalla quale compone una carta dei vini di grande valore per geografia enologica e profondità di scelta. Non mancano alcune chicche sia del territorio che di qualche chilometro più in là.
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