“Per maggiormente facilitare il trasporto delle mercanzie da Bologna a Livorno, una società di possidenti si è proposta di aprire una strada, che staccandosi dalla descritta bolognese traversi la Porretta passi per Pistoja e vada a sboccare nella regia postale che da Firenze mette a Pisa e a Livorno, abbreviando così il viaggio di miglia 21 ed anco di 29 se si volesse percorrere la traversa della Arnaccio”.
Siamo nel 1839 e l’abate Antonio Ferrini nella sua Descrizione geografica della Toscana affrontò così un problema importante per l’epoca: trasportare le merci attraverso l’Appennino e mettere in comunicazione i maggiori centri commerciali del centro Italia. Prima dell’avvento della ferrovia, infatti, raggiungere Bologna da Firenze rappresentava un gran bel problema. Si impiegavano almeno 14 ore, che diventavano circa 16 con la neve, sempre che non ci fossero imprevisti, come l’incontro con una delle tante bande di briganti attive in zona.
Le diligenze trainate da cavalli erano il mezzo di trasporto utilizzato, ma la scarsa resistenza fisica di questo animale rendevano necessario l’utilizzo di stazioni di posta, dove il cavallo potesse essere sostituito da un altro fresco, riposato e in piena efficienza.
Proprio nei giorni in cui l’abate Ferrini scriveva di strade e traverse da percorrere, spesso indicando antichi percorsi romani ed etruschi, uno strano e instancabile animale di metallo trasportava re Ferdinando II di Borbone da Napoli a Portici: il treno. Una novità che da subito sbalordì, affascinò e che per questo fu emulata dai vari regnanti degli stati preunitari della penisola italiana che iniziarono a progettare strade ferrate.
Tra questi c’è il granduca di Toscana Leopoldo II che nel 1848 inaugurò la Strada Ferrata Leopolda che congiungeva Firenze col porto di Livorno, mentre tre anni più tardi la nuova tecnologia raggiunse anche Pistoia, grazie alla ferrovia dedicata la consorte del granduca: la Strada Ferrata strada ferrata Maria Antonia da Firenze a Pistoja per Prato.
Il treno storico organizzato per il 160esimo anniversario della Porrettana il 3 novembre 2024.
I tempi, dunque, erano maturi per iniziare la battaglia contro la difficile orografia del territorio, per cercare di avere la meglio sugli Appennini. E qui entra in campo un ingegnere francese, Jean Louis Protche, il quale progettò un’ardita opera ingegneristica, che tra lunghe gallerie e viadotti prometteva di creare una ferrovia transappenninica. Approvato il progetto, occorreva però far quadrare gli aspetti politici. Impresa non di semplice soluzione. L’Italia preunitaria è infatti ancora percorsa da interessi stranieri, tra i governi austriaci e francesi ancora influenti, senza considerate i dissidi territoriali tra i ducati di Parma e Modena. Inoltre, Bologna all’epoca era la seconda città per importanza dello Stato Pontificio.
Il piazzale dei binari della stazione di Pistoia durante i lavori per la costruzione della copertura metallini a inizio Novecento.
Passarono così diversi anni prima che il giovane Regno d’Italia salutò la nuova ferrovia: quasi 100 km di strada ferrata, con 47 gallerie e 35 tra ponti e viadotti. Il 2 novembre 1864 Vittorio Emanuele II di Savoia, primo re d’Italia, a bordo del suo Treno reale raggiunse Pistoia da Bologna in cinque ore. Lo scopo era raggiunto: dalle 14 ore della diligenza si passava alle 5 ore. Era l’inizio di una storia lunga 160 anni, che corre ancora oggi sui binari della Ferrovia Porrettana.
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